
Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

5 modi per aiutare tuo figlio ad uscire dalla dipendenza da sostanze.
“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.” (Frank A. Clark)
La dipendenza da sostanze quando arriva alla porta di casa non bussa per entrare e non chiede il permesso, non entra in punta di piedi e non si accomoda silenziosamente. Al contrario entra con irruenza, inizialmente senza farsi sentire ma pronta ad esplodere come un vulcano, come un onda che precede lo tsunami includendo l’intero nucleo familiare. Ecco che il figlio, con la dipendenza tiene apparentemente in scacco la famiglia, fratelli e sorelle incluse: tutte le attenzioni si riversano, soprattutto da parte dei genitori, al controllo del figlio dipendente che a volte include anche la famiglia allargata. Lottare contro le sostanze diventa una battaglia familiare e ciò che accade è che si perde di vista la persona, con le sue fragilità e con le sue difficoltà in nome della lotta alla sostanza.
Dalla mia esperienza clinica con le dipendenze mi sento di condividere alcune riflessioni sull’importanza del ruolo genitoriale nel processo di guarigione dalla dipendenza sottolineando come siano proprio i genitori, nella maggioranza dei casi, ad essere una risorsa indispensabile per il trattamento efficace. Nell’ottica sistemica relazionale ogni sintomo, dipendenza inclusa, assume un significato decisivo ed importante in ottica familiare: con la sostanza vi sono degli effetti evidenti al nucleo familiare, ci sarà chi si preoccupa maggiormente, chi meno, chi era distante o indaffarato e che ora interrompe ciò che fino a poco prima faceva per dedicarsi totalmente al figlio dipendente, genitori in conflitto che smettono di litigare perché presi da altro e fratelli che si fanno da parte o fungono da sostegno. Ho avuto modo di ascoltare storie di genitori smarriti, increduli, arrabbiati, sconcertati ed anche rassegnati al destino del proprio figlio, disarmati perché non informati sulle sostanze e sulla dipendenza, così come sulle modalità di intervento necessari ed efficaci.
Di seguito tratterò alcuni passi fondamenti per entrare in comunicazione con un figlio dipendente da sostanze e poter gettare le basi per un intervento di cura efficace:
- non giudicate ma ascoltate, sotto gli abiti del dipendente vi è un figlio fragile, esposto a traumi e in una fase di difficoltà;
- le sostanze assumono il ruolo di portatori di informazioni ( a prescindere dal tipo di sostanza) ci dicono che qualcosa non funziona e che ciò che forse funzionava un tempo ora non è più adatto al benessere dei figli;
- il gruppo dei pari ha una sua fondamentale importanza e non è del tutto negativo, anzi, diventa il luogo per eccellenza di crescita e messa in discussione dei figli. La scelta rispetto alle amicizie o ai bisogni sociali nasce sempre all’interno del nucleo familiare ed è importante educare i figli alla costruzione di relazioni sane ed efficaci così da consentirgli di avere strumenti di orientamento nel mondo delle relazioni;
- i limiti e le regole familiari sono importanti e necessari laddove però essi sono frutto di un accordo genitoriale educativo e non frutto di spinte individuali e di conflitto genitoriale;
- rendetevi disponibile per interventi familiari: la terapia familiare è la più indicata per il trattamento delle dipendenze e questo per diversi motivi: per prima cosa spesso i figli sono restii ad andare da uno psicoterapeuta o, nel caso di una dipendenza avanzata, il primo intervento richiesto sarà quello farmacologico che potrà fornire il serD, ed inoltre l’intervento familiare consente a tutti di dare un contributo al processo di guarigione entrando in una dimensione di ascolto e confronto tra punti di vista e aspettative così come possibili soluzioni; il sostegno genitoriale in questi casi è importante e può essere affiancato alla terapia individuale del figlio, oltre alla terapia familiare.
