
Famiglia tossica: tutti i segnali per riconoscerla
La famiglia rappresenta il primo luogo di “socializzazione” dove si apprende l’idea di sé, si sperimenta la comunicazione, la relazione, e si sperimentano risorse e/o limiti personali e familiari. Avere famiglie tossiche alle spalle mina fortemente la tua indipendenza e la tua efficacia relazionale, andando spesso a ripetere copioni affettivi disfunzionali.

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

“Mio figlio fa uso di sostanze”: cosa fare?
“Non esistono persone difficili, esistono storie difficili”
Nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza è sempre più frequente trovare situazioni di giovani ragazzi che utilizzano sostanze ( cannabis, alcol, cocaina…) senza avere chiaro quali siano le situazioni a rischio che ne derivano. I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza evidenziano che il 55% degli adolescenti beve alcolici, il 31% fuma le canne (hashish e marijuana), il 4% fa uso di cocaina, il 3% di pastiglie e droghe sintetiche.
Questi dati ci dimostrano come le sostanze siano presenti nel vita dell’individuo fin dalla giovane età con differenti scopi o valenze: a volte per appartenenza al gruppo, altre per sfuggire da situazioni di forte conflittualità familiare, altre per “autocurarsi” da traumi precoci e dolori emotivi. Non vi è dunque una sola causa, ma differenti storie portano alla costruzione del senso e del ruolo che la sostanza assume a livello individuale e relazionale. Nella mia pratica clinica mi sono imbattuta in storie di adolescenti e giovani adulti i quali abusavano di sostanze e tale abuso aveva delle grosse ripercussioni rispetto alle relazioni familiari. Tutta la famiglia si concentra sul giovane adolescente e tutte le energie sono spese al fine di limitarne l’abuso e di controllare il comportamento.
I genitori, spesso provati dal senso di impotenza, accusano il gruppo dei pari come fonte di malessere per il figlio dimenticando il ruolo fondamentale che esso assume nello sviluppo del giovane. .Il gruppo dei pari si costituisce come spazio di confronto e rispecchiamento, possiede regole specifiche spesso in opposizione a quelle del mondo degli adulti. I bisogni ai quali il gruppo risponde non consistono più solo nel desiderio di trovare condizioni favorevoli per i giochi ma comprendono desideri di esperienze nuove da compiere, di scoperta e verifica delle proprie abilità, di elaborazione in condizioni di parità delle nuove conoscenze ed emozioni.
Quindi il gruppo potrebbe diventare un luogo di sperimentazione ma ciò che sembra alla base della possibilità o meno di abusare di sostanze in maniera costante e duratura dipende non da esso ma dalle capacità di tutela, cura e di differenziazione con cui siamo usciti dalla famiglia d’origine. Spesso i ragazzi utilizzano la sostanza e scelgono di abusarne al fine, in maniera paradossale, di unire genitori che sono spesso distanti e in contrasto sia a livello educativo sia a livello emotivo.
Ad esempio Andrea (nome inventato) da anni viveva il conflitto dei genitori e viveva con la valigia in mano per andare a giorni alterni dai genitori. Avendo visto i genitori troppo assorti dai loro conflitti ha sviluppato un senso di solitudine e di non visto che lo ha spinto a ricercare protezione nel mondo delle sostanze, spingendo sempre più in là il limite e obbligando i genitori a lasciare la loro battaglia personale per prendersi cura di lui. Questa è solo una delle tante storie che ascolto durante la mia pratica clinica e ritengo che la modalità corretta per aiutare il figlio/a ad uscirne sia:
- reale interesse a comprendere il come mai si sia entrati a contatto con la sostanza/e;
- creare un fronte compatto con cui fare scudo alle richieste spesso contraddittorie e ambivalente che possono prendere vita da parte dell’adolescente ( ad es: se i genitori non sono sempre d’accordo non è un problema ciò che lo diventa è come lo manifestano se attraverso squalifiche e messaggi contraddittori al figlio che generano solo confusione);
- ascolto non giudicante;
- richiesta di consulenza psicologica, in particolare dal punto di vista familiare in quanto spesso il problema è maggiormente sentito dai genitori piuttosto che da coloro che abusano;
- psicoterapia individuale al fine di rafforzare le risorse positive (EMDR) dell’adolescente e ridurre la necessità di assumere la sostanza, capendone anche il significato;
- attivare una rete di protezione con i servizi del territorio ( serd, neuropsichiatria infantile ..) che consenta all’adolescente di essere monitorato nell’assunzione di sostanze;
Questi sono alcuni dei passi da poter intraprendere per aiutare l’adolescente a sviluppare una conoscenza consapevole degli effetti della sostanza e comprendere la scelta di farne uso anche alla luce della storia individuale e familiare raccontata. Ogni atteggiamento, comportamento ha significato se inserito in una trama narrativa, in primis familiare, e successivamente individuale. Uscirne si può basta riuscire a fare squadra e essere interessati all’ascolto attivo e alla comprensione anziché al giudizio, perché, se le sostanze potessero parlare, esprimerebbero una richiesta di aiuto.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale e Terapeuta EMDR.

