
L’utilità della rabbia nelle relazioni
La rabbia è un’emozione prima e come tale è impossibile non provarla nella vita. Nonostante la sua natura innata è curioso il fatto che spesso alcune persone riferiscono di non riuscire ad arrabbiarsi, di non essere in grado di reagire. La vita nelle relazioni è spesso turbolenta come in parte è giusto che sia, perché le relazioni spesso diventano il luogo metaforico dove “scaricare” dolori e gioie della vita.
Cos’è la rabbia ed a cosa serve
La rabbia è un sentimento primordiale, di base, che è determinato dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova. Quindi, possiamo dire che la rabbia inizialmente ha una funzione adattiva. La rabbia è dunque utile ma spesso viene percepita come negativa, ovvero da evitare. Questo accade perché la gestione della rabbia viene spesso meno e le persone manifestano atteggiamenti aggressivi spesso verso oggetti e/o persone. Nella maggior parte dei casi, quindi, non è la rabbia il problema ma lo è la sua gestione che può sfociare, se inesistente, ad agiti distruttivi.
Questa tendenza a confondere rabbia con aggressività ha portato alla tendenza a “rifiutarla” o “nasconderla” perché ritenuta sbagliata o negativa. D. mi riferiva a colloquio che a casa sua non ci si poteva arrabbiare perché sembrava brutto. Piuttosto si sopportava e si sperava che passasse tutto.
Ho scelto di scrivere questo pensiero di D., persona che ho seguito per difficoltà relazionali, al fine di introdurre il tema della famiglia d’origine e del suo ruolo nella gestione ed espressione emotiva.
La famiglia d’origine gioca un ruolo determinante nel mondo delle emozioni: alcune sono permesse, altre vietate spesso implicitamente nel corso delle azioni quotidiane. Ad esempio messaggi come “non piangere perché lo fanno i deboli” è un messaggio che ti lascia intendere che piangere non sia per persone forti…
Perché la rabbia è necessaria nelle relazioni
E’ impossibile avere una relazione e non arrabbiarsi, a prescindere dalla sua natura che sia amicale, affettiva, familiare o lavorativa.
Se però prendiamo le relazioni tossiche, la rabbia ti aiuta a mettere un confine tra te e l’altro, a permetterti di sentire ciò che ti ferisce e difendere la tua persona. Saper dire “Quello che hai detto/fatto/pensato mi fa star male/mi fa arrabbiare” può essere un forte strumento contro le incomprensioni e l’impotenza nella relazione.
La rabbia, affinché ci regali il suo lato positivo, è necessario saperla gestire. Ecco alcuni passi che ti consentiranno di utilizzare al meglio la rabbia nelle tue relazioni:
- temporeggia, non rispondere immediatamente alla rabbia
- ascolta te stesso, mentre prendi tempo chiediti cosa ti fa arrabbiare e come ti senti (spesso se ascolti la rabbia sentirai altre emozioni/sensazioni come tristezza, paura, solitudine, delusione ecc…)
- comunicala successivamente e esprimi chiaramente come ti sei sentita/o nel momento della rabbia
A tutti coloro che affermano di non riuscire a sentire la rabbia, ricordo che tutti, prima o poi la proviamo. E’ necessario però allenarci a riconoscerla. Per chi vive spesso momenti di tristezza e di rassegnazione, ad esempio, allenarsi a sentire la rabbia è un buon modo per recuperare anche energie utili per riuscire a cambiare la situazione.
Come puoi fare dunque per imparare a riconoscere la rabbia? Basta una semplice domanda che potrai iniziare a farti: “Avrei dei buoni motivi per arrabbiarmi?”
Ricorda: la rabbia ti è utile e se la ascolterai saprai anche riuscire a prendere delle migliori decisioni a tuo beneficio e non a quello degli altri. Chi non si concede di esprimere la rabbia, spesso non conosce i propri bisogni.
