“Non esistono persone difficili, esistono storie difficili”
Nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza è sempre più frequente trovare situazioni di giovani ragazzi che utilizzano sostanze ( cannabis, alcol, cocaina…) senza avere chiaro quali siano le situazioni a rischio che ne derivano. I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza evidenziano che il 55% degli adolescenti beve alcolici, il 31% fuma le canne (hashish e marijuana), il 4% fa uso di cocaina, il 3% di pastiglie e droghe sintetiche.
Questi dati ci dimostrano come le sostanze siano presenti nel vita dell’individuo fin dalla giovane età con differenti scopi o valenze: a volte per appartenenza al gruppo, altre per sfuggire da situazioni di forte conflittualità familiare, altre per “autocurarsi” da traumi precoci e dolori emotivi. Non vi è dunque una sola causa, ma differenti storie portano alla costruzione del senso e del ruolo che la sostanza assume a livello individuale e relazionale. Nella mia pratica clinica mi sono imbattuta in storie di adolescenti e giovani adulti i quali abusavano di sostanze e tale abuso aveva delle grosse ripercussioni rispetto alle relazioni familiari. Tutta la famiglia si concentra sul giovane adolescente e tutte le energie sono spese al fine di limitarne l’abuso e di controllare il comportamento.
I genitori, spesso provati dal senso di impotenza, accusano il gruppo dei pari come fonte di malessere per il figlio dimenticando il ruolo fondamentale che esso assume nello sviluppo del giovane. .Il gruppo dei pari si costituisce come spazio di confronto e rispecchiamento, possiede regole specifiche spesso in opposizione a quelle del mondo degli adulti. I bisogni ai quali il gruppo risponde non consistono più solo nel desiderio di trovare condizioni favorevoli per i giochi ma comprendono desideri di esperienze nuove da compiere, di scoperta e verifica delle proprie abilità, di elaborazione in condizioni di parità delle nuove conoscenze ed emozioni.
Quindi il gruppo potrebbe diventare un luogo di sperimentazione ma ciò che sembra alla base della possibilità o meno di abusare di sostanze in maniera costante e duratura dipende non da esso ma dalle capacità di tutela, cura e di differenziazione con cui siamo usciti dalla famiglia d’origine. Spesso i ragazzi utilizzano la sostanza e scelgono di abusarne al fine, in maniera paradossale, di unire genitori che sono spesso distanti e in contrasto sia a livello educativo sia a livello emotivo.
Ad esempio Andrea (nome inventato) da anni viveva il conflitto dei genitori e viveva con la valigia in mano per andare a giorni alterni dai genitori. Avendo visto i genitori troppo assorti dai loro conflitti ha sviluppato un senso di solitudine e di non visto che lo ha spinto a ricercare protezione nel mondo delle sostanze, spingendo sempre più in là il limite e obbligando i genitori a lasciare la loro battaglia personale per prendersi cura di lui. Questa è solo una delle tante storie che ascolto durante la mia pratica clinica e ritengo che la modalità corretta per aiutare il figlio/a ad uscirne sia:
- reale interesse a comprendere il come mai si sia entrati a contatto con la sostanza/e;
- creare un fronte compatto con cui fare scudo alle richieste spesso contraddittorie e ambivalente che possono prendere vita da parte dell’adolescente ( ad es: se i genitori non sono sempre d’accordo non è un problema ciò che lo diventa è come lo manifestano se attraverso squalifiche e messaggi contraddittori al figlio che generano solo confusione);
- ascolto non giudicante;
- richiesta di consulenza psicologica, in particolare dal punto di vista familiare in quanto spesso il problema è maggiormente sentito dai genitori piuttosto che da coloro che abusano;
- psicoterapia individuale al fine di rafforzare le risorse positive (EMDR) dell’adolescente e ridurre la necessità di assumere la sostanza, capendone anche il significato;
- attivare una rete di protezione con i servizi del territorio ( serd, neuropsichiatria infantile ..) che consenta all’adolescente di essere monitorato nell’assunzione di sostanze;
Questi sono alcuni dei passi da poter intraprendere per aiutare l’adolescente a sviluppare una conoscenza consapevole degli effetti della sostanza e comprendere la scelta di farne uso anche alla luce della storia individuale e familiare raccontata. Ogni atteggiamento, comportamento ha significato se inserito in una trama narrativa, in primis familiare, e successivamente individuale. Uscirne si può basta riuscire a fare squadra e essere interessati all’ascolto attivo e alla comprensione anziché al giudizio, perché, se le sostanze potessero parlare, esprimerebbero una richiesta di aiuto.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale e Terapeuta EMDR.