Famiglie alle prese con le sfide dell’adolescenza.
Adolescenza: la più delicata delle transizioni.
(Victor Hugo)
La dipendenza sana è l’ingrediente necessario per poter sperimentare il senso di appartenenza, perché permette di sentirsi amato e compreso e permette all’adolescente di portare avanti con successo il proprio compito, complesso e importante: costruire la propria identità e separarsi in maniera sana dalla famiglia d’origine al fine di sperimentare la propria autonomia. Nel corso dello sviluppo fin da bambini si sperimentano alcune dipendenze sane, pensiamo ad esempio all’attaccamento alle gifure di riferimento, a forme di accudimento fino a giungere al confronto con il gruppo dei pari che è indispensabile come luogo di confronto e di crescita individuale e sociale per il giovane adolescente.
Spesso capita di trovare di fronte a se non più il figlio /a conosciuto ma alcuni genitori raccontano l’impressione di avere, di fronte a sè, una persona diversa anche solo rispetto ad alcuni mesi fà perchè nulla è più chiaro, semplice e scontato. Per addentrarci all’adolescenza, non dobbiamo tralasciare l’aspetto biologico e ormonale che in questi anni incide sia nel tono dell’umore, che nel modo di percepire se stessi e il proprio corpo.
Inoltre le sfide che l’adolescente deve portare avanti riguardano la costruzione di una sua identità e lo svincolo dalla famiglia d’origine.
- L’identità, intesa come l’insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e inconfondibile, avviene per tentativi di errori da parte dell’adolescente e il gruppo dei pari è fondamentale per questa sfida. Esso consiste nel secondo ambiente sociale per eccellenza nel quale sperimentare ruoli, relazioni, risorse e perchè no anche conflitti;
- Lo svincolo è un processo che avviene lentamente e progressivamente e non è facile delinaere un momento ideale ma, rispetto al ciclo di vita, esso avviene con l’espolazione sempre maggiore del mondo esterno e delle esperienze che il giovane inconterà.
Ovviamente questo implica un profondo cambiamento a livello familiare, richiede una sorta di sana flessibilità che consente al sistema familiare di adattarsi ai cambiamenti necessari. Tale flessibilità sembra essere la chiave del successo nel raggiungimento degli obiettivi dell’adolescente in quanto, avere un sistema di affetti che accompagna a tali sfide, comprendendole e non giudicandole, accogliendole come parti necessarie del processo di autonomia consentirà all’adolescente di sentire il permesso di spingersi alla scoperta del mondo e di altro.
Quindi la coppia genitoriale si troverà in quella fase di ciclo di vita detta del “nido vuoto” ma che implica anche nella coppia una profonda sfida: quella di riscoprirsi non solo genitori ma anche coppia.
Genitori alle prese con figli adolescenti, quali sono le strade possibili?
Per prima cosa non dimenticate il vostro ruolo e ricordate a voi stessi che tipo di adolescenti siete stati e che esigenze prendevano vita nel vostro cuore e nei vostri pensieri. Inoltre non dimenticate che i vostri figli sono alle prese con capire chi sono e che posto occuperanno nella vita, quindi non presentategli un mondo troppo facile o senza fallimenti ma aiutateli a rendere il fallimento un’occasione per migliorare e migliorarsi.