Questi sono alcuni punti chiavi per la gestione e il possibile intervento della dipendenza da sostanze e quello che è importante è entrare in una dimensione di cura e aiuto piuttosto che di colpa e giudizio. La dipendenza assume, a livello psicologico e psicoterapeutico, un senso così come ansia, depressione, disturbi alimentari pur mettendo in gioco differenti aspetti sia morali, che socio culturali. I genitori diventano il punto di svolta alla dipendenza e, più l’intervento di aiuto e cura inizia in età precoce o ai primi segnali, più i risultati saranno migliori.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemica – relazionale.

“Mio figlio fa uso di sostanze”: cosa fare?
“Non esistono persone difficili, esistono storie difficili”
Nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza è sempre più frequente trovare situazioni di giovani ragazzi che utilizzano sostanze ( cannabis, alcol, cocaina…) senza avere chiaro quali siano le situazioni a rischio che ne derivano. I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza evidenziano che il 55% degli adolescenti beve alcolici, il 31% fuma le canne (hashish e marijuana), il 4% fa uso di cocaina, il 3% di pastiglie e droghe sintetiche.
Questi dati ci dimostrano come le sostanze siano presenti nel vita dell’individuo fin dalla giovane età con differenti scopi o valenze: a volte per appartenenza al gruppo, altre per sfuggire da situazioni di forte conflittualità familiare, altre per “autocurarsi” da traumi precoci e dolori emotivi. Non vi è dunque una sola causa, ma differenti storie portano alla costruzione del senso e del ruolo che la sostanza assume a livello individuale e relazionale. Nella mia pratica clinica mi sono imbattuta in storie di adolescenti e giovani adulti i quali abusavano di sostanze e tale abuso aveva delle grosse ripercussioni rispetto alle relazioni familiari. Tutta la famiglia si concentra sul giovane adolescente e tutte le energie sono spese al fine di limitarne l’abuso e di controllare il comportamento.
I genitori, spesso provati dal senso di impotenza, accusano il gruppo dei pari come fonte di malessere per il figlio dimenticando il ruolo fondamentale che esso assume nello sviluppo del giovane. .Il gruppo dei pari si costituisce come spazio di confronto e rispecchiamento, possiede regole specifiche spesso in opposizione a quelle del mondo degli adulti. I bisogni ai quali il gruppo risponde non consistono più solo nel desiderio di trovare condizioni favorevoli per i giochi ma comprendono desideri di esperienze nuove da compiere, di scoperta e verifica delle proprie abilità, di elaborazione in condizioni di parità delle nuove conoscenze ed emozioni.
Quindi il gruppo potrebbe diventare un luogo di sperimentazione ma ciò che sembra alla base della possibilità o meno di abusare di sostanze in maniera costante e duratura dipende non da esso ma dalle capacità di tutela, cura e di differenziazione con cui siamo usciti dalla famiglia d’origine. Spesso i ragazzi utilizzano la sostanza e scelgono di abusarne al fine, in maniera paradossale, di unire genitori che sono spesso distanti e in contrasto sia a livello educativo sia a livello emotivo.
Ad esempio Andrea (nome inventato) da anni viveva il conflitto dei genitori e viveva con la valigia in mano per andare a giorni alterni dai genitori. Avendo visto i genitori troppo assorti dai loro conflitti ha sviluppato un senso di solitudine e di non visto che lo ha spinto a ricercare protezione nel mondo delle sostanze, spingendo sempre più in là il limite e obbligando i genitori a lasciare la loro battaglia personale per prendersi cura di lui. Questa è solo una delle tante storie che ascolto durante la mia pratica clinica e ritengo che la modalità corretta per aiutare il figlio/a ad uscirne sia:
- reale interesse a comprendere il come mai si sia entrati a contatto con la sostanza/e;
- creare un fronte compatto con cui fare scudo alle richieste spesso contraddittorie e ambivalente che possono prendere vita da parte dell’adolescente ( ad es: se i genitori non sono sempre d’accordo non è un problema ciò che lo diventa è come lo manifestano se attraverso squalifiche e messaggi contraddittori al figlio che generano solo confusione);
- ascolto non giudicante;
- richiesta di consulenza psicologica, in particolare dal punto di vista familiare in quanto spesso il problema è maggiormente sentito dai genitori piuttosto che da coloro che abusano;
- psicoterapia individuale al fine di rafforzare le risorse positive (EMDR) dell’adolescente e ridurre la necessità di assumere la sostanza, capendone anche il significato;
- attivare una rete di protezione con i servizi del territorio ( serd, neuropsichiatria infantile ..) che consenta all’adolescente di essere monitorato nell’assunzione di sostanze;
Questi sono alcuni dei passi da poter intraprendere per aiutare l’adolescente a sviluppare una conoscenza consapevole degli effetti della sostanza e comprendere la scelta di farne uso anche alla luce della storia individuale e familiare raccontata. Ogni atteggiamento, comportamento ha significato se inserito in una trama narrativa, in primis familiare, e successivamente individuale. Uscirne si può basta riuscire a fare squadra e essere interessati all’ascolto attivo e alla comprensione anziché al giudizio, perché, se le sostanze potessero parlare, esprimerebbero una richiesta di aiuto.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale e Terapeuta EMDR.

