
Amori non corrisposti e solitudine natalizia
L’ansia da prestazione è caratterizzata dalla continua ricerca di approvazione o riconoscimento da parte degli altri e nasconde il timore di non essere all’altezza delle situazioni sociali, fino ad arrivare al timore di essere rifiutati. Tale paura può portare la persona a isolarsi dalle relazioni sociali, boicottare ed anticipare possibili problemi, soprattutto criticando se stesso, mettendosi in eccessiva discussione.

Relazioni Tossiche: riconoscerle ed uscirne

“Le relazioni sono uno specchio di come ci vediamo, pensiamo e comunichiamo”
Si sa che le relazioni non sono sempre facili. Spesso addirittura ci si può trovare immersi in relazioni di coppia o familiari anche molto complesse e poco soddisfacenti, a tratti anche pericolose.
Oggi vi parlerò dunque di “relazioni tossiche”. Partiremo dalla loro definizione passando a come poterle riconoscere e superare.
Le relazioni sono lo specchio di come ci percepiamo, pensiamo e viviamo ed è per questo che è importante non darle per scontate.
Per “relazioni tossiche” si intende una relazione disfunzionale che persiste nel tempo e che sopravvive anche ai tentativi di interruzione. Esse possono minare la salute, limitare la libertà della persona e dar vita ad un circolo vizioso dal quale non è facile uscirne. Ecco che ci si ritrova in relazioni insoddisfacenti e con un legame di coppia spesso logorato, come una corda che si è tirata troppo e che è in procinto di spezzarsi, anche se ciò poi non accade mai.
Come si sviluppano le relazioni tossiche?
Cadere in relazioni tossiche non è poi così difficile. Si inizia infatti con legami d’amore, quindi relazioni che un tempo hanno anche avuto, seppur a livello spesso solo illusorio, un effetto benefico sulla persona.
Spesso le due persone si sentono affini, simili e quasi “fatti l’uno per l’altro”. Sono per lo più relazioni basate su di un benessere apparente, spesso frutto di unioni di coppia (incastri di coppia in termini psicologici) che sfruttano una relazione di potere da parte di uno dei due partner, tendenzialmente quello vissuto come il più forte.
Ne sono un esempio il sadismo e il masochismo, o la relazione tra un narcisista e una persona insicura (due quadri che spesso si sovrappongono). Sono relazioni in cui vige un’asimmetria di potere e responsabilità, e dove la sofferenza è strettamente legata al piacere. Ovviamente è bene sottolineare che l’unione di coppia e la scelta del partner, non è mai casuale ma è dettata da modalità relazionali acquisite dalla propria famiglia d’origine.
Quali sono le relazioni tossiche?
Dipendenza affettiva: è una relazione nella quale l’oggetto della dipendenza è “l’altro”. La persona che soffre di tale dipendenza tenderà a mettersi da parte e a vivere in totale dedizione all’altro, così come un tossicodipendente fa con la sostanza. Ecco che la persona dipendente spesso ridurrà le sue attività per vivere per l’altro, anche se la relazione è fonte di insoddisfazione.
Lotta di potere: sono relazioni basate sulla “distruzione dell’altro” e sul concetto di “vittoria”. In queste relazioni non si giunge mai ad un confronto positivo. Si basa tutto sull’affermazione di se stessi e spesso anche sull’affermare la propria famiglia d’origine. In questo caso non c’è una asimmetria di ruoli, ma piuttosto la tendenza di entrambi i membri della coppia ad assumere un ruolo dominante.