Aspettate e siate un porto sicuro per i vostri figli, un porto nel quale poter tornare dopo la tempesta e trovare riparo, ma senza giudizio e con desiderio di conoscenza e di comunicazione. A volte è difficile perchè l’impressione è di sentirsi esclusi, di aver di fronte a sè un muro ma esso non è definitivo, anzi… Per ultimo ma non meno importante ricordate: “all’adolescente possiamo dare, inconsapevolmente, il permesso di essere più o meno felice“.
Infine la psicoterapia individuale e familiare è uno strumento efficace per sviluppare uno spazio di confronto e di crescita, che stimoli la comunicazione e consenta di dare significato a tutti i comportamenti spesso difficili da comprendere sia da parte dell’adolescente sia dalla famiglia.
Dott.ssa Lisa Sartori_psicologa e psicoterapeuta sistemico familiare.

“Gli incastri di coppia”: una lettura sistemico -familiare.
“Ci proiettiamo nel presente alla ricerca del passato”.
In questo articolo affronterò il tema da me trattato nella tesi di specializzaizone come Psicoterapeuta dal titolo: ” Il quid pro quo di coppia incontra la crisi di coppia: confronto tra casi ad invio coatto e casi ad invio spontaneo presso il Consultorio Familiare. “
L’ottica sistemica familiare sarà la chiave di lettura per tali incastri di coppia detti anche “quid pro quo di coppia“ovvero “qualcosa per qualcosa altro” e si riferisce a un accordo o a un contratto, in cui ogni parte deve ricevere qualcosa per ciò che dà o crede di dare. In psicoterapia si parla di “incastro di coppia” quando ci si sofferma, spesso al fine di aiutare la coppia nel momento di conflitto, a comprendere il motivo per il quale si sono scelti ed essa è anche una delle prime domande in psicoterapia. Spesso tale domanda lascia perplessi perchè, sopratutto nel momento del conflitto, essa consente di ritornare indietro ai tempi della scelta e dunque andrà a smuovere la memoria e l’emozione passata.
Già S.Freud nell’ “Introduzione al Narcisismo” (1914) sottolinea che la scelta del partner avviene secondo modalità che hanno a che fare con la relazione che ognuno ha avuto con la propria famiglia di origine. Ecco il come mai dell’importanza dell’orientamento sistemico familiare nel trattamento delle difficoltà di coppia, dal momento che da un punto di vista relazionale emergono due modalità di possibile scelta del partner ( Mosconi A):
- che ci permetta di ripetere o proseguire una esperienza se questa è stata soddisfacente;
- che ci faccia vivere una esperienza compensatoria e/o di risarcimento se questa è stata insoddisfacente.
Quindi si intuisce l’importanza che la famiglia d’origine e le relazioni in esse vissute hanno nella formazione della coppia ed è importante averlo presente in modo da riuscire a leggere il conflitto in maniera utile ed evolutiva. Infatti in terapia ognuno porta la propria storia ed ognuno porta tutte le persone che per lui sono significative.
Per entrare nel vivo dell’incastro di coppia è utile parlare anche delle relazioni e del modo che ognuno di noi ha di definirsi in esse. Gran parte del mio lavoro di tesi si è soffermato ad analizzare 10 casi di coppie e ad analizzarle il come si sono incastrare, a partire dalle loro storie familiari, ed emergono alcune possibilità:
1. relazioni di dipendenza : ovvero uno dei due partner decide di dipendere ( posizione down) mentre l’altro decide di guidare (posizione up). Tendenzialmente questa scelta può essere per compensazione o rivendicazione, ad esempio posso “innamormi dell’altro perchè ha la famiglia che avrei sempre desiderato avere”;
2.relazioni di paritaria down-down: ovvero i due coniugi hanno storie di poco prestigio familiare e hanno vissuto posizioni non importanti , quando ad esempio entrambi non sono stati visti nelle famiglie d’origine. Spesso queste coppie fanno fatica a manifestare conflitti accesi ed è più probabile che manifestano alcuni sintomi come dolori fisici, insonnia, ansia;
3. relazioni paritarie up-up: ovvero entrambi escono con posizioni importanti nella famiglia d’origine e spesso con un forte legame con i rispettivi genitori. I partner vivono come perdente colui che lascia, cede o scende a compromessi e tale aspetto deriva anche da come, colui che perde, viene visto nella famiglia d’origine. In questo incastro entrambi non sono disposti a mettere qualcosa da parte per il funzionamento della coppia ed arrivano più facilmente ai tribunali.