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Guarire il trauma con Emdr
“Non essere completamente vivi nel presente mantiene saldamente imprigionati nel passato”
(Bessel Van Der Kolk)
Per trauma si intende, dal punto di vista psicologico una frattura causata da un evento talmente stressante da sovrastare le capacità della persona di gestire le situazioni e difendersi dal loro impatto negativo. I traumi possono essere molteplici e non solo fisici ma anche psicologici: trascuratezza, lutti, perdite, trasferimenti, abbandoni ecco alcuni degli eventi che possono condizionare il presente e futuro della persona.
Attraverso le esperienze negative la persone svilupperà anche un’idea di sé che sarà, nella maggior parte delle situazioni, coerente con l’immagine negativa di sé che l’evento richiama: non essere all’altezza, essere sbagliati, non valere ecc… Ecco che, con tali premesse, la vita presente e futura appare difficile e poco gratificante per la persona.
Cosa succede al corpo successivamente al trauma?
Quello che accade al corpo esposto ad una situazione reale o percepita di pericolo è quella di attivare le difese, di difendersi e di prepararsi alla prossima minaccia: è in tale situazione di allarme che la persona vive.
Cosa accade alla psiche?
Tendenzialmente quello che accade è che la mente aiuta la persona a difendersi da ricorsi troppo dolori e dunque avviene una sorta di “dissociazione” con se stessi e le proprie emozioni. I segnali sono:
- mancanza di ricordi e difficoltà ad accedervi;
- difficoltà nel vivere e riconoscere le emozioni pressoché assenti ma perché percepite come perciolose dalla persona;
- costante stato di allarme;
- idea negativa di sé;
- scarsa autostima;
- difficoltà relazionali.
Inoltre, essendo sempre in attesa, accade inoltre che qualsiasi situazioni possa riattivare esperienze passate traumatiche: lo stress, infatti, tende a disattivare le strutture del sistema nervoso centrale deputate alla memoria autobiografica (ippocampo), mentre quelle legate alla memoria emotiva (amigdala, talamo, corteccia sensoriale) trattengono i ricordi nelle primitive forme sensoriali ed iconiche.
Come superarlo?
La difficoltà maggiore per le persone che presentano esperienze traumatiche è “esserci nel presente” proprio perché imprigionati nel passato. E’ importante aiutare la persona non solo nel sentirsi libera di riprendere vissuti dolorosi ma di aiutarla a trasformarli in vissuti meno dolorosi e vincolanti. Ecco che al percorso terapeutico si aggiunge una tecnica decisiva e di impatto per il benessere della persona.
Grazie alla tecnica EMDR avviene un’adeguata elaborazione che consenta alla persona di “collegare” mente, corpo ed emozioni per elaborare e poter modificare il ricordo memorizzato trasformandolo da negativo a positivo. Oltre a questo si accompagnerà la persona nello sviluppo di risorse e scenari ipotetici futuri che possono bloccare al fine di sbloccare l’esperienza negativa e l’idea di sé negativa.
Per maggiori informazioni o per fissare appuntamento, contattami compilando il link contatti.
Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Relazionale_ Terapeuta EMDR

Come superare un tradimento.
“Nasce dal colore di una rosa appassita un’altra vita”.
(Tiziano Ferro)
“In amore si dice che nulla è per sempre o quasi” dice Angela (nome inventato) appena arrivata in terapia. Ha gli occhi colmi di lacrime e il cuore “ferito” dalla persona che più amava e da colui che reputava essere la persona che l’avrebbe accompagnata per il resto della vita. Quello che accade è che le cose non sono andate come si aspettava e che la relazione che prima era il suo posto sicuro ora era il posto da cui scappare; con lei c’è Mario ( nome inventato) avvilito e senza parole.