Anche se la relazione di questa coppia sembra giunta al termine, i due continuano comunque a stare insieme. Non c’è davvero una progettualità e la gioia di stare insieme è ormai scemata. Si parla di ” legame disperante” con delle ripercussioni gravi anche sui figli. I continui conflitti spesso celano vissuti depressivi latenti: insomma, tra rabbia e disperazione, i due scelgono di esternare la rabbia.
Il ricatto e la paura come aspetti dominanti nella coppia: sono coppie che utilizzano il ricatto emotivo come strumento di controllo dell’altro e la paura sappiamo che, se sfruttata, blocca la persona e la rende schiava anche solo a livello emotivo.
L’altro idealizzato: Questo tipo di relazione tossica si palesa quando comincia a diventare evidente che uno o entrambi i membri della coppia non si sono innamorati della persona con cui condividono l’affetto, ma con una versione idealizzata di esso.
Sebbene questo fatto possa essere già stato intuito durante i primi mesi della relazione, è possibile che venga data poca importanza ad esso e che, in ogni caso, questa dissonanza cognitiva sia stata risolta sopravvalutando la capacità dell’altro di cambiare in futuro e conformarsi alle nostre aspettative. Questo può portare a vivere relazioni idealizzate e non reali.
Come riconoscere le relazioni tossiche?
Le relazioni tossiche hanno delle caratteristiche tipiche, tra le quali troviamo: ansia, violenza fisica o verbale, paura, elevata conflittualità di coppia, gelosia estrema, paura, senso di essere in trappola e sensazione di non valere abbastanza… Queste possono cambiare di situazione in situazione ma di norma sono quasi sempre presenti. Proprio per la pesantezza della relazione non è da escludere che possano esserci implicazioni anche per i figli, laddove coinvolti nel conflitto o nelle dinamiche disfunzionali dei genitori. Inoltre in uno dei due partner possono svilupparsi sintomatologie ansioso-depressive o fobiche.
Come uscire dalle relazioni tossiche?
E’ fondamentale anzitutto avere la consapevolezza di star vivendo una relazione tossica. Il secondo step è il chiedere aiuto a professionisti in grado di aiutare la persona ad acquisire maggiore sicurezza in se stesso e nella propria forza.
Ecco alcuni suggerimenti per iniziare a mettere in discussione la vostra relazione tossica:
Comprendere e rivedere la propria storia familiare per liberarsi di ruoli, miti ed aspettative relazionali che possono ad oggi alimentare una relazione tossica.
Rivedete i comportamenti passati. Quando siete con il vostro partner sentite che il tempo è speso bene e che ne vale la pena? O sentite le vostre energie prosciugate e state con lui/lei solo per senso del dovere?
Analizzate il presente. Come vi sentite nella relazione? Quali emozioni prevalgono (gioia, rabbia, paura o senso di colpa)?
Recuperate le attività sacrificate per la relazione tossica. Quante cose avete messo da parte per difendere questa relazione?
Cercate persone con atteggiamenti diversi e fate attenzione a non innescare di nuovo il circolo vizioso.
Lavorate sulla parte di voi che alimenta il circolo vizioso della relazione grazie ad un percorso di psicoterapia.
Elaborate i traumi psicologici e fisici collegati a tale relazione con l’EMDR al fine di aumentare l’autostima e migliorare il benessere.
Se vuoi maggiori informazioni o vuoi iniziare un percorso di psicoterapia, contattami!
Che cos’è il trauma psicologico e come superarlo con emdr.