Autolesionismo: “Il corpo diventa un foglio su cui disegnare la propria sofferenza”. Una proposta terapeutica.
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.” (M.Gandi)
Nella mia pratica clinica ho ascoltato storie di adolescenti e giovani adulti per i quali il corpo diventa il luogo privilegiato nel quale esprimere il proprio malessere, attraverso disturbi alimentati, sostanze e “autolesionismo”. In questo articolo tratterrò quest’ultimo come pratica dalla quale si può sviluppare dipendenza e che necessita di uno specifico intervento di psicoterapia così da poterne guarire. Autolesionismo significa causare in modo intenzionale e ripetitivo un danno al proprio corpo, procurandosi ad esempio tagli (cutting), bruciature (burning), lividi, escoriazioni. L’obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva, come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza.
Tra i gesti più comuni con cui gli autolesionisti si producono lesioni, rientrano:
- I tagli e le bruciature della pelle;
- Le perforazioni tramite punteruoli o strumenti appuntiti simili;
- Colpi alla testa o al resto del corpo;
- L’assunzione di prodotto chimici tossici o l’ingestione di grandi quantità (overdose) di farmaci ( alcol e sostanze).
L’autolesionismo è un sintomo che spinge l’individuo a procurarsi delle ferite, più o meno profonde, che assumono significato in base alla storia di vita e alla difficoltà a dare voce alle emozioni, come Andrea ( nome inventato ) il quale arriva in terapia a seguito di una forte dipendenza da alcol anche se sottovalutata inizialmente, sia da lui che dal nucleo familiare, in quanto sostanza legale, e che nel giro di qualche anno l’ha reso prigioniero e ha dovuto attivare tutta la famiglia nella cura verso di lui anche se ormai giovane adulto. Per Andrea il “tagliarsi” era “diventato una sorta di rito quotidiano, intimo e personale, momento tanto desiderato nell’arco della giornata da diventare paradossalmente una forma di sollievo, dalle fatiche e dalle delusione della vita”.
Ovviamente questo comportamento porta con sé non pochi effetti come ad esempio nelle relazioni familiari: ad esempio, nel caso di Andrea, i tagli erano visibili e dunque hanno attivato la famiglia, in particolare i genitori, nel ” prendersi cura di lui”, portandolo in terapia familiare dal momento che , per tali difficoltà, oltre alla terapia individuale è indicata una presa in carico familiare. Questo perché la famiglia diventa una risorsa importante per il cambiamento dell’adolescente e del giovane adulto. I tagli sono diventati il modo con cui Andrea evitava la separazione genitoriale e impediva ai genitori di pensare ad uno spazio di vita fuori dalla famiglia, in quanto la situazione era da diversi anni conflittuale e gli procurava molta rabbia, spesso agita verso cose e persone: ecco che con il taglio tutto si placa e tutto si riduce a se stesso.
Questa è solo una delle tante storie che si celano dietro all’autolesionismo, ma quali sono le possibili cause?
