
Quando l’altro non possiamo cambiarlo, però possiamo accettarlo.
Quante volte ti è capitato di non tollerare più la persona che un tempo ti faceva battere il cuore? Di non accettare alcuni comportamenti e abitudini dell’altro? E di desiderare di cambiarlo/a?
Sicuramente almeno una volta nella vita ti è capitato e probabilmente ha dato origine a sensazioni ed emozioni vicine alla rabbia e alla frustrazione. Ecco che stai leggendo l’articolo che fa per te.
Cosa c’e’ all’origine di tali sensazioni?
Per prima cosa abbiamo tutti il desiderio di stare in una relazione soddisfacente e che porti benessere. Ci viene più spontaneo pensare a ciò che ci aspettiamo piuttosto che a quello che dovremmo fare in prima persona per tale benessere.
Nello specifico scegliere un partner vuol dire vedere molti vantaggi nello stare insieme a quella persona, esserne innamorati e immaginare che continuerà nel tempo. Ecco che nell’innamoramento sei attirato/a dall’altro per alcune caratteristiche che ti aiutano a sentirti bene, a svolgere un ruolo, a soddisfare un tuo bisogno come il prenderti cura, l’affidarti, dare o ricevere protezione e tanto altro.
Con il passare del tempo ciò che accade a tutte le coppie e in tutte le relazioni è la “disillusione” di ciò che ti aspettavi verso ciò che in realtà è l’altro. Accettarlo diventa un processo indispensabile per la prosecuzione del rapporto di coppia.
Cosa ti serve per accettare l’altro?
Rapportarsi agli altri significa lasciarsi sorprendere, vivere in modo nuovo i sentimenti, le abitudini e le emozioni, che però non sempre siamo pronti ad affrontare per la paura del passato o del cambiamento.
Un vero incontro amoroso è rivoluzionario, è una forza che trasforma, e amore non è fondersi con l’altro e nemmeno assorbirlo, ma produrre qualcosa di nuovo, lasciandosi sorprendere.
Il modo migliore è confrontarsi e chiedersi dove si è sbagliato, che cosa non abbiamo capito e cosa possiamo fare per entrare in sintonia. Insomma una sana autocritica che porta alla crescita del rapporto.
Accettare l’altro vuol dire:
- imparare che non tutto va come desideri
- mediare i tuoi bisogni
- comunicare
- ascoltare
- costruire insieme
- gestire la frustrazione
Inoltre ricorda che la coppia è un progetto fatto da un “Noi” non da un “Io” e accettare l’altro è indispensabile per costruire insieme e non divisi. La capacità di costruire progetti insieme dipende molto dalla tua famiglia d’origine e da come hai vissuto le relazioni affettive.
Se senti che come coppia o nelle tue relazioni hai delle difficoltà ad accettare e vivi come attacco personale e intimo ciò che nelle relazioni non funziona, non esitare a contattarmi, via mail Psylisasartori@gmail.com o via telefono 3497867274

5 passi per accrescere l’autostima: ripartire da se stessi.

“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi” – Leo Buscaglia
Una scarsa autostima è spesso alla base di molte difficoltà della vita quotidiana e della modalità di vivere le relazioni e non è un concetto che viene descritto come “Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994)”. Aumentare l’autostima è una condizione necessaria per migliorare il nostro benessere: agisce sulla dimensione sociale, lavorativa, relazionale e non meno importante quella personale. In questi giorni in cui le nostre abitudini, la routine, i nostri posti sicuri possono subire delle variazioni, quello che accade è che restiamo soli con noi stessi e con tutto quello che ne deriva. In un mondo come il nostro nel quale ci “riempiamo” facilmente, vivere con meno e senza alcune scialuppe di salvataggio può mettere in seria difficoltà l’assetto emotivo delle persone. Ecco perché ho deciso di parlarvi di autostima in questo momento in cui forse siamo incentivati a riprendere il contatto con ni stessi.
Dico spesso che il peggiore nemico di noi stessi siamo proprio noi in prima persone, con i nostri giudizi, le nostre idee poco carine verso di noi. Ovviamente non ci svegliamo una mattina e decidiamo di “non volerci bene” ma tale sentimento è frutto di pensieri, storie di vita ed esperienze che rielaboriamo come distruttive anziché costruttive.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Ebbene ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
- Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
- Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
- Processo di auto-osservazione: la persona può valutarsi anche auto-osservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri dando segni
- Relazioni e storia familiare: la modalità relazione che sperimentiamo nella nostra famiglia d’origini ci condiziona nel nostro futuro ed è importante comprenderla per cambiarla.
- Storia traumatica: spesso la storia traumatica, dunque esperienze soggettive negative e dolorose ripetute nel tempo, gettano le basi per una costruzione negativa di sé e sono collegate ad una scarsa autostima.
Come aumentare l’autostima?
Ecco alcune indicazioni per incrementare l’autostima e che partono da alcune piccole azioni quotidiane e che funzionano come delle sane abitudini:
- Scrivi ogni giornata almeno una cosa positiva di cui sei stato l’artefice e annotala;
- Impara a gestire i tuoi pensieri: spesso il pensiero negativo genera altra negatività e quindi è necessario. Quando senti che non ti stai prendendo cura di te, fermati e prova a vederla in termini positivi;
- Prenditi cura di te e del tuo aspetto fisico: non vuol dire apparire ma fare dei gesti quotidiani per te stesso ( attività sportiva, passeggiata, rilassamento…);
- Definisci i tuoi obiettivi e dai un senso alle tue giornate: si dice che per raggiungere gli obiettivi non c’è miglior modo che immaginarsi mentre li si raggiunge;
- Tieni un diario nel quale scrivi pensieri, sensazioni ed emozioni così da esprimere ciò che pensi e senti e laddove è negativo impegnati per cambiarli.
Inoltre, grazie alla psicoterapia, le persone riescono ad accettare alcune parti di sé vissute come poco belle o negative e a migliorarne altre aumentando l’autostima. Se senti di avere altre curiosità o di volere prenderti cura di te stesso contattami pure.
Dott.ssa Lisa Sartori _ Psicologa e Psicoterapeuta.
Emdr: una tecnica utile per aumentare l’autostima
“Impara a piacere a te stesso. Quello che pensi tu di te stesso è molto più importante di quello che gli altri pensano di te. ”
Seneca
L’autostima si costruisce nel tempo con le esperienze quotidiane e di vita che ogni individuo intraprende sia a livello individuale sia rispetto ad alcuni aspetti sociali ed ambientali. Risulta impossibile tralasciare come gli aspetti “familiari” incidano sull’idea di sé.
Infatti attraverso le esperienze familiari e il ruolo che ogni individuo assume nella propria famiglia tendono ad incidere su come ci muoveremo nelle future relazioni e nel mondo. Pensiamo ad esempio ad un figlio definito dalla famiglia come “incapace” e che , probabilmente, lo accompagnerà nella vita di tutti i giorni.
L’autostima è un concetto comunque complesso che si struttura per alcuni aspetti:
- La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di auto-conoscersi;
- L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi;
- L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.
Il ruolo del trauma nella scarsa autostima
E’ stato dimostrato che coloro che hanno scarsa autostima presentano una storia traumatica alle spalle laddove per trauma si intende non solo lutti, incidenti ma anche esperienze soggettive che si possono ripresentare nel corso della vita e che sviluppano idee di sé negative.
Tra gli adolescenti aver subito bullismo in età precoce, sia fisico che verbale, non li aiuta rispetto alla possibilità di costruire identità positiva e utile alla scelta, anche nel futuro, di realtà positive. Anche il bullismo è una forma di trauma perché crea una linea di rottura tra il “prima e il dopo”.
Come lavorare per migliorare l’autostima?
Attraverso un percorso di psicoterapia quello che accade è che si identificano le situazioni, credenze cognitive e i pensieri che sono alla base della scarsa autostima. Si ripercorre la storia di vita alla ricerche di quelle che sono le esperienze “traumatiche” presenti e si lavora sugli aspetti relazionali collegati ad essi.
Inoltre, per attuare un lavoro specifico, si possono individuare esperienze traumatiche utili all’elaborazione attraverso la tecnica emdr, specifica per il superamento del trauma e la costruzione della propria autostima.
In particolare infatti, a seguito di una terapia con emdr la persona rafforza:
- Idea di sé
- Capacità di stare sul presente
- Punti di forza
- Risorse
- Valore di sé come persona
Quello che accadrà dopo Emdr e successivamente alla psicoterapia, quello che accade è che la persona riconoscerà che il passato non può essere cambiato, ma che può essere compreso, sentito ed elaborato al fine di sentirlo meno presente e riporlo effettivamente nel passato, che è il posto dove deve stare.
Contattami per maggiori informazioni e per fissare appuntamento.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico-relazionle e Terapeuta EMDR
Che cos’è il trauma psicologico e come superarlo con emdr.

Dopo un’esperienza traumatica, il sistema umano di auto-conservazione sembra essere in uno stato di allerta permanente, come se il pericolo potesse tornare da un momento all’altro.
(Judith Lewis Herman)
Il trauma psicologico non è raro ed appartiene all’esperienza di vita di tutti noi: esso rappresenta qualsiasi evento che una persona recepisce come estremamente stressante e bloccante, che sia una minaccia reale o percepita, che riguarda noi stessi o gli altri. VI sono diversi tipi di traumi ed essi vengono suddivisi in:
- Traumi con la T maiuscola, che riguardano l’incolumità della persona ( lutto, incidenti, ferite, calamità naturali, attentati)
- Traumi con la t minuscola, che hanno a che vedere con le esperienze più soggettive che ogni persona fa nella propria vita: violenze fisiche o verbali, giudizi, critiche, fallimenti…
Il trauma psicologico, essendo esso stesso personale e intimo, non è sempre facile da superare e ha un ruolo decisivo nello sviluppo della propria identita’. Ad esempio, se ho vissuto spesso situazioni di disprezzo o di svalutazione anche nella famiglia d’origine, quello che può accadere è che l’autostima non si sviluppi al meglio, che sia più facile pensarsi come incapaci piuttosto che come capaci o come coloro che non hanno risorse.
Questi eventi producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare: quando l’elaborazione del trauma psicologico non avviene naturalmente, spesso a causa di vissuti troppo emotivi e dolorosi, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano, e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il benessere della persona.
Quindi è come se il trauma restasse imprigionato nella memoria traumatica e incidesse con un malessere che continua nel tempo e che riemerge quando meno ci si aspetta, con eventi che possono richiamare anche alla lontana l’esperienza. Può quindi capitare che non si riesca sempre a trovare un collegamento tra l’esperienza traumatica e il vissuto attuale, ma ci sia bisogno di tempo e desiderio di scoprirne l’origine, detto ricordo originale.
Quindi come si può superare il trauma psicologico?
Diversamente da quanto si credeva un tempo in psicologia, non è utile il solo parlarne perché quello che è utile alla persona non è solo rievocare il ricordo ma rielaborarlo, riorganizzandolo in luoghi della memoria e delle emozioni più funzionali e meno dolorose. Ecco perché l’emdr è una tecnica che guarisce dal trauma, perché essa funziona andando a riconnettere i vissuti traumatici, i ricordi, con le emozioni e le sensazioni attraverso dei movimenti oculari bidirezionali che consentono al cervello di riattivare un processo di “auto-guarigione”.
Ecco che emdr non è una sorta di magia, ma si basa su studi scientifici e sul funzionamento di reti neuronali che consentono di mettere al centro la persona, con i propri vissuti e con le proprie fragilità andando a recuperare un processo di elaborazione del trauma che sia il più “naturale” possibile.
Inoltre l’emdr consente alla persona di sviluppare risorse e migliorare l’idea “negativa” su di sé al fine di renderla maggiormente positiva ed utile al proprio benessere.
La storia di Clara.
Clara (nome immaginario) viene in psicoterapia perché non riesce ad affrontare situazioni affettive, sente di non riuscire a decidere nelle relazioni anche perché crede di non avere nulla per cui vale la pena essere amata. Questo le genera una profonda sofferenza perché sente di non riuscire a sostenere una relazione, a portarla avanti e vorrebbe riuscire a costruire una famiglia.
Dalla raccolta della sua storia emergono esperienze traumatiche che, seppur ritenute “sottigliezze” da parte di Clara, sono la base delle sue attuali difficoltà. Costanti messaggi quotidiani dal padre rispetto a quanto non fosse brava, capace e che qualsiasi cosa facesse il risultato era che la colpa era la sua, sono un terreno fertile per un’incapacità in età adulta a costruire il proprio benessere.
Per prima cosa abbiamo lavorato per costruire una lista di esperienze che hanno segnato Clara, ordinandole cronologicamente e misurandone l’intensità del dolore ad esse associate. Successivamente si fornisce un “Posto Sicuro” che diventerà il luogo della persona che richiama sensazioni di calma e serenità da richiamare al momento del bisogno anche nella quotidianità. Infine si lavoro sugli aspetti traumatici e, con quanto riportato da Clara concludo questo articolo,.
” Il ricordo c’è, non lo posso cancellare, ma lo sento lontano. Prima mi accompagnava nella vita vita, nelle mie giornate e sento che ora ho la forza per superare le difficoltà.”
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale_ Terapeuta EMDR

Uscire dalla dipendenza da sostanze con EMDR
“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù. L’unica differenza è che si paga con piacere e con un sorriso… anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime” Paulo Coelho
La dipendenza da sostanze ( alcol, marijuana, cocaina, eroina, crack, anfetamine, ecstasy, ketamina, speed…) è una forma patologica di abuso di sostanze che implica un’alterazione del comportamento che da semplice abitudine diviene una ricerca spasmodica del piacere attraverso sostanze, strumenti o comportamenti che conducono alla condizione patologica. Sia che si parli di dipendenza da sostanze sia che si parli delle nuove dipendenze ( internet, gioco, affettiva, sesso) esse hanno comunque alcuni aspetti in comune:
- Tolleranza: ovvero il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza ( oggetto della dipendenza) per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato, l’effetto è notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;
- Astinenza: la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza che si presentano come fisici e psichici;
- Craving o uso compulsivo: una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti. In questa fase, avviene l’interruzione o la riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa della dipendenza.
La dipendenza da sostanza inizia ad emerge fin dalla prima adolescenza ( pre – adolescenza) ed assume spesso un aspetto relazionale e di comunicazione all’interno della famiglia d’origine. Ecco che il giovane adolescente ottiene, per così dire, dei vantaggi secondari dall’uso delle sostanze come la gestione di emozioni dolorose e difficili da sentire e verbalizzare, legami esclusivi con i genitori o almeno con uno di essi e con la sostanza si ferma il tempo familiare: ecco che conflitti, ipotetiche separazioni vengono bloccate dalla dipendenza. Ma la dipendenza può emergere anche in età adulta, seppur già presente nel passato ma può esserci un momento della vita dell’individuo nel quale le sostanze assume un valore importante e decisivo per il presente e il futuro. Ecco che le relazioni e le normali attività ( ricreative e lavorative) cessano a poco a poco di esistere al fine di dedicare sempre più tempo alla propria illusione. Nella dipendenza il sintomo è soltanto la punta dell’iceberg: è invece fondamentale comprendere i motivi per cui la persona è incappata in una forma di dipendenza, indagando la sua storia personale e familiare, professionale, le sue relazioni, i suoi vissuti ed eventuali traumi. Senza fare questo, non è possibile trattare le dipendenze in modo efficace.
Come uscirne?
Per trattare le dipendenze è importante che vi sia la motivazione la trattamento nel caso di una richiesta individuale mentre, spesso negli adolescenti, la richiesta passa per la famiglia che allarmata richiede aiuto. Ecco che gli interventi di psicoterapia , seppur personalizzati, passano dalla presa in carica individuale, di coppia e familiare.
Quali sono i vantaggi dell’emdr nella psicoterapia per le dipendenze?