Questa è solo una delle tante storie di coppie in crisi a seguito di un tradimento, scoperto o dichiarato, il quale può diventare la goccia che fa traboccare il vaso. In terapia arrivano coppie che sentono di non poter “permettersi di lasciarsi” perché vi sono impegni in comune, figli e altre possibili motivazioni oppure uno dei due viene trascinato in terapia, spesso da colui che ha tradito e che però vuole recuperare la relazione. E’ in questi casi che si declina una terapia di coppia volta a comprendere la dimensione coppia, ad affrontare emozioni e pensieri che vincolano la relazione attualmente e che hanno bisogno di tempo e di essere espresse. Poi ci sono situazioni dove il tradimento diventa l’occasione per finire una relazione, ma in questo articolo ci soffermiamo su coloro che non si fermano al tradimento.
Perché si tradisce?
Rispondere a questa domanda è un compito molto importante e spesso non trova una sola risposta. Per prima cosa è importante concepire il tradimento come una sorta di “sintomo” che comunica qualcosa alla coppia. Vedere il tradimento con gli occhi di chi tradisce ci può portare a formulare differenti ipotesi:
- Problemi con il partner;
- Mancanza di attenzioni;
- Difficoltà di comunicazione;
- Insoddisfazione (emotivo, sessuale, incompatibilità caratteriale, mancanza di comunicazione, ecc.);
- Stanchezza;
- Difficoltà a ridefinire i bisogni individuali;
- Desiderio di provare emozioni forti;
- Paura di farsi coinvolgere da una relazione in particolare;
- Paura d’amare;
- accordo implicito alla coppia ( dovuto a vantaggi per entrambi).
Queste sono alcune delle motivazioni che possono spingere verso il tradimento. Ovviamente ciò che consente di fare la terapia è di trasformare tale “evento” in occasione di rinascita per la coppia laddove possibile. Una buona percentuale di tradimenti avviene per soddisfare dei propri bisogni personali, che non trovano soddisfacimento all’interno del rapporto.
Come superare il tradimento?
Per superare il tradimento, da entrambe le parti, è importante costruire uno spazio neutro nel quale affrontare le rispettive “Responsabilità” per mantenere viva la coppia anche nel momento di difficoltà. Facile è entrare in dinamiche di colpa che sono utili per scaricare l’aspetto emotivo ma sono sterili per la ricostruzione della coppia. Ecco che con un percorso di coppia è possibile affrontare differenti aspetti:
- L’aspetto emotivo e la ferita che tale evento porta con sé;
- i segnali non visti e non comunicati alla base del tradimento;
- gli obiettivi futuri e i desideri;
- la costruzione di un nuovo patto di coppia che consideri la coppia per quello che è oggi;
- vedere il tradimento come “sintomo” di una difficoltà di coppia e individuale nel momento in cui la persona usa il tradimento per non parlare di sé e delle sue difficolta.
Inoltre il tradimento intacca l’identità individuale e risuona nelle corde di ogni individuo diversamente a prescindere dalla propria storia individuale e relazionale.
Concludo con la storia di Angela e con l’ultimo incontro di coppia:
” A coloro che mi chiedono come ho fatto a perdonarlo dopo tutto quello che abbiamo costruito e che ha distrutto io ora rispondo che io dovrò perdonarlo per il tradimento ma io devo farmi perdonare da lui per ciò che prima non andava e che non vedevo. Io ho riversato tale difficoltà nella dipendenza lui nel tradimento”.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Come superare la paura delle malattie.
“Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”
Eraclito
La paura delle malattie è una paura del tutto normale ma per qualche persona diventa invalidante, difficile da gestire. Nei racconti di coloro che si definiscono “ipocondriaci” vi è una costante attenzione ad ascoltare le proprie sensazioni fisiche, come se vi fosse un costante stato di allerta frutto anche della costante attenzione: ecco che prende vita il circolo vizioso. Più mi ascolto e più avrò qualcosa da ascoltare: un respiro più faticoso del solito, un crampo, un dolore localizzato o generalizzato…
L’ipocondria è dunque una forma di “fobia” che spesso nasce da una sorta di pensiero “ossessivo” e da una ricerca costante di qualcosa da valutare e/o indagare.