Dalla mia esperienza clinica posso riscontrare come aspetto decisamente dominante nelle storie ascoltate una situazione di stress emotiva e di forte rabbia, verso sé e verso anche gli altri, spesso legata ad una situazione familiare difficile da gestire e da verbalizzare la quale può sfociare in senso di colpa e sensazione di fallimento, così come la presenza di aspetti traumatici fisici ed emotivi ( scuola, bullismo…), abuso di alcol o sostanze psicotrope.
L’adolescente o il giovane adulto potrebbe cercare una forma di sollievo, gestione della rabbia e del dolore, effetto calmante e che attribuisce a se stesso, in maniera paradossale: il sollievo ovviamente è transitorio e spesso illusorio, così come per una persona che assume sostanze lo diventa la droga.
Le persone sofferenti di autolesionismo temono che le altre persone possono scoprire i loro problemi.
Questo è il motivo per cui tendono a isolarsi, ad assumere un atteggiamento particolarmente riservato, a coprire le ferite sul proprio corpo in maniera talvolta sospetta e a non chiedere aiuto a chi di dovere, faticando anche ad accedere ad una dimensione di psicoterapia se non spinti dai genitori. Ecco che la preoccupazione genitoriale e familiare diventa la spinta per la richiesta di aiuto.
Quale possibile intervento?
Essendomi formata come Psicoterapeuta sistemico – familiare sono spinta a considerare l’autolesionismo come un sintomo che comunica qualcosa in primis al sistema familiare di appartenenza e spesso l’intervento familiare consente di intervenire in maniera efficace e in poco tempo per ridurre e, potenzialmente eliminare, tale comportamento proprio perché in sede di psicoterapia ad esso viene attribuito un significato che non è di malattia ma di ” comunicazione”. Al taglio viene dato la voce, le parole e spesso queste sono anche quelle dei familiari. Al lavoro familiare è possibile ritagliare momenti di incontri individuale con l’adolescente o il giovane adulto al fine di accedere ad un mondo emozionale e intimo, mentre i colloqui genitoriale possono essere visti in ottica preventiva di ricadute, andando a lavorare sugli aspetti di protezione educativa ed affettiva genitoriale.
Quindi le aree di intervento sono:
“Familiare – Individuale – Coppia genitoriale”
Ovviamente tale modalità è quella maggiormente utilizzata ma poi si adatta alle singole esigenze e alle differenti storie. L’importante è che non si entri in una logica di colpa o di malattia che non è positiva per la persona affetta da tale comportamento ma neanche per chi lo circonda.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Familiare.
349.7867274_ psylisasartori@gmail.com

L’importanza della psicoterapia familiare con gli adolescenti.
“E’ solo quando i bambini arrivano verso la fine dei loro vent’anni che le famiglie realmente capiscono ciò che sono” George Michael
L’adolescenza porta con sé innumerevoli cambiamenti, alcuni facili altri difficili ma tutti indispensabili. Quando si pensa all’adolescente oggi spesso lo si immagina connesso alla rete, al mondo virtuale e poco connesso alle relazioni presenti nei contesti di appartenenza. In questa fase di trasformazione importante si possono manifestare nell’adolescente difficoltà che trovano espressione attraverso una serie di “sintomi”, per la difficoltà a comunicare, come: ansia, depressione, ritiro sociale, autolesionismo, dipendenze, devianza e disturbi alimentari che, se non attentamente affrontate possono diventare invalidanti non solo per il giovane ma anche per tutto il nucleo familiare.