Dopo un’esperienza traumatica, il sistema umano di auto-conservazione sembra essere in uno stato di allerta permanente, come se il pericolo potesse tornare da un momento all’altro.
(Judith Lewis Herman)
Il trauma psicologico non è raro ed appartiene all’esperienza di vita di tutti noi: esso rappresenta qualsiasi evento che una persona recepisce come estremamente stressante e bloccante, che sia una minaccia reale o percepita, che riguarda noi stessi o gli altri. VI sono diversi tipi di traumi ed essi vengono suddivisi in:
- Traumi con la T maiuscola, che riguardano l’incolumità della persona ( lutto, incidenti, ferite, calamità naturali, attentati)
- Traumi con la t minuscola, che hanno a che vedere con le esperienze più soggettive che ogni persona fa nella propria vita: violenze fisiche o verbali, giudizi, critiche, fallimenti…
Il trauma psicologico, essendo esso stesso personale e intimo, non è sempre facile da superare e ha un ruolo decisivo nello sviluppo della propria identita’. Ad esempio, se ho vissuto spesso situazioni di disprezzo o di svalutazione anche nella famiglia d’origine, quello che può accadere è che l’autostima non si sviluppi al meglio, che sia più facile pensarsi come incapaci piuttosto che come capaci o come coloro che non hanno risorse.
Questi eventi producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare: quando l’elaborazione del trauma psicologico non avviene naturalmente, spesso a causa di vissuti troppo emotivi e dolorosi, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano, e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il benessere della persona.
Quindi è come se il trauma restasse imprigionato nella memoria traumatica e incidesse con un malessere che continua nel tempo e che riemerge quando meno ci si aspetta, con eventi che possono richiamare anche alla lontana l’esperienza. Può quindi capitare che non si riesca sempre a trovare un collegamento tra l’esperienza traumatica e il vissuto attuale, ma ci sia bisogno di tempo e desiderio di scoprirne l’origine, detto ricordo originale.
Quindi come si può superare il trauma psicologico?
Diversamente da quanto si credeva un tempo in psicologia, non è utile il solo parlarne perché quello che è utile alla persona non è solo rievocare il ricordo ma rielaborarlo, riorganizzandolo in luoghi della memoria e delle emozioni più funzionali e meno dolorose. Ecco perché l’emdr è una tecnica che guarisce dal trauma, perché essa funziona andando a riconnettere i vissuti traumatici, i ricordi, con le emozioni e le sensazioni attraverso dei movimenti oculari bidirezionali che consentono al cervello di riattivare un processo di “auto-guarigione”.
Ecco che emdr non è una sorta di magia, ma si basa su studi scientifici e sul funzionamento di reti neuronali che consentono di mettere al centro la persona, con i propri vissuti e con le proprie fragilità andando a recuperare un processo di elaborazione del trauma che sia il più “naturale” possibile.
Inoltre l’emdr consente alla persona di sviluppare risorse e migliorare l’idea “negativa” su di sé al fine di renderla maggiormente positiva ed utile al proprio benessere.
La storia di Clara.
Clara (nome immaginario) viene in psicoterapia perché non riesce ad affrontare situazioni affettive, sente di non riuscire a decidere nelle relazioni anche perché crede di non avere nulla per cui vale la pena essere amata. Questo le genera una profonda sofferenza perché sente di non riuscire a sostenere una relazione, a portarla avanti e vorrebbe riuscire a costruire una famiglia.
Dalla raccolta della sua storia emergono esperienze traumatiche che, seppur ritenute “sottigliezze” da parte di Clara, sono la base delle sue attuali difficoltà. Costanti messaggi quotidiani dal padre rispetto a quanto non fosse brava, capace e che qualsiasi cosa facesse il risultato era che la colpa era la sua, sono un terreno fertile per un’incapacità in età adulta a costruire il proprio benessere.
Per prima cosa abbiamo lavorato per costruire una lista di esperienze che hanno segnato Clara, ordinandole cronologicamente e misurandone l’intensità del dolore ad esse associate. Successivamente si fornisce un “Posto Sicuro” che diventerà il luogo della persona che richiama sensazioni di calma e serenità da richiamare al momento del bisogno anche nella quotidianità. Infine si lavoro sugli aspetti traumatici e, con quanto riportato da Clara concludo questo articolo,.
” Il ricordo c’è, non lo posso cancellare, ma lo sento lontano. Prima mi accompagnava nella vita vita, nelle mie giornate e sento che ora ho la forza per superare le difficoltà.”
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale_ Terapeuta EMDR

Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

Quando la coppia infelice non scoppia.
“Gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda.”
( F.M Dostoevskij)
Essere coppia è una sfida che mette ogni individuo alla prova rispetto ai propri limiti, risorse e modalità di comunicazione e di relazione. La complessità della relazione di coppia sta anche nel momento della disillusione come fase nella quale entrambi in partner si “accorgono” realmente di com’è l’altra persona con i pregi ed i suoi difetti in particolare. Questo perché dopo la fase dell’illusione ( ovvero dell’innamoramento ) quello che accade è che inevitabilmente ( e lo è per tutti ) l’altro viene visto con le proprie lenti di osservazione attraverso i propri bisogni e aspettative.
Cosa succede dopo la fase della disillusione?
La coppia può “ricontrattare” i motivi che li spingono a stare insieme, cercando la realizzazione e il raggiungimento dei bisogni e aspettative che sentono come necessarie sia nella loro idea di coppia (che si forma anche sulla base della propria storia di origine) , sia per il loro benessere individuale.
Ritengo necessaria questa breve introduzione al mondo della coppia al fine di comprendere come si può essere infelici nella coppia e non riuscire a separarsi. In questo articolo citerò anