
Quando l’altro non possiamo cambiarlo, però possiamo accettarlo.
Quante volte ti è capitato di non tollerare più la persona che un tempo ti faceva battere il cuore? Di non accettare alcuni comportamenti e abitudini dell’altro? E di desiderare di cambiarlo/a?
Sicuramente almeno una volta nella vita ti è capitato e probabilmente ha dato origine a sensazioni ed emozioni vicine alla rabbia e alla frustrazione. Ecco che stai leggendo l’articolo che fa per te.
Cosa c’e’ all’origine di tali sensazioni?
Per prima cosa abbiamo tutti il desiderio di stare in una relazione soddisfacente e che porti benessere. Ci viene più spontaneo pensare a ciò che ci aspettiamo piuttosto che a quello che dovremmo fare in prima persona per tale benessere.
Nello specifico scegliere un partner vuol dire vedere molti vantaggi nello stare insieme a quella persona, esserne innamorati e immaginare che continuerà nel tempo. Ecco che nell’innamoramento sei attirato/a dall’altro per alcune caratteristiche che ti aiutano a sentirti bene, a svolgere un ruolo, a soddisfare un tuo bisogno come il prenderti cura, l’affidarti, dare o ricevere protezione e tanto altro.
Con il passare del tempo ciò che accade a tutte le coppie e in tutte le relazioni è la “disillusione” di ciò che ti aspettavi verso ciò che in realtà è l’altro. Accettarlo diventa un processo indispensabile per la prosecuzione del rapporto di coppia.
Cosa ti serve per accettare l’altro?
Rapportarsi agli altri significa lasciarsi sorprendere, vivere in modo nuovo i sentimenti, le abitudini e le emozioni, che però non sempre siamo pronti ad affrontare per la paura del passato o del cambiamento.
Un vero incontro amoroso è rivoluzionario, è una forza che trasforma, e amore non è fondersi con l’altro e nemmeno assorbirlo, ma produrre qualcosa di nuovo, lasciandosi sorprendere.
Il modo migliore è confrontarsi e chiedersi dove si è sbagliato, che cosa non abbiamo capito e cosa possiamo fare per entrare in sintonia. Insomma una sana autocritica che porta alla crescita del rapporto.
Accettare l’altro vuol dire:
- imparare che non tutto va come desideri
- mediare i tuoi bisogni
- comunicare
- ascoltare
- costruire insieme
- gestire la frustrazione
Inoltre ricorda che la coppia è un progetto fatto da un “Noi” non da un “Io” e accettare l’altro è indispensabile per costruire insieme e non divisi. La capacità di costruire progetti insieme dipende molto dalla tua famiglia d’origine e da come hai vissuto le relazioni affettive.
Se senti che come coppia o nelle tue relazioni hai delle difficoltà ad accettare e vivi come attacco personale e intimo ciò che nelle relazioni non funziona, non esitare a contattarmi, via mail Psylisasartori@gmail.com o via telefono 3497867274

Ti racconto la storia di Anna e della sua dipendenza affettiva.
“E’ meglio una delusione vera di una gioia finta”
(Neffa)
Quando incontro Anna (nome inventato) lei si trova in una situazione all’apparenza semplice ma non per lei che la vive da diverso tempo: è stata lasciata da una persona che per lei era tutto e che rappresentava la sua unica ragione di vita.
Fino a qui dirai che cosa c’è di strano? Non molto perchè ci aspettiamo che l’amore sia questo, che se non c’è la persona che ritieni di amare la tua vita non continui. Diciamo che soffrire per amore è scontato perchè ti metti in gioco quando ami e provi dei sentimenti, assumendoti un rischio “sano” per la tua vita.
La dipendenza affettiva però è qualcosa di più subdolo, che si insinua nella vita e che sembra incatenarti.
Ecco perchè desidero raccontarti la storia di Anna.
Anna è in una relazione affettiva da circa 5 anni caratterizzata da tira e molla senza una reale prospettiva di continuità ma non riesce a fare a meno della presenza di quest persona seppur nella sua vita diventa nociva. Gli effetti di questa “relazione” sono invalidanti nella sua vita, ovvero non riesce a fare le cose che vorrebbe perchè desidera esserci se lui arriva, ha trascurato amicizie e rotto con alcune persone che dimostravano dei dubbi sulla relazione. Ciò che ha spinto Anna a contattarmi è l’ennesimo attacco di panico che si trova a dover vivere con la paura di non uscirne più e avvenuto all’ennesima minaccia di abbandono da parte di Fabio.