Prima di addentrarci risulta importante citare alcuni aspetti chiave per la comprensione dell’adolescenza ( 14- 18 anni):
- L’adolescenza non è una malattia ma una fase evolutiva:molti sono i genitori preoccupati per l’avvicinarsi di tale fase ma essa è indispensabile per l’evoluzione dei figli e la transizione verso l’età adulta;
- L’adolescente ha bisogno di dipendere quanto di svincolarsi: esso quindi è in una fase di costante messa alla prova dei confini familiari, del limite e della scoperta del mondo esterno all’ambiente familiare. Lo svincolo non avviene solo dal punto di vista psicologico ma passa attraverso lo svincolo fisico, emotivo, affettivo ed economico e spesso non coincidono tra di loro;
- I segnali verbali e non verbali dell’adolescente sono contraddittori: ecco perché è importante la chiarezza e l’assenza di ambivalenza nei genitori, al fine di fornire messaggi il più possibili coerenti;
- Il gruppo di coetanei diventa quindi un luogo nel quale sperimentarsi e sperimentare la propria identità, ed esso è indispensabile;
- L’adolescente porta dentro di sé la storia familiare: Andolfi ( 2003) sottolinea che l’adolescente è il maggiore esperto della vita familiare in quanto profondo osservatore dei propri genitori. E’ sempre maggiore la convinzione da parte dei genitori che gli eventi familiari non abbiano in alcun modo toccato i figli ma ciò che essi respirano è il risultato che tali eventi hanno nelle relazioni familiari: conflitti, perdite, cambiamenti anche se non comunicati vengono vissuti a livello relazione ed emotivo dal giovane adolescente che ascolta e osserva anche se non partecipa direttamente;
- L’adolescente è il braccio armato dei conflitti familiari: accade sempre più spesso che i figli vengano strumentalizzati all’interno del conflitto tra i genitori e che finiscano per farsi carico in maniera più o meno consapevole di alcune mancanze o di alcuni ruoli che non gli competono, schierandosi a favore o contro un genitore.
Proprio a partire da tali aspetti si evince l’importanza della famiglia come modalità di accesso alla terapia dal momento che spesso, l’adolescente, non sviluppa la capacità di chiedere aiuto chiaramente ma attraverso sintomi che spingono la famiglia a preoccuparsi per lui. Quello che accade però, almeno nella mia esperienza clinica con gli adolescenti, è che è improduttivo e poco efficace lavorare in psicoterapia solo con il singolo ragazzo, ma acquisisce valore indispensabile la partecipazione della famiglia ed in particolare della coppia genitoriale. Infatti alcune difficoltà come l’uso eccessivo dei sociale, di internet, dei videogiochi, l’uso e abuso di sostanze e il comportamento deviante mette a dura prova la coppia anche solamente nella gestione educativa del figlio, amplificando le difficoltà anche manifeste nella coppia e che possono risuonare nella vita familiare come incongruenze e ambivalenze che non aiutano l’adolescente ad orientarsi nella vita.
Inoltre si pensi a quelle situazioni di ritiro sociale, nelle quali la scuola viene messa a rischio dalla difficoltà del ragazzo/a ad uscire dalla propria stanza: in Italia tale fenomeno stà attualmente assumendo un importanza tale da non poter non considerare come prima modalità di accesso all’adolescente la coppia genitoriale, dal momento che sarà la sola a chiedere aiuto in tali situazioni. Ecco che la difficoltà di un solo membro della familiare porta con sé spesso una storia familiare e diventa occasione per l’intero nucleo familiare di migliorare, attraverso la psicoterapia familiare, in maniera efficace e breve.
In cosa consiste la terapia familiare?
Essa avviene tendenzialmente a cadenza mensile, con l’interno nucleo familiare o con alcuni sottogruppi e consente, attraverso specifiche tecniche di conduzione del colloquio e di gestione della terapia che andranno a sentire tutte le voci coinvolte nelle situazioni riportati, non giudicando ma facilitando la connessione e l’espressione dei diversi punti di vista: diciamo che la differenza genera informazione e spesso fornisce spunti di evoluzione importanti per il nucleo familiare. I sintomi diventano modalità di comunicazione in psicoterapia sistemica familiare ed essi vanno ascoltati.
Per quali problemi è indicata?
- Dipendenze da sostanze ( alcol e droghe);
- Dipendenze da internet, videogiochi, social;
- Disturbi alimentari;
- Ritiro sociale;
- Autolesionismo;
- Devianza e Aggressività;
- Ansia e fobie.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare.

Adolescenti e dipendenza da sostanze: l’intervento sistemico – familiare.
L’adolescente, e il suo desiderio di essere contemporaneamente come tutti gli altri e come nessun altro.