L’emdr è una tecnica specifica per lavorare sulle memorie traumatiche che persistono nell’individuo e che possono aver contribuito allo sviluppo della dipendenza. E’ stato dimostrato che persone dipendenti sono state esposte a traumi di natura sia psichica che fisica e che tali aspetti spesso nelle dipendenza si perdono perché vengono “soffocati” dalla sostanza. Sentire di non essere desiderati, amati, stimati o ascoltati possono essere solo alcuni delle fratture che persistono nella memoria di ogni individuo. Ecco che grazie all’emdr si ottengono buoni risultati sia sulla dipendenza come comportamento sia sulla dipendenza. A volte la dipendenza stessa porta con sé ricordi traumatici, legati alla storia di abuso e si può lavorare sull’astinenza attraverso diversi protocolli che aiutano la persona ad ascoltare la dipendenza a livello comunicativo e lavorare al fine di installare le risorse utili all’individuo per superare la dipendenza.
Ecco che il lavoro con Emdr all’interno della psicoterapia sistemico relazionale si può così riassumere:
- costruzione della storia individuale, familiare e della dipendenza;
- lavoro con emdr sull’astinenza;
- lavoro con emdr sui ricordi traumatici che necessitano della sostanza per essere controllati;
- si focalizzerà sul futuro, per preparare la persona ad affrontare le situazioni e gli eventi in modo sano senza ricorrere alla sostanza.
Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale

Come superare la paura delle malattie.
“Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”
Eraclito
La paura delle malattie è una paura del tutto normale ma per qualche persona diventa invalidante, difficile da gestire. Nei racconti di coloro che si definiscono “ipocondriaci” vi è una costante attenzione ad ascoltare le proprie sensazioni fisiche, come se vi fosse un costante stato di allerta frutto anche della costante attenzione: ecco che prende vita il circolo vizioso. Più mi ascolto e più avrò qualcosa da ascoltare: un respiro più faticoso del solito, un crampo, un dolore localizzato o generalizzato…
L’ipocondria è dunque una forma di “fobia” che spesso nasce da una sorta di pensiero “ossessivo” e da una ricerca costante di qualcosa da valutare e/o indagare.
Che cos’è l’ipocondria?
La caratteristica essenziale della ipocondria è la preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia. Questa è solitamente basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici.
Si può parlare di ansia di malattia (o paura delle malattie), ovviamente, solo se una valutazione medica completa ha escluso qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o sintomi fisici. Ecco che spesso coloro che soffrono di tale difficoltà arrivano in psicoterapia inviati spesso da medici di base, oppure da familiari preoccupati.
Una lettura sistemico-relazionale..
Ovviamente tale atteggiamento verso di sé non si apprende in maniera casuale ma, secondo l’approccio sistemico- relazionale, si inserisce all’interno di un sistema relazionale di appartenenza. Malattie vissute o assistite, morti o iper attenzione all’area medica da parte dei familiari sembrano essere comuni a coloro che soffrono di ipocondria. In particolare sembra dominare la “semantica della libertà” nei pazienti con disturbi fobici, ovvero sembra che le conversazioni familiari siano organizzate attorno al concetto di dipendenza e libertà. Ecco che le persone fobiche hanno una tendenza ad aver bisogno di un altro che funga da riferimento, da ancora di salvezza ma che diventa invece un vincolo alla libertà. Si è tuttavia liberi solo quando si è in grado di fronteggiare da soli un mondo pericoloso.
Come uscirne?
Ecco che il modo di superare l’ipocondria passa per due importanti step:
- aiutare la persona che arriva in terapia a sviluppare delle strategie che inizialmente gli consentano di gestire lo stato di attivazione e di ridurlo (emdr- prescrizioni paradossali); L’emdr consente alla persona di elaborare le esperienze traumatiche collegate all’ipocondria e alla paura al fine di desensibilizzarle e installare le risorse utili per la guarigione;
- cogliere il significato relazionale della paura che spesso riporta a relazioni vissute come vincolanti, preferenziali e con un limite immaginario dal quale la persona necessita e desidera superare ma che teme di essere libero di farlo.