Che cos’è l’ipocondria?
La caratteristica essenziale della ipocondria è la preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia. Questa è solitamente basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici.
Si può parlare di ansia di malattia (o paura delle malattie), ovviamente, solo se una valutazione medica completa ha escluso qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o sintomi fisici. Ecco che spesso coloro che soffrono di tale difficoltà arrivano in psicoterapia inviati spesso da medici di base, oppure da familiari preoccupati.
Una lettura sistemico-relazionale..
Ovviamente tale atteggiamento verso di sé non si apprende in maniera casuale ma, secondo l’approccio sistemico- relazionale, si inserisce all’interno di un sistema relazionale di appartenenza. Malattie vissute o assistite, morti o iper attenzione all’area medica da parte dei familiari sembrano essere comuni a coloro che soffrono di ipocondria. In particolare sembra dominare la “semantica della libertà” nei pazienti con disturbi fobici, ovvero sembra che le conversazioni familiari siano organizzate attorno al concetto di dipendenza e libertà. Ecco che le persone fobiche hanno una tendenza ad aver bisogno di un altro che funga da riferimento, da ancora di salvezza ma che diventa invece un vincolo alla libertà. Si è tuttavia liberi solo quando si è in grado di fronteggiare da soli un mondo pericoloso.
Come uscirne?
Ecco che il modo di superare l’ipocondria passa per due importanti step:
- aiutare la persona che arriva in terapia a sviluppare delle strategie che inizialmente gli consentano di gestire lo stato di attivazione e di ridurlo (emdr- prescrizioni paradossali); L’emdr consente alla persona di elaborare le esperienze traumatiche collegate all’ipocondria e alla paura al fine di desensibilizzarle e installare le risorse utili per la guarigione;
- cogliere il significato relazionale della paura che spesso riporta a relazioni vissute come vincolanti, preferenziali e con un limite immaginario dal quale la persona necessita e desidera superare ma che teme di essere libero di farlo.
Paradossalmente quando una persona arriva in psicoterapia ha tentato un certo numero di soluzioni e alcune, forse, per un po’ hanno anche funzionato, come ad esempio controllare ripetutamente in google, fare esami clinici, sentire diversi pareri medici, provare medicine alternative o chiedere costanti rassicurazioni… cosi come per l’ansia questo non fa altro che rendere l’individuo ancora meno in grado di percepirsi efficace nel superare gli ostacoli e di uscire dalle trappole mentali. Ecco che nella prima parte del percorso si cercherà di fornire a lui altre possibile strategie più incentrare sulla gestione della paura piuttosto che sul suo controllo. Inoltre comprendere il significato che esso ha nella sua vita relazione può essere il punto di svolta per dare voce al sintomo e arrivare al messaggio comunicativo che in esso è sempre incluso. A chi è destinato lo si scoprirà con la psicoterapia e con un lavoro su di sé e sulle proprie relazioni.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico relazionale.

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

L’utilità del conflitto di coppia per la coppia.
“Abbiamo smesso di litigare perché abbiamo smesso di sperare che potesse cambiare qualcosa, e ci siamo ritrovati più lontani di prima” (Daria Bignardi)
Spesso si è abituati a considerare il conflitto come evento negativo e distruttivo tralasciando l’aspetto evolutivo che in esso è racchiuso: ci consente, se utilizzato in maniera adeguata, di definirci e di comunicare bisogni, aspettative ed emozioni all’altro. Ciò che accomuna le coppie, oltre alla fase dell’innamoramento è la presenza del conflitto e può accadere di raggiungere una situazione di stallo, ovvero una situazione dalla quale sembra non esserci via d’uscita. Questo accade inevitabile quando ciascuno dei due partner rimane fermo sulla propria posizione, sulle proprie convinzioni, rifiutandosi di comprendere il punto di vista altrui per giungere ad un compromesso. Quando la coppia è sul punto di scoppiare può accadere che i litigi vertano su aspetti a volte banali, futili e che non sarebbero mai stati oggetto di discussione in altri momenti. Ecco che costruire un momento di incontro nel conflitto diventa impossibile e qualsiasi iniziativa e/o tentativo diventa la conferma dell’idea su come funziona la coppia o la relazione: rabbia, sentimenti di noia e frustrazioni, fallimento, tristezza, disgusto, impotenza sono alcuni tra le emozioni e i sentimenti maggiormente vissuti da chi vive una situazione di coppia alle prese con conflitti ripetuti e quotidiani.