Queste modalità up o down di definirsi nelle relazioni sono presenti non solo nelle coppie ma anche in contesti lavorativi, familiari e sociali. E’ importante, al fine di lavorare per costruire il benessere, che tali posizioni non siano rigide ma flessibili.
Il mio lavoro di ricerca ha evidenziato come ci siano, nel corso della vita della coppia, degli eventi importanti e che incidono con possibili cambiamenti che mettono i partner alla prova, come ad esempio la genitorialità. E’ spesso in questo momento che le coppie più burrascose arrivano presso i tribunali perchè uno dei due non è riuscito a comprensare o risarcire le aspettative presenti nell’altro e che sono intoccabili. Anche la famiglia d’origine ha un ruolo chiave nel conflitto di coppia ma di tale argomento parlerò nei prossimi articoli.
Alla luce di quanto detto risulta importante per la coppia sviluppare uno spazio nel quale poter lavorare su alcuni modi di mettersi nella relazione e pensare al conflitto non come una sorta di ” tribunale nel quale trovare la verità e giudicare colui che è colpa” ma vedere il conflitto come utile, perchè quando si litiga spesso emergono tutti gli aspetti familiari di cui abbiamo parlato in questo articolo e che portano i coniugi/partner a sottovalutare o ipitizzare come sbagliata la scelta del compagno/a.
Attraverso un percorso di psicoterapia di coppia ad orientamento sistemico familiare si lavoro su tali aspetti relazional, familiari, e di comunicaizone, non giudicando ma accettando le storie che vengono portate in terapia e sollecitando la coppia a trovare delle nuovi narrazioni possibili più utili per il loro benessere.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa-Psicoterapeuta Sistemica Familiare.

Adolescenti e dipendenza da internet: come riconoscerla.
L’adolescenza è un momento della vita caratterizzato da molte sfide personali, relazionali e sociali che mette a dura prova l’intero sistema familiare, ma tali sfide sono necessarie al fine di consentire all’adolescente di scoprire la sua identità. Nell’era del digitale e del mondo connesso anche la modalità di utilizzare internet è cambiato e diventa spesso oggetto di discussione familiare.
Orari, regole, siti, giochi, chat diventano argomenti di discussione quotidiana laddove la dipendenza da internet prende forma. Ma perché essa sia considerata tale è importante ricordare che non basta “ passare del tempo al pc o connessi” ma ci sono dei criteri precisi.
La dipendenza da internet si riferisce all’uso eccessivo di internet associato a comportamento irritabile e umore negativo quando se ne è deprivati ed è caratterizzata da questi segnali:
• Preoccupazione e inquietudine per internet;
• Necessità di aumentare il tempo speso collegati ad internet per raggiungere lo stesso grado di soddisfazione precedente;
• Ripetuti sforzi di limitare l’uso di internet;
• Irritabilità, depressione o instabilità emotiva quando l’uso di internet viene limitato;
• Passare online più tempo di quanto precedentemente stabilito;
• Mettere a repentaglio lavoro o relazioni importanti per passare del tempo su internet;
• Mentire ad altre persone circa il tempo che si passa su internet;
• Utilizzare internet come strumento di regolazione delle emozioni negative quali il senso di solitudine e la tristezza.
Questi sono alcuni segnali che possono indicare che non si è di fronte ad un uso di internet sano ma disfunzionale e che ha ripercussioni nell’ambiente familiare, sociale e scolastico o lavorativo. Spesso quando la quotidianità sembra essere messa in discussione da tali comportamento è importante, come genitore, provare a dialogare su ciò che accade con il proprio figlio in quanto spesso, tali comportamenti, hanno un valore comunicativo ed esprimere la sua preoccupazione. Anche le regole sono importanti ma affinchè abbiano un senso è importante che mantengano un aspetto relazionale, ovvero che la regola non sia imposta ma discussa e spiegata, soprattutto che sia condivisa tra i genitori in modo da riuscire ad essere compatti e coerenti rispetto ad essa.