Ecco che ci troviamo in terapia, con iniziale desiderio di Anna di trovare delle risposte immediate ai suoi dubbi e rassicurazione in me per la sofferenza che stava attraversando. A poco a poco, con la costruzione della relazione terapeutica e con la comprensione reale di che cosa aspettarsi dal terapeuta, Anna si conosce e prova a sperimentare una dimensione sana di relazione nella quale poter pensarsi come non malata o problematica ma semplicemente come una persona che desidera superare la sua dipendenza.
Dire NO è stato il prima passo, ovviamente con tutto il tempo necessario e soggettivo, Anna sperimenta la solitudine e la necessità di prendersi cura di sè. Ritrova nelle amicizie un tempo allontanate un vero e proprio aiuto e sostiene delle attività che l’aiutano a non cedere al bisogno di sentire Fabio. Più passa il tempo senza di lui e più sente di potercela fare perchè la relazione era tossica e diventava un circolo vizioso.
Anna inoltre ha dato un senso a questa difficoltà collegandola ad alcune esperienze familiari che le hanno consentito di sentirsi meno sbagliata.
Quali sono stati i passaggi fondamentali per Anna?

- Dire NO… nelle dipendenze affettive così come nelle dipendenze in generale finchè non si dice NO tutto può succedere
- Accettarsi senza dover essere diversa
- Bastarsi anche nelle piccole cose
- Ripercorrere la sua storia familiare andando alla ricerca dei suoi ruoli e scoprendo che quello che stava vivendo nella relazione con Fabio non era poi così diverso da quello che aveva già provato
- EMDR per superare idee negative su di sè e per ritrovare l’autostima…
Com’è finita la terapia?
Anna ora si sente libera perchè ha ripreso il controllo della sua vita e riesce a dire NO a Fabio. Ovviamente ha preso delle decisioni importanti che la portano a trasferirsi in una città che ha sempre pensato di raggiungere ma mai realizzata perchè non credeva in sè. Peccato che ci siamo conosciute con la mascherina e ci siamo anche salutate con lei.
Se senti di avere una sotria simile ad Anna e vuoi provare ad uscirne contattami via mail a psylisasartori@gmail.com o al cellulare 349-7867274
Dipendenza affettiva e amore nella coppia: quali differenze?
La dipendenza affettiva è una forma di relazione definita “tossica” proprio perché ha aspetti in comune con la dipendenza più classica (da sostanze) come l’astinenza, la tolleranza, la ricerca spasmodica della persona oggetto della dipendenza e il cambiamento del comportamento.
E’ importante affrontare tale tematica proprio perché, dalla mia esperienza clinica, mi rendo sempre più conto di quanto sia facile pensare che la dipendenza affettiva sia amore e affetto… ma in realtà così non è. Essa non rende liberi. La persona che soffre di tale dipendenza è spinta non dall’affetto ma dal bisogno di dipendere, di ricevere conferme e di attribuire un senso alla sua vita attraverso l’altro. Ovviamente, essendo una dipendenza “relazionale”, trova la sua maggiore espressione nella relazione di coppia e ne condiziona il funzionamento.
Si dice infatti che nella vita possiamo innamorarci più volte ma amiamo molto meno.
Vediamo insieme come mai e soprattutto come il vero amore sia diverso dalla dipendenza affettiva.
Che cosa si intende per amore?
Lo psicologo Sternberg definisce l’amore come quel sentimento che è composto da tre elementi:
1. L’intimità intesa come la capacità della coppia di prendersi cura uno dell’altro attraverso la condivisione e affinità;
2. La passione ovvero la vicinanza fisica;
3. L’impegno definisce l’impegno nel scegliere di stare nella relazione e decidere di amare.
Si dice che ci si innamora spesso nella vita ma si ama molto poco, proprio per la complessità di questo sentimento. Già dalle tre caratteristiche qui sopra espresse, si può notare come l’amore sia diverso dalla dipendenza, che concepisce l’altro come una mera necessità.
Come distinguere una dipendenza “sana” da una dipendenza “tossica” nella relazione?