La sensazione di non poterli superare e i circoli viziosi che prendono vita portano i partners a sentirsi “bloccati” e a non sapere come muoversi nella coppia.
Quali sono alcune delle possibili cause che portano ad un conflitto insanabile e bloccante?
- Deficit nella comunicazione: la chiave di ogni relazione sta nella comunicazione sia verbale che non verbale e sulla possibilità di fare giungere in maniera efficace il messaggio;
- Rigidità: la persone tende a considerare come buone le proprie idee e le proprie azioni sostenendole in maniera rigida privando se stessa della possibilità di mettersi in discussione;
- Bisogni e aspettative personali disilluse: quando quello in cui si crede e ciò di cui si sente di avere bisogno non si realizza o non trova un determinato riconoscimento la persona si sente ferita e tradita senza considerare la sua responsabilità nella costruzione di tale situazione.
Come trasformare il conflitto in momento di incontro?
Per riuscire a “sbloccare” una situazione di stallo di coppia è importante partire da se stessi e non dal pensiero giudicante verso l’altro. E’ importante leggere il conflitto in chiave evolutiva e comprenderne l’aspetto trasformativo perchè spesso è nel conflitto che comunichiamo a noi stessi e agli altri cosa funziona, cosa necessita di ulteriore manutenzione e ciò per cui vale la pena lottare.
Ecco qui alcuni punti salienti per riuscire a costruire una “svolta” di coppia:
- Calma le emozioni: il vecchio detto “contare fino a 10 prima di parlare” in questi casi potrebbe risultare utile dal momento che comunicare in preda alle emozioni non è efficace sia a livello di “contenuto” ( che non arriva in maniera chiara) sia per la lucidità nel cogliere potenziali risposte e risvolti;
- Conosci te stesso e la tua storia familiare: sapere quali sono i propri bisogni e le proprie aspettative consente di soffermarsi su ciò che parte da se stessi senza farsi governare da essi e la propria storia familiare è la chiave di lettura anche delle difficoltà relazionali;
- Comunica il tuo stato d’animo e le tue emozioni: quello che è utile è comunicare il “come ci si sente” nella determinata situazione piuttosto che concentrarsi sull’altro, su cosa dice o fa. Ad esempio quando ci si sente feriti da ciò che l’altro ci comunica sarebbe utile dire ” Quello che dici mi ferisce/ mi sento ferito..”, piuttosto che ” TU sbagli, giudichi, ferisci ecc..”. Questo vi permetterà di abbassare il livello di attivazione ed accedere ad un canale emotivo;
- Mettiti nei panni dell’altro: potrai provare ad osservare la situazione dal suo punto di vista provando a metterti nei suoi panni;
- Ricordarsi i buoni motivi per cui si è scelto il partner…
Questi sono punti di partenza per provare a trasformare il conflitto ma a volte può essere necessario uno spazio neutrale nel quale riuscire, grazie all’aiuto di uno psicoterapeuta di coppia, ad osservare la propria storia e se stessi al fine di dare voce e significato al conflitto, ricostruendo una dimensione “NOI”.