(Jacques Drillon)
L’adolescenza è una fase di sviluppo indispensabile al fine di raggiungere alcune tappe evolutive importanti come il passaggio alla fase adulta, la costruzione dell’identità e lo svincolo dalla famiglia d’origine. Ciò che accade in tale fase di vita ( 14-18 anni) è che spesso il gruppo dei pari diventa un gruppo di riferimento per l’adolescente che sperimenta nuove situazioni, nuove relazioni e anche nuovi aspetti di sé fino a prima poco conosciuti. E’ un periodo fatto di problematicità e smarrimenti personali, alla ricerca costante e non sempre felice della propria identità personale: senso di smarrimento, vuoto esistenziale, noia, inquietudini e ansie cui non sanno mettere freno sono alcuni aspetti che possono mettere a dura prova.
La paura di non essere all’altezza dei compiti che la famiglia, la scuola e più in generale e la società richiedono loro, la scarsa fiducia nelle proprie competenze personali, la mancanza di autostima e la sensazione di essere incompresi dai genitori, i mutamenti così imprevedibili del loro corpo e le varie sensazioni emotive che li investono giorno dopo giorno, li portano sovente ad isolarsi e chiudersi in se stessi, sfuggendo così non solo al controllo ma soprattutto al sostegno che gli adulti potrebbero dare loro in questa delicata fase della loro vita.
Ecco che può accadere che l’adolescente inizi a fare uso di sostanze (alcol e droghe) oppure sviluppare dipendenze da internet o dai social network che portano l’adolescente a vivere situazioni di marginalità, ritiro scolastico e isolamento sociale. Le sostanze spesso vengono viste come “auto cura” contro i malesseri quotidiani, interiori e relazionali, ma tale uso non si riduce ad una sorta di ” appartenenza al gruppo ” o come ” rito di passaggio” rispetto ai pari ma assume un significato anche all’interno della famiglia d’origine. Inoltre le difficoltà nello svincolo e nel passaggio evolutivo del giovane adolescente non è solo responsabilità del giovane ma è anche un compito che riguarda tutta la famiglia, la quale può agevolare o rendere più difficile il raggiungimento delle tappe evolutive ed emotive.
Cosa accade quando un figlio inizia a fare uso di sostanze nella famiglia?
Per prima cosa con le sostanze l’adolescente “ferma” il tempo familiare e il ciclo di vita della famiglia attirando tutti gli occhi a sé con il proprio comportamento. Spesso accade che la situazione familiare al momento dell’inizio dell’abuso di sostanze posso presentare alcune difficoltà di comunicazione e di condivisione di “regole educative” tra i genitori e alcune difficoltà nelle relazioni.
Quale è lo stile genitoriale più adatto al prevenire l’uso di sostanze?
lo stile genitoriale più adatto è quello autorevole, in cui il genitore riesce a gestire in modo equilibrato il sistema e il clima educativo, in quanto ha un’idea ben radicata delle regole e consente all’adolescente di interiorizzare il significato delle stesse, associando al rispetto della disciplina, uno scambio comunicativo, di vicinanza emotiva e di amore. Questo stile genitoriale, a differenza di quello autoritario o permissivo, consente al ragazzo di sviluppare una struttura psicologia equilibrata e forte, sviluppando una buona fiducia in se stesso e del mondo circostante, un buon livello di autocontrollo e di curiosità verso specifiche attività di carattere positivo. Ovviamente un clima familiare ostile e conflittuale non fornisce un fattore di protezione per il giovane adolescente.
Perché scegliere una psicoterapia ad orientamento sistemico – familiare per trattare la dipendenza da sostanze?
L’ottica sistemica considera l’individuo all’interno delle sue relazioni e dei sistemi per lui significativi e fornisce significato e valenza comunicativa alle diverse difficoltà che possono scaturire nel coro della vita. La terapia familiare è indicata in tale trattamento dal momento che l’impatto che la sostanza assume nella vita del giovane adolescente non è solo incisiva per lui ma anche per l’interno nucleo familiare e aiutando tale nucleo a mettere in campo tutte le risorse a disposizione al fine di attuare un intervento efficace e che consenta di dare voce alla dipendenza e al ruolo che essa assume nella famiglia d’origine. Ciò che capita, infatti, è che se non trattata in giovane età la dipendenza diventa una sorta di legame familiare che consente di mantenere lo status quo della famiglia, con un figlio ancora adolescente (anche se ormai adulto) e genitori che non smetteranno mai di fare i genitori. Lavorare con la famiglia aiuta l’adolescente a sentirsi parte del nucleo familiare e a vivere una dimensione utile e indispensabile di famiglia.