Fin da quando siamo piccoli impariamo a dipendere dagli altri per nutrirci, per camminare, per imparare via via ad essere sempre più autonomi. Questo tipo di “dipendenze” sono sane proprio perché funzionali al nostro benessere e alla nostra evoluzione. In età adulta, quando amiamo qualcuno, sentiamo che nella relazione vi è reciprocità e siamo in un certo modo “dipendenti” anche dal benessere dell’altro ma è amore vero poiché ci sentiamo liberi e lasciamo libero l’altro, sia nei pensieri che nei sentimenti.
Una dipendenza “tossica” si sviluppa in età adulta (anche se alcune manifestazioni si possono vedere già in tarda adolescenza e prima età adulta) e colui che dipende perde tutti gli interessi, si modula in base all’altro e spesso rinuncia a tutto per questa relazione. Non è sana proprio perché è in opposizione a ciò che costruisce il benessere nella coppia, ovvero la libertà, la soddisfazione individuale e reciproca e la consapevolezza di sè.
Quali sono gli effetti della dipendenza affettiva nella coppia?
Vivere in una relazione con dipendenza affettiva non è un vivere sano e produttivo perché , a lungo andare, questa situazione diventerà distruttiva per entrambi i partner.
Inizialmente chi “dipende” trova sicurezza nella relazione, nell’altro e tende a dare tutto se stesso tanto da essere “visto” come ” accudente e presente” nella relazione. Essendo per natura delle relazioni la fase iniziale quella dell’innamoramento ed essendo una fase spesso simbiotica della relazione, qui la dipendenza apparirà funzionale alla costruzione della coppia.
Però ben presto si arriva alla fase della differenziazione, fase nella quale si tende ad allargarsi verso l’esterno, essere meno simbiotici e maggiormente individuali. Se però questo non è tollerabile da almeno uno dei due partner, iniziamo i problemi.
- assenza di libertà: la persona che è oggetto della dipendenza a lungo andare sente di essere soffocata nella relazione e spesso è la prima a minacciare la rottura.
- ricatti emotivi: per tenere a sé la persone si arriva a mettere in atto ricatti che hanno come risultato lo sviluppare il senso di colpa.
- ritiro sociale: inizialmente la coppia può vivere il ritiro sociale e viverlo come aspetto positivo in quanto ci si basta, ma quello che accade successivamente è che vi sarà sempre meno vita al di fuori della coppia. Colui che dipende sarà disposto anche a perdere il lavoro pur di stare a casa, esserci per l’altro e ridurre la rete sociale.
- rottura con i legami familiari: sono relazioni che, anche per alcune difficoltà familiari già presenti, vanno a minare i rapporti con la famiglia. Famiglia che fa da specchio ed inizia a far notare alcuni aspetti negativi o di problematicità nella coppia.
- ridotta autostima: più si dipende e meno impariamo a volerci bene, quel bene che è necessario al fine di riuscire a tutelarci nella relazione e nella vita.
Questi sono solo alcuni aspetti che possono emergere e che condizionano l’andamento di coppia andando a distruggere il vero senso di “fare coppia”. Assenza di confronto, impossibilità a pensarsi senza l’altro ci pongono in una relazione nella quale entrambi i partner vivranno una senso di costrizione, di profonda paura per l’abbandono e a volte anche un senso di soffocamento che nutre le emozioni come rabbia e impotenza.
Come nelle maggior parte delle difficoltà di coppia, chiedere aiuto è il primo passo perché si possa guarire dalla dipendenza affettiva. Non è però possibile farlo da soli.
Vuoi approfondire il tema della dipendenza affettiva? Scarica qui il mio ebook!
Se invece vuoi avere altre informazioni o fissare appuntamento contattami al 3497867274 o via mail psylisasartori@gmail.com

Superare gli attacchi di panico
Ciò che non mi distrugge mi rende più forte
F. Nietzsche
Nell’attacco di panico la persona può sperimentare pericolo, perdita controllo e sentirsi in balia di situazioni ed eventi , anche con la paura di non uscirne più. L’attacco di panico per essere gestito e superato per prima cosa necessita di essere compreso a livello di significato e di funzionamento. Esso non è altro che la maggiore espressione dell’ansia e come tale esso a volte può essere al pari di una vera e propria esperienza traumatica. Prima di addentrarci su come superalo è importante sapere che l’ansia è il frutto di alcune componenti:
- cognitiva: ovvero i pensieri che mettiamo quotidianamente in atto e che possono influenzare il nostro modo di percepire la vita;
- somatica: il corpo si attiva al fine di proteggerci da potenziali minacce e situazioni di pericolo reale o immaginario che spesso sono il campanello d’allarme che attiva l’ansia;
- emotiva: insieme al pensiero e alla reazione corporea e somatica accade che si attivano le emozioni, come ad esempio la paura.