La cura della dipendenza da internet passa attraverso un mirato intervento psicoterapeutico: occorre intervenire con una riduzione graduale del comportamento di dipendenza da internet, ma al contempo lavorare sul significato che tale dipendenza ha nella vita della persona e nel sistema familiare di appartenenza.
Dott.ssa Lisa Sartori,
Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica-Relazionale.
Contattatemi ricevo su appuntamento a Padova e Thiene.

5 falsi miti sulla terapia familiare
Se un albero dovesse scrivere la propria autobiografia, questa non sarebbe troppo dissimile da quella di una famiglia umana.
(Kalhil Gibran)
Il termine “terapia familiare” definisce l’ approccio psicoterapeutico finalizzato a modificare le modalità relazionale tra i vari componenti della famiglia con il duplice obiettivo di migliorare il funzionamento della famiglia ed apportare il benessere al singolo individuo, detto paziente designato.
In particolare, vengono analizzate le modalità, spesso nascoste, su cui si basa l’equilibrio di tutto il nucleo, per aiutare i vari membri ad individuarle e prenderne consapevolezza. La terapia familiare si differenzia da quella individuale per la visione di famiglia come “sistema” ovvero di una entità composta da varie parti che interagiscono e lo costituiscono.
Perché scegliere una terapia familiare?
I conflitti che tendono a disgregare il sistema-famiglia danno vita a una tensione emotiva che può assumere le sembianze di un ‘sintomo’ che si manifesta in uno dei membri (il paziente designato), distogliendo l’attenzione dalle difficoltà relazionali. Spostando l’attenzione dal singolo paziente al nucleo familiare si intensificano le possibilità di alimentare una comunicazione funzionale. Spesso le famiglie che hanno un disagio costruiscono degli equilibri su cui basano le dinamiche delle loro relazioni però questi equilibri risultano precari e disfunzionali.
E’ compito del terapeuta aiutare i pazienti a rompere gli equilibri apparentemente funzionale e ricostruirne di nuovi attraverso l’osservazione delle modalità di relazione tra il paziente e la sua famiglia, modificando i modelli disfunzionali presenti nel contesto entro il quale il disagio del paziente è emerso, stimolando le risorse familiari e rafforzando sia il funzionamento individuale sia quello familiare.
Benché essa sia diffusa ed efficace a livello terapeutico esistono ancora molti falsi miti su di essa:
- La terapia familiare costa di più di quella individuale: non è così, in quanto le terapie individuali hanno una cadenza tendenzialmente settimanale mentre quelle familiari mensile;
- La cadenza mensile è troppo poco per un lavoro di psicoterapia: spesso si pensa che un mese di tempo sia troppo, sicuramente i tempi possono essere concordati con la famiglia ma tutto è pensato affinché la famiglia a casa può provare a mettere in pratica quanto acquisito in seduta, attraverso anche l’esecuzione di esercizi e compiti forniti dal terapeuta;
- Il tempo non basta per tutti i membri in quanto dura come la terapia individuale: la terapia familiare può durare da un minimo di 1 ora e mezza a 2 ore;
- Il terapeuta non può avere occhi e orecchie per tutti i membri: il terapeuta sistemico – familiare viene formato per la conduzione della terapia familiare, acquisisce tecniche e strumenti utili tale conduzione. Inoltre a volta vi è la possibilità di una co-terapia con la presenza di due terapeuti che si alternano nella conduzione della seduta.
- Non ci sarà mai una data che andrà bene a tutti i membri: se ci pensate già concordare una data e presentarsi in terapia tutti insieme, per famiglie con difficoltà di comunicazione e con conflitti è già un passo avanti.
Questi falsi miti li ho raccolti da alcune affermazioni sentite nella pratica clinica e che ritengo siano importanti da sfatare per consentire di fare chiarezza sulla terapia familiare in quanto terapia efficace anche nel lungo termine.
Dott.ssa Lisa Sartori –