Inoltre la terapia familiare è utile anche in quelle situazioni dove i figli non vogliono o non sentono la necessità di intraprendere un percorso di psicoterapia e la famiglia, in questo caso, può diventare una sorta di aiuto al fine di accedere ad una dimensione di psicoterapia.
Per maggiori informazioni, contattatemi: psylisasartori@gmail.com
Dott.ssa Lisa Sartori _ Psicologa Psicoterapeuta Sistemica – Familiare.

“Gruppo espressivo per adulti” per esprimere se stessi e ritrovare il benessere.
“Nel nostro inconscio niente è da rifiutare, ma semplicemente da risintonizzare e trasmutare” (C.Jung)
Nella vita di tutti i giorni siamo chiamati a svolgere ruoli ben definiti e a rispondere alle molteplici aspettative che provengono dall’ambito sociale, familiare e lavorativo. Anche quando siamo soddisfatti della nostra vita quotidiana, spesso, ci rendiamo conto di non riuscire a dedicare abbastanza tempo al nostro benessere personale e alle nostre fantasie, sogni ed emozioni. Uno spazio per sé è invece importante per sentirsi davvero in equilibrio, con se stessi e con gli altri, e per riuscire a dare il meglio di sé poiché, prima di tutto, si è dato spazio alle nostre esigenze.
Il Laboratorio condotto dalla Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta, vuole costituire un momento di pausa dove ri-trovare se stessi, attraverso l’uso libero e spontaneo della propria creatività, per creare un luogo privato e personale rigenerante. In esso avviene un processo creativo che esplora il nostro mondo interno alla ricerca di immagini inedite; è un linguaggio non verbale dunque, che ha la capacità di trasformare l’intensità emotiva che vive in noi, in immagini esterne che hanno corpo e vita propri. Nel laboratorio espressivo verranno analizzate, in ogni incontro, tematiche riguardante se stessi e la relazione con gli altri e con i diversi ruoli che si è chiamati a volgere nella quotidianità. Le immagini, i colori, la tranquillità aiuta la persona a connettersi con se stesso e a dare voce a ciò che spesso è innominabile o distante. La conduzione del gruppo avverrà attraverso la tecnica dell’arteterapia.
Obiettivo: consentire al singolo partecipante di ritrovare se stesso e di lavorare su di sé attraverso un linguaggio visivo e creativo, sviluppando riflessività e benessere.
A chi si rivolge? Adulti che hanno il desiderio di lavorare su di sé attraverso l’espressività e che necessitano di ritrovare un luogo di pace e tranquillità. Verrà dato spazio alle emozioni spesso nascoste, trattenute e controllate nella vita di tutti i giorni.
Dove e quando?
Inizio Aprile 2019, presso Psichè ( Poliambulatorio San Gaetano)
Modalità:
5 incontri di gruppo della durata di 1 ora e mezza;
1 colloquio individuale conoscitivo pre gruppo;
1 colloquio individuale di restituzione a conclusione del gruppo.
Costi ( totale 7 incontri).
210 euro ( materiale incluso)
Il Gruppo avverrà in orari serali dalle ore 20.30 alle ore 22.00 presso Pischè ( Poliambulatorio San Gaetano), le date verranno comunicate a breve a cadenza settimanale.
Per maggiori info:
3497867274 / psylisasartori@gmail.com
Dott.ssa Lisa Sartori

Quando la rabbia diventa utile: una trasformazione terapeutica!
“Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente con l’intento di getterlo a qualcun altro: sei tu quello che viene bruciato” ( Buddha).