Nell’ansia può accadere che si attivi un circolo vizioso che porterà la persona a vivere un generale o specifico senso di preoccupazione che vincola il benessere e la ricerca di autonomia. Essendo una sorta di attivazione fisiologica spontanea di fronte al pericolo è importante, per prima cosa, ricordarci che possiamo “psico-educarci” all’ansia e cercare di gestirla. E’ utile per prima cosa comprendere che essa è frutto di pensieri, sensazioni ed emozioni che prendono il sopravvento e che assume un senso a livello relazionale. Successivamente si procede nell’elaborare e cambiare la relazione con l’attacco di panico attraverso l’emdr, una tecnica specifica ed indicata per il trattamento dell’attacco di panico in quanto esso viene considerato come “traumatico”.
Ecco che la persona vivrà con tale attivo un’esperienza che lo porta a temere che si ripresenti ed eviterà tutte le situazioni che potranno attivarlo, almeno anche a livello potenziale. Ecco che grazie alla tecnica emdr quello che accade è che andiamo a “desensibilizzare” il ricordo traumatico collegato all’attacco di panico e alla sua insorgenza partendo dal lavoro sul primo, più intenso e ultimo attacco di panico e andando a collegare emozioni, pensieri e sensazioni e riattivando un normale processo di guarigione che è previsto dal nostro funzionamento psicologico.
Questo perché l’emdr funziona attraverso movimenti oculari che consentono alla persona di riattivare la “comunicazione” tra emisferi cerebrali che di solito comunicano al fine di elaborare i vissuti traumatici ma, in presenza di un’esperienza di panico vissuta come traumatica, si blocca e si cronicizza come esperienza nella vita della persona che ne soffre.
Attraverso la psicoterapia è possibile superare l’ansia e il panico imparando a riconoscerne i segnali, mettendo in atto strategie di gestione e nuovi significati emotivi e relazionali collegati a tale esperienza, attraverso l’utilizzo di tecniche specifiche come emdr, in maniera efficace e risolutiva.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico relazionale

Guarire il trauma con Emdr
“Non essere completamente vivi nel presente mantiene saldamente imprigionati nel passato”
(Bessel Van Der Kolk)
Per trauma si intende, dal punto di vista psicologico una frattura causata da un evento talmente stressante da sovrastare le capacità della persona di gestire le situazioni e difendersi dal loro impatto negativo. I traumi possono essere molteplici e non solo fisici ma anche psicologici: trascuratezza, lutti, perdite, trasferimenti, abbandoni ecco alcuni degli eventi che possono condizionare il presente e futuro della persona.
Attraverso le esperienze negative la persone svilupperà anche un’idea di sé che sarà, nella maggior parte delle situazioni, coerente con l’immagine negativa di sé che l’evento richiama: non essere all’altezza, essere sbagliati, non valere ecc… Ecco che, con tali premesse, la vita presente e futura appare difficile e poco gratificante per la persona.
Cosa succede al corpo successivamente al trauma?
Quello che accade al corpo esposto ad una situazione reale o percepita di pericolo è quella di attivare le difese, di difendersi e di prepararsi alla prossima minaccia: è in tale situazione di allarme che la persona vive.
Cosa accade alla psiche?
Tendenzialmente quello che accade è che la mente aiuta la persona a difendersi da ricorsi troppo dolori e dunque avviene una sorta di “dissociazione” con se stessi e le proprie emozioni. I segnali sono:
- mancanza di ricordi e difficoltà ad accedervi;
- difficoltà nel vivere e riconoscere le emozioni pressoché assenti ma perché percepite come perciolose dalla persona;
- costante stato di allarme;
- idea negativa di sé;
- scarsa autostima;
- difficoltà relazionali.
Inoltre, essendo sempre in attesa, accade inoltre che qualsiasi situazioni possa riattivare esperienze passate traumatiche: lo stress, infatti, tende a disattivare le strutture del sistema nervoso centrale deputate alla memoria autobiografica (ippocampo), mentre quelle legate alla memoria emotiva (amigdala, talamo, corteccia sensoriale) trattengono i ricordi nelle primitive forme sensoriali ed iconiche.
Come superarlo?
La difficoltà maggiore per le persone che presentano esperienze traumatiche è “esserci nel presente” proprio perché imprigionati nel passato. E’ importante aiutare la persona non solo nel sentirsi libera di riprendere vissuti dolorosi ma di aiutarla a trasformarli in vissuti meno dolorosi e vincolanti. Ecco che al percorso terapeutico si aggiunge una tecnica decisiva e di impatto per il benessere della persona.
Grazie alla tecnica EMDR avviene un’adeguata elaborazione che consenta alla persona di “collegare” mente, corpo ed emozioni per elaborare e poter modificare il ricordo memorizzato trasformandolo da negativo a positivo. Oltre a questo si accompagnerà la persona nello sviluppo di risorse e scenari ipotetici futuri che possono bloccare al fine di sbloccare l’esperienza negativa e l’idea di sé negativa.
Per maggiori informazioni o per fissare appuntamento, contattami compilando il link contatti.
Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Relazionale_ Terapeuta EMDR

Come superare un tradimento.
“Nasce dal colore di una rosa appassita un’altra vita”.
(Tiziano Ferro)
“In amore si dice che nulla è per sempre o quasi” dice Angela (nome inventato) appena arrivata in terapia. Ha gli occhi colmi di lacrime e il cuore “ferito” dalla persona che più amava e da colui che reputava essere la persona che l’avrebbe accompagnata per il resto della vita. Quello che accade è che le cose non sono andate come si aspettava e che la relazione che prima era il suo posto sicuro ora era il posto da cui scappare; con lei c’è Mario ( nome inventato) avvilito e senza parole.
Questa è solo una delle tante storie di coppie in crisi a seguito di un tradimento, scoperto o dichiarato, il quale può diventare la goccia che fa traboccare il vaso. In terapia arrivano coppie che sentono di non poter “permettersi di lasciarsi” perché vi sono impegni in comune, figli e altre possibili motivazioni oppure uno dei due viene trascinato in terapia, spesso da colui che ha tradito e che però vuole recuperare la relazione. E’ in questi casi che si declina una terapia di coppia volta a comprendere la dimensione coppia, ad affrontare emozioni e pensieri che vincolano la relazione attualmente e che hanno bisogno di tempo e di essere espresse. Poi ci sono situazioni dove il tradimento diventa l’occasione per finire una relazione, ma in questo articolo ci soffermiamo su coloro che non si fermano al tradimento.
Perché si tradisce?
Rispondere a questa domanda è un compito molto importante e spesso non trova una sola risposta. Per prima cosa è importante concepire il tradimento come una sorta di “sintomo” che comunica qualcosa alla coppia. Vedere il tradimento con gli occhi di chi tradisce ci può portare a formulare differenti ipotesi:
- Problemi con il partner;
- Mancanza di attenzioni;
- Difficoltà di comunicazione;
- Insoddisfazione (emotivo, sessuale, incompatibilità caratteriale, mancanza di comunicazione, ecc.);
- Stanchezza;
- Difficoltà a ridefinire i bisogni individuali;
- Desiderio di provare emozioni forti;
- Paura di farsi coinvolgere da una relazione in particolare;
- Paura d’amare;
- accordo implicito alla coppia ( dovuto a vantaggi per entrambi).
Queste sono alcune delle motivazioni che possono spingere verso il tradimento. Ovviamente ciò che consente di fare la terapia è di trasformare tale “evento” in occasione di rinascita per la coppia laddove possibile. Una buona percentuale di tradimenti avviene per soddisfare dei propri bisogni personali, che non trovano soddisfacimento all’interno del rapporto.
Come superare il tradimento?
Per superare il tradimento, da entrambe le parti, è importante costruire uno spazio neutro nel quale affrontare le rispettive “Responsabilità” per mantenere viva la coppia anche nel momento di difficoltà. Facile è entrare in dinamiche di colpa che sono utili per scaricare l’aspetto emotivo ma sono sterili per la ricostruzione della coppia. Ecco che con un percorso di coppia è possibile affrontare differenti aspetti:
- L’aspetto emotivo e la ferita che tale evento porta con sé;
- i segnali non visti e non comunicati alla base del tradimento;
- gli obiettivi futuri e i desideri;
- la costruzione di un nuovo patto di coppia che consideri la coppia per quello che è oggi;
- vedere il tradimento come “sintomo” di una difficoltà di coppia e individuale nel momento in cui la persona usa il tradimento per non parlare di sé e delle sue difficolta.