A volte il conflitto non è sanabile e la coppia sceglie di separarsi: è importante anche in questo caso poter lavorare, soprattutto in presenza di figli, nella tutela del ruolo genitoriale costruendo nuove modalità comunicative e relazionale, elaborando emozioni e vissuti spesso invalidanti.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Emdr: una terapia efficace per l’ansia e il panico.
“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi”
Leo Buscaglia
Prima di addentrarci nel mondo dell’ansia e del suo trattamento è importante soffermarsi su cosa sia l’ansia e quale funzione assume nella vita di ogni individuo. Per prima cosa è importante ricordare che l’ansia è uno stato “normale” di attivazione fisiologica che avviene in ogni individuo assumendo una funzione spesso di sopravvivenza: ci dice che qualcosa ci sta spaventando o che siamo vicini ad un pericolo reale od immaginario. E’ dunque un’emozione universale e non sempre negativa, ed assume un valore importante a livello comunicativo, in particolare tale aspetto viene sottolineato nell’ottica sistemica- relazionale la quale si interessa al forte potere relazione dell’ansia. Infatti le storie di coloro che soffrono di ansia parlano di separazioni, di lontananze impossibili o di cambiamenti difficili e insieme a loro vi è almeno una figura importante coinvolta nell’ansia, fungendo spesso da sostegno e rassicurazione che paradossalmente aumenta però la manifestazione dell’ansia. Quando si soffre di un disturbo d’ ansia si vive in perenne stato di allarme e iper-vigilanza, come se si fosse costantemente in pericolo anche in assenza di oggettive minacce o rischi: le situazioni o i compiti più semplici da affrontare possono risultare ostici e pericolosi e proprio per questo tendono ad essere evitarli.
Quali sono i disturbi d’ansia?
Per disturbi d’Ansia ci si riferisce ad una macrocategoria che include:
- Disturbo di Panico (con e senza agorafobia);
- Fobie specifiche (ad esempio fobia dei ragni, fobia del sangue o delle iniezioni, fobia dell’ aereo o delle gallerie);
- Fobia Sociale (paura o imbarazzo marcato che si attivano in situazioni sociali o prestazionali);
- Disturbo d’ Ansia Generalizzato (ansia e preoccupazione eccessive quotidiane associate a irritabilità, difficoltà a concentrarsi e alterazioni del sonno).

Prima e dopo il trattamento EMDR
Emdr nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Passiamo ora al trattamento efficace attraverso EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) nasce come trattamento per Disturbo da Stress Post Traumatico e diventa efficace nel trattamento di molti altri disturbi, compreso l’ansia e il panico. Essa consente di:
- elaborare i traumi dell’attaccamento al momento attuale;
- desensibilizzare il ricordo “traumatico” legato alle esperienze di ansia e panico e lavorare sulle risorse utili per guarire;
- migliorare le abilità sociali e individuali;
- accrescere l’autostima e il senso di autoefficacia per affrontare le sfide della vita;
- prevenire e gestire l’ansia e il panico;
- lavorare sulla dimensione futura.
Come avviene la psicoterapia con Emdr?
Per prima cosa è necessario dedicare alcuni incontri di psicoterapia alla raccolta della storia del problema e alla storia familiare dal momento che, anche alcuni momenti particolari di vita o fasi del ciclo di vita familiare, possono determinare l’insorgenza del sintomo. Prima di iniziare con la tecnica è importante, come in ogni percorso terapeutico, costruire l’alleanza terapeutica al fine di costruire un posto sicuro nel quale trattare aspetti delicati e dolorosi della propria esperienza di vita.
Successivamente si andrà a lavorare sul ricordo dell’ansia e delle situazioni vissute lavorando attraverso la tecnica EMDR nel ricordo traumatico e sull’idea di sé che tale episodio contribuisce a costruire e che spesso è negativa; si lavora sul ricordo di alcune esperienze che possono aver contribuito all’insorgere del disturbo d’ansia ( tendenzialmente nei primi 10 anni di vita) . Inoltre si lavora sul ricordo delle prime volte in cui si è provata l’ansia e le volte peggiori, così da neutralizzare queste reazioni e permettere alla persona di affrontare le situazioni in modo funzionale.