Questo articolo nasce dal mio desiderio di dedicare del tempo alla rabbia e alla sua utilità. Spesso ascolto storie di persone che giudicano negativamente tale emozione, la rifiutano, non la nominano , insomma le danno una sorta di super potere perché, come disse una persona, “ da essa è meglio prendere le distanze“.
Ma è proprio così?
La rabbia fa parte delle emozioni primarie insieme a tristezza, disgusto, felicità, gioia, sorpresa e disprezzo. Queste sono emozioni innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per questo sono definite primarie ovvero universali. Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che originano dalla combinazione delle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociali. Emerge che culturalmente ci saranno delle differenze nell’espressione delle emozioni in quanto spesso esse possono essere inibite dalla cultura di appartenenza. In questo articolo guarderemo nello specifico alla rabbia, non tanto soffermandoci sugli aspetti di aggressività, di paura e di pericolo che da essa può scaturire ma introducendo l’idea di rabbia come ” utile”. Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica ma contemporaneamente può assumere valenza comunicativa. E’ in tale chiave che essa viene intesa e restituita alla persona all’interno di un percorso di psicoterapia.
La rabbia quindi può essere utile per svariati motivi che elencherò qui di seguito:
- La rabbia è essenziale e benefica in quanto ci fornisce informazioni su ciò che è sbagliato;
- E’ una risposta protettiva biologica in quanto contribuisce alla sopravvivenza della specie e ci permette di difenderci in maniera adeguata;
- Può diventare uno stimolo di cambiamento perché ci fornisce informazioni su ciò che ci arreca rabbia e che quindi ci procura frustrazione;
- E’ utile perché energia vitale che spesso , se usata in maniera utile ed efficace, aiuta la persona a prendersi qualcosa per sé di positivo.
Ecco gli aspetti di utilità della rabbia ed è importante, alla luce anche di quanto scritto, non soffocarla, negarla o allontanarla perché ci fornisce molte informazioni sulla nostra vita sociale, familiare e con noi stessi. Essa può diventare una sorta di onda colma di energia positiva e di creatività.
Come si lavora in Psicoterapia sulla rabbia?
Il lavoro di psicoterapia sulla rabbia può vertere su due aspetti: la gestione di essa al fine di ridurla o il riconoscimento di essa per farla emergere in maniera utile per la persona e per il sistema di persone in cui è inserita. Ovviamente la psicoterapia è una sorta di allenamento mentale a guardare la realtà con occhi diversi, creando scenari differenti e maggiormenti confrotevoli per la persona che porta la difficoltà, essa però ci tengo a sottolineare che non è magia ma ristrutturazione e cambiamento. Ecco perché la rabbia e il lavoro su di essa generalmente parte dal ragionare insieme sul significato di questa rabbia, andando ad individuare situazioni, luoghi o persone con cui emerge maggiormente. Proviamo a collegarla al nostro modo di percepirla e viverla sia psicologicamente che fisicamente, cercando di gestirla piuttosto che controllarla. Dal punto di vista sistemico è interessante come il lavoro si sofferma anche ad analizzare come mai la rabbia sia diventata così invalidante, da quando e verso chi essa è maggiormente presente per provare ad inserirla all’interno del sistema familiare di appartenenza, riconoscendone un ruolo e una funzione comunicativa.
E’ importante non spaventarsi di fronte alla rabbia e alla sua energia ma coglierne l’aspetto più evolutivo e costruttivo, come ad esempio la rabbia per qualcuno che ci ha lasciato o per un lavoro che non ci soddisfa. Esse sono tutte informazioni utili e che se ascoltare aiutano l’individuo, la coppia o la famiglia a prendere strade diverse, magari nuove.
Molte difficoltà adolescenziali come l‘autolesionismo, le dipendenze, l’aggressività, l’isolamento, la depressione possono presentare componenti significative di rabbia ed è importante che essa possa trovare un luogo dove emergere ed acquisire nuovi significati.
Attraverso la Psicoterapia sistemico – familiare non si lavora solo sull’individuo ma anche sui diversi sistemi nei quali esso è inserito.
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Dott.ssa Lisa Sartori _ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico – Familiare.