Inoltre il tradimento intacca l’identità individuale e risuona nelle corde di ogni individuo diversamente a prescindere dalla propria storia individuale e relazionale.
Concludo con la storia di Angela e con l’ultimo incontro di coppia:
” A coloro che mi chiedono come ho fatto a perdonarlo dopo tutto quello che abbiamo costruito e che ha distrutto io ora rispondo che io dovrò perdonarlo per il tradimento ma io devo farmi perdonare da lui per ciò che prima non andava e che non vedevo. Io ho riversato tale difficoltà nella dipendenza lui nel tradimento”.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Uscire dalla dipendenza da sostanze con EMDR
“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù. L’unica differenza è che si paga con piacere e con un sorriso… anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime” Paulo Coelho
La dipendenza da sostanze ( alcol, marijuana, cocaina, eroina, crack, anfetamine, ecstasy, ketamina, speed…) è una forma patologica di abuso di sostanze che implica un’alterazione del comportamento che da semplice abitudine diviene una ricerca spasmodica del piacere attraverso sostanze, strumenti o comportamenti che conducono alla condizione patologica. Sia che si parli di dipendenza da sostanze sia che si parli delle nuove dipendenze ( internet, gioco, affettiva, sesso) esse hanno comunque alcuni aspetti in comune:
- Tolleranza: ovvero il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza ( oggetto della dipendenza) per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato, l’effetto è notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;
- Astinenza: la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza che si presentano come fisici e psichici;
- Craving o uso compulsivo: una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti. In questa fase, avviene l’interruzione o la riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa della dipendenza.
La dipendenza da sostanza inizia ad emerge fin dalla prima adolescenza ( pre – adolescenza) ed assume spesso un aspetto relazionale e di comunicazione all’interno della famiglia d’origine. Ecco che il giovane adolescente ottiene, per così dire, dei vantaggi secondari dall’uso delle sostanze come la gestione di emozioni dolorose e difficili da sentire e verbalizzare, legami esclusivi con i genitori o almeno con uno di essi e con la sostanza si ferma il tempo familiare: ecco che conflitti, ipotetiche separazioni vengono bloccate dalla dipendenza. Ma la dipendenza può emergere anche in età adulta, seppur già presente nel passato ma può esserci un momento della vita dell’individuo nel quale le sostanze assume un valore importante e decisivo per il presente e il futuro. Ecco che le relazioni e le normali attività ( ricreative e lavorative) cessano a poco a poco di esistere al fine di dedicare sempre più tempo alla propria illusione. Nella dipendenza il sintomo è soltanto la punta dell’iceberg: è invece fondamentale comprendere i motivi per cui la persona è incappata in una forma di dipendenza, indagando la sua storia personale e familiare, professionale, le sue relazioni, i suoi vissuti ed eventuali traumi. Senza fare questo, non è possibile trattare le dipendenze in modo efficace.
Come uscirne?
Per trattare le dipendenze è importante che vi sia la motivazione la trattamento nel caso di una richiesta individuale mentre, spesso negli adolescenti, la richiesta passa per la famiglia che allarmata richiede aiuto. Ecco che gli interventi di psicoterapia , seppur personalizzati, passano dalla presa in carica individuale, di coppia e familiare.
Quali sono i vantaggi dell’emdr nella psicoterapia per le dipendenze?
L’emdr è una tecnica specifica per lavorare sulle memorie traumatiche che persistono nell’individuo e che possono aver contribuito allo sviluppo della dipendenza. E’ stato dimostrato che persone dipendenti sono state esposte a traumi di natura sia psichica che fisica e che tali aspetti spesso nelle dipendenza si perdono perché vengono “soffocati” dalla sostanza. Sentire di non essere desiderati, amati, stimati o ascoltati possono essere solo alcuni delle fratture che persistono nella memoria di ogni individuo. Ecco che grazie all’emdr si ottengono buoni risultati sia sulla dipendenza come comportamento sia sulla dipendenza. A volte la dipendenza stessa porta con sé ricordi traumatici, legati alla storia di abuso e si può lavorare sull’astinenza attraverso diversi protocolli che aiutano la persona ad ascoltare la dipendenza a livello comunicativo e lavorare al fine di installare le risorse utili all’individuo per superare la dipendenza.