Come mai è efficace?
Attraverso l’ EMDR si analizzano e rielaborano gli episodi più critici e le manifestazioni più acute dei sintomi d’ansia.
Spesso l’esordio della sintomatologia ansia-correlata è preceduto da esperienze traumatiche che in qualche misura ne determinano l’insorgenza.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

Relazioni im-possibili.
“Una persona che si adatta completamente all’altra alla fine non piace poi così tanto”
Capita spesso che, nelle difficoltà relazionali, ciò che porta più spesso le persone in psicoterapia è l’incapacità di sentirsi in grado di mantenere una relazione, di scegliere la persona giusta e di scendere a compromessi. Tali situazione può dar vita ad una serie di domande che risuonano nelle mura dello studio e nella mente delle persone e che hanno dato vita a questo articolo: “Perché non riesco a mantenere una relazione?”, “Come mai alla fine finisco per fare come sempre, ovvero per stancarmi?”, “Vorrei poter essere tranquilla/o con una persona ma non ci riesco”, “Scelgo sempre le persone sbagliate, come mai?”…
La richiesta che viene fatta allo psicoterapeuta spesso è quella di avere delle risposte, una spiegazione il più chiara possibile di ciò che vincola la persona nella relazione. Quello che però, da un punto di vista terapeutico assume un significato decisivo, è comprendere da dove abbiamo imparato a reagire/comportarci/ relazionarci in un determinato modo perché gli incontri, la coppia e le relazioni non sono frutto del caso ma si formano in base ai bisogni psicologici e affettivi che ognuno sviluppa fin da piccolo e che spesso non sono consapevoli.
Quindi quando mantenere, costruire una relazione diventa difficile a cosa può essere dovuto?
- modalità di attaccamento insicuro/ambivalente: le figure di accudimento durante l’infanzia ( per svariati motivi) non sono riusciti a fornire una base sicura affettiva e su questa insicurezza si sono sperimentate le prime relazioni; paura dell’abbandono, sentire di non merita l’altro e di non meritare amore possono diventare pensieri che vincolano alla possibilità di vivere le relazioni;
- storia familiare: separazioni, conflitti , aspettativi e miti familiari possono condizionare la libertà di costruirsi una relazione duratura;
- paura delle relazioni e di stare nella coppia: stare nelle relazioni implica la possibilità di sentirsi in balia dell’altro, può portare alla perdita del controllo e necessità della gestione delle emozioni così come di un livello di consapevolezza emotiva;
- bisogni affettivi: cosa ci si aspetta dall’altro/a ( attenzione, cura, sostegno ecc…) rappresentano spesso i bisogni che ogni individuo riversa nell’altro ma senza comunicarlo all’altro, essendo spesso inconsapevoli. Essi però determinano chi ricerchiamo e come mai lo ricerchiamo, cosa ci gratifica e cosa ci infastidisce, e non è un caso.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che possono dare senso ad un ipotesi sul come mai sia difficile mantenere relazioni e diventa altrettanto importante comprendere che significato viene fornito a tale difficoltà dal conteso familiare, sociale e amicale nel quale in singolo individuo è inserito.
Come migliorare?
E’ sempre possibile migliorare ma è necessaria la consapevolezza e dunque fare un lavoro psicoterapeutico di costruzione della propria storia familiare, comprendere che ruolo o i ruoli che la persona ha dovuto o scelto di assumere con le relazioni significative e lavorare sui bisogni che spesso sono la chiave di svolta per migliorare partendo da sé stessi, senza aspettare che sia qualcuno a renderci sereni con noi stessi.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta

Quando la coppia infelice non scoppia.
“Gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda.”