Paradossalmente quando una persona arriva in psicoterapia ha tentato un certo numero di soluzioni e alcune, forse, per un po’ hanno anche funzionato, come ad esempio controllare ripetutamente in google, fare esami clinici, sentire diversi pareri medici, provare medicine alternative o chiedere costanti rassicurazioni… cosi come per l’ansia questo non fa altro che rendere l’individuo ancora meno in grado di percepirsi efficace nel superare gli ostacoli e di uscire dalle trappole mentali. Ecco che nella prima parte del percorso si cercherà di fornire a lui altre possibile strategie più incentrare sulla gestione della paura piuttosto che sul suo controllo. Inoltre comprendere il significato che esso ha nella sua vita relazione può essere il punto di svolta per dare voce al sintomo e arrivare al messaggio comunicativo che in esso è sempre incluso. A chi è destinato lo si scoprirà con la psicoterapia e con un lavoro su di sé e sulle proprie relazioni.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico relazionale.

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Relazioni im-possibili.
“Una persona che si adatta completamente all’altra alla fine non piace poi così tanto”
Capita spesso che, nelle difficoltà relazionali, ciò che porta più spesso le persone in psicoterapia è l’incapacità di sentirsi in grado di mantenere una relazione, di scegliere la persona giusta e di scendere a compromessi. Tali situazione può dar vita ad una serie di domande che risuonano nelle mura dello studio e nella mente delle persone e che hanno dato vita a questo articolo: “Perché non riesco a mantenere una relazione?”, “Come mai alla fine finisco per fare come sempre, ovvero per stancarmi?”, “Vorrei poter essere tranquilla/o con una persona ma non ci riesco”, “Scelgo sempre le persone sbagliate, come mai?”…
La richiesta che viene fatta allo psicoterapeuta spesso è quella di avere delle risposte, una spiegazione il più chiara possibile di ciò che vincola la persona nella relazione. Quello che però, da un punto di vista terapeutico assume un significato decisivo, è comprendere da dove abbiamo imparato a reagire/comportarci/ relazionarci in un determinato modo perché gli incontri, la coppia e le relazioni non sono frutto del caso ma si formano in base ai bisogni psicologici e affettivi che ognuno sviluppa fin da piccolo e che spesso non sono consapevoli.
Quindi quando mantenere, costruire una relazione diventa difficile a cosa può essere dovuto?
- modalità di attaccamento insicuro/ambivalente: le figure di accudimento durante l’infanzia ( per svariati motivi) non sono riusciti a fornire una base sicura affettiva e su questa insicurezza si sono sperimentate le prime relazioni; paura dell’abbandono, sentire di non merita l’altro e di non meritare amore possono diventare pensieri che vincolano alla possibilità di vivere le relazioni;
- storia familiare: separazioni, conflitti , aspettativi e miti familiari possono condizionare la libertà di costruirsi una relazione duratura;
- paura delle relazioni e di stare nella coppia: stare nelle relazioni implica la possibilità di sentirsi in balia dell’altro, può portare alla perdita del controllo e necessità della gestione delle emozioni così come di un livello di consapevolezza emotiva;
- bisogni affettivi: cosa ci si aspetta dall’altro/a ( attenzione, cura, sostegno ecc…) rappresentano spesso i bisogni che ogni individuo riversa nell’altro ma senza comunicarlo all’altro, essendo spesso inconsapevoli. Essi però determinano chi ricerchiamo e come mai lo ricerchiamo, cosa ci gratifica e cosa ci infastidisce, e non è un caso.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che possono dare senso ad un ipotesi sul come mai sia difficile mantenere relazioni e diventa altrettanto importante comprendere che significato viene fornito a tale difficoltà dal conteso familiare, sociale e amicale nel quale in singolo individuo è inserito.
Come migliorare?
E’ sempre possibile migliorare ma è necessaria la consapevolezza e dunque fare un lavoro psicoterapeutico di costruzione della propria storia familiare, comprendere che ruolo o i ruoli che la persona ha dovuto o scelto di assumere con le relazioni significative e lavorare sui bisogni che spesso sono la chiave di svolta per migliorare partendo da sé stessi, senza aspettare che sia qualcuno a renderci sereni con noi stessi.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta

Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.