Ecco che il lavoro con Emdr all’interno della psicoterapia sistemico relazionale si può così riassumere:
- costruzione della storia individuale, familiare e della dipendenza;
- lavoro con emdr sull’astinenza;
- lavoro con emdr sui ricordi traumatici che necessitano della sostanza per essere controllati;
- si focalizzerà sul futuro, per preparare la persona ad affrontare le situazioni e gli eventi in modo sano senza ricorrere alla sostanza.
Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale

Come superare la paura delle malattie.
“Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”
Eraclito
La paura delle malattie è una paura del tutto normale ma per qualche persona diventa invalidante, difficile da gestire. Nei racconti di coloro che si definiscono “ipocondriaci” vi è una costante attenzione ad ascoltare le proprie sensazioni fisiche, come se vi fosse un costante stato di allerta frutto anche della costante attenzione: ecco che prende vita il circolo vizioso. Più mi ascolto e più avrò qualcosa da ascoltare: un respiro più faticoso del solito, un crampo, un dolore localizzato o generalizzato…
L’ipocondria è dunque una forma di “fobia” che spesso nasce da una sorta di pensiero “ossessivo” e da una ricerca costante di qualcosa da valutare e/o indagare.
Che cos’è l’ipocondria?
La caratteristica essenziale della ipocondria è la preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia. Questa è solitamente basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici.
Si può parlare di ansia di malattia (o paura delle malattie), ovviamente, solo se una valutazione medica completa ha escluso qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o sintomi fisici. Ecco che spesso coloro che soffrono di tale difficoltà arrivano in psicoterapia inviati spesso da medici di base, oppure da familiari preoccupati.
Una lettura sistemico-relazionale..
Ovviamente tale atteggiamento verso di sé non si apprende in maniera casuale ma, secondo l’approccio sistemico- relazionale, si inserisce all’interno di un sistema relazionale di appartenenza. Malattie vissute o assistite, morti o iper attenzione all’area medica da parte dei familiari sembrano essere comuni a coloro che soffrono di ipocondria. In particolare sembra dominare la “semantica della libertà” nei pazienti con disturbi fobici, ovvero sembra che le conversazioni familiari siano organizzate attorno al concetto di dipendenza e libertà. Ecco che le persone fobiche hanno una tendenza ad aver bisogno di un altro che funga da riferimento, da ancora di salvezza ma che diventa invece un vincolo alla libertà. Si è tuttavia liberi solo quando si è in grado di fronteggiare da soli un mondo pericoloso.
Come uscirne?
Ecco che il modo di superare l’ipocondria passa per due importanti step:
- aiutare la persona che arriva in terapia a sviluppare delle strategie che inizialmente gli consentano di gestire lo stato di attivazione e di ridurlo (emdr- prescrizioni paradossali); L’emdr consente alla persona di elaborare le esperienze traumatiche collegate all’ipocondria e alla paura al fine di desensibilizzarle e installare le risorse utili per la guarigione;
- cogliere il significato relazionale della paura che spesso riporta a relazioni vissute come vincolanti, preferenziali e con un limite immaginario dal quale la persona necessita e desidera superare ma che teme di essere libero di farlo.
Paradossalmente quando una persona arriva in psicoterapia ha tentato un certo numero di soluzioni e alcune, forse, per un po’ hanno anche funzionato, come ad esempio controllare ripetutamente in google, fare esami clinici, sentire diversi pareri medici, provare medicine alternative o chiedere costanti rassicurazioni… cosi come per l’ansia questo non fa altro che rendere l’individuo ancora meno in grado di percepirsi efficace nel superare gli ostacoli e di uscire dalle trappole mentali. Ecco che nella prima parte del percorso si cercherà di fornire a lui altre possibile strategie più incentrare sulla gestione della paura piuttosto che sul suo controllo. Inoltre comprendere il significato che esso ha nella sua vita relazione può essere il punto di svolta per dare voce al sintomo e arrivare al messaggio comunicativo che in esso è sempre incluso. A chi è destinato lo si scoprirà con la psicoterapia e con un lavoro su di sé e sulle proprie relazioni.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico relazionale.

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Emdr: una terapia efficace per l’ansia e il panico.
“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi”
Leo Buscaglia
Prima di addentrarci nel mondo dell’ansia e del suo trattamento è importante soffermarsi su cosa sia l’ansia e quale funzione assume nella vita di ogni individuo. Per prima cosa è importante ricordare che l’ansia è uno stato “normale” di attivazione fisiologica che avviene in ogni individuo assumendo una funzione spesso di sopravvivenza: ci dice che qualcosa ci sta spaventando o che siamo vicini ad un pericolo reale od immaginario. E’ dunque un’emozione universale e non sempre negativa, ed assume un valore importante a livello comunicativo, in particolare tale aspetto viene sottolineato nell’ottica sistemica- relazionale la quale si interessa al forte potere relazione dell’ansia. Infatti le storie di coloro che soffrono di ansia parlano di separazioni, di lontananze impossibili o di cambiamenti difficili e insieme a loro vi è almeno una figura importante coinvolta nell’ansia, fungendo spesso da sostegno e rassicurazione che paradossalmente aumenta però la manifestazione dell’ansia. Quando si soffre di un disturbo d’ ansia si vive in perenne stato di allarme e iper-vigilanza, come se si fosse costantemente in pericolo anche in assenza di oggettive minacce o rischi: le situazioni o i compiti più semplici da affrontare possono risultare ostici e pericolosi e proprio per questo tendono ad essere evitarli.
Quali sono i disturbi d’ansia?
Per disturbi d’Ansia ci si riferisce ad una macrocategoria che include:
- Disturbo di Panico (con e senza agorafobia);
- Fobie specifiche (ad esempio fobia dei ragni, fobia del sangue o delle iniezioni, fobia dell’ aereo o delle gallerie);
- Fobia Sociale (paura o imbarazzo marcato che si attivano in situazioni sociali o prestazionali);
- Disturbo d’ Ansia Generalizzato (ansia e preoccupazione eccessive quotidiane associate a irritabilità, difficoltà a concentrarsi e alterazioni del sonno).

Prima e dopo il trattamento EMDR
Emdr nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Passiamo ora al trattamento efficace attraverso EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) nasce come trattamento per Disturbo da Stress Post Traumatico e diventa efficace nel trattamento di molti altri disturbi, compreso l’ansia e il panico. Essa consente di:
- elaborare i traumi dell’attaccamento al momento attuale;
- desensibilizzare il ricordo “traumatico” legato alle esperienze di ansia e panico e lavorare sulle risorse utili per guarire;
- migliorare le abilità sociali e individuali;
- accrescere l’autostima e il senso di autoefficacia per affrontare le sfide della vita;
- prevenire e gestire l’ansia e il panico;
- lavorare sulla dimensione futura.
Come avviene la psicoterapia con Emdr?
Per prima cosa è necessario dedicare alcuni incontri di psicoterapia alla raccolta della storia del problema e alla storia familiare dal momento che, anche alcuni momenti particolari di vita o fasi del ciclo di vita familiare, possono determinare l’insorgenza del sintomo. Prima di iniziare con la tecnica è importante, come in ogni percorso terapeutico, costruire l’alleanza terapeutica al fine di costruire un posto sicuro nel quale trattare aspetti delicati e dolorosi della propria esperienza di vita.
Successivamente si andrà a lavorare sul ricordo dell’ansia e delle situazioni vissute lavorando attraverso la tecnica EMDR nel ricordo traumatico e sull’idea di sé che tale episodio contribuisce a costruire e che spesso è negativa; si lavora sul ricordo di alcune esperienze che possono aver contribuito all’insorgere del disturbo d’ansia ( tendenzialmente nei primi 10 anni di vita) . Inoltre si lavora sul ricordo delle prime volte in cui si è provata l’ansia e le volte peggiori, così da neutralizzare queste reazioni e permettere alla persona di affrontare le situazioni in modo funzionale.
Come mai è efficace?
Attraverso l’ EMDR si analizzano e rielaborano gli episodi più critici e le manifestazioni più acute dei sintomi d’ansia.
Spesso l’esordio della sintomatologia ansia-correlata è preceduto da esperienze traumatiche che in qualche misura ne determinano l’insorgenza.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.