( F.M Dostoevskij)
Essere coppia è una sfida che mette ogni individuo alla prova rispetto ai propri limiti, risorse e modalità di comunicazione e di relazione. La complessità della relazione di coppia sta anche nel momento della disillusione come fase nella quale entrambi in partner si “accorgono” realmente di com’è l’altra persona con i pregi ed i suoi difetti in particolare. Questo perché dopo la fase dell’illusione ( ovvero dell’innamoramento ) quello che accade è che inevitabilmente ( e lo è per tutti ) l’altro viene visto con le proprie lenti di osservazione attraverso i propri bisogni e aspettative.
Cosa succede dopo la fase della disillusione?
La coppia può “ricontrattare” i motivi che li spingono a stare insieme, cercando la realizzazione e il raggiungimento dei bisogni e aspettative che sentono come necessarie sia nella loro idea di coppia (che si forma anche sulla base della propria storia di origine) , sia per il loro benessere individuale.
Ritengo necessaria questa breve introduzione al mondo della coppia al fine di comprendere come si può essere infelici nella coppia e non riuscire a separarsi. In questo articolo citerò anche alcuni aspetti emersi dalla mia tesi di ricerca su tale argomento. A tal proposito emerge come necessario sottolineare alcuni aspetti implicati nella capacità di separarsi in maniera adeguata:
- l’influenza dei miti familiari; emerge infatti come decisivo l’aspetto del mito familiare ( ad esempio sacrificio, rivendicazione, lavoro, famiglia unita ecc…) che incide sulla modalità con la quale si legge anche il conflitto includendo anche come una possibile separazione venga vissuta dalla famiglia;
- aspetti individuali legati all’idea che ogni individuo ha di sé: ad esempio persona in grado di meritare amore, persona che vale ecc…;
Questa è la base nella quale si appoggia la crisi di coppia, ma cosa spinge le persone a non separarsi e restare infelici? Dalla mia esperienza clinica e dalle ricerche in letteratura si possono individuare alcuni motivi possibili:
- L’impossibilità di vivere un fallimento; quando finisce una relazione ciò che accade è che essa può essere paragonata ad un lutto, con tutte le sue fasi di passaggio. Il fallimento è di coppia, relazionale e individuale nonché sociale perché la coppia appartiene comunque ad un gruppo che in qualche modo viene a conoscenza del fallimento. Inoltre la famiglia d’origine assume un ruolo decisivo perché verso di essa possono esserci aspetti di rivendicazione e risarcimento importanti che però non trovano risoluzione nella coppia;
- L’incapacità di reinvestire su di sé: nella coppia può capitare che uno dei due partner si metta da parte al fine di tutelare l’equilibrio della coppia ( seppur precario ) ed è proprio questa persona che spesso potrebbe sentirsi smarrita all’idea di percepirsi senza qualcuno o senza la coppia / famiglia;
- I figli; questo aspetto è di cruciale importane in quanto si tende a pensare che sia meglio per i figli avere genitori in lotta ma insieme piuttosto che genitori felici ma separati. Quello che accade è che non è un problema la separazione in sé quanto piuttosto come essa viene gestita, comunicata e vissuta sia dalla coppia che dal nucleo familiare. I conflitti dei genitori, che siano insieme o separati, possono avere serie ripercussioni emotive sui figli che li metteranno in difficoltà nella vita adulta. Ad esempio, accade spesso che adolescenti con dipendenze da sostanze, abbiano situazioni fortemente conflittuali a casa a prescindere dalla separazione o meno dei genitori;
Cosa poter dunque fare per riuscire a separarsi?
Ad esempio potrebbe essere utile chiedere aiuto e rivolgersi ad uno psicoterapeuta di coppia per riuscire a parlare e riflettere sulla possibile o impossibile separazione. Ecco che si procederà al fine di attivare uno spazio neutro per entrambi nel quale affrontare la paure, la rabbia e le altre possibili emozioni vissute nell’arco della vita di coppia anche al fine di aiutarli nella gestione della genitorialità.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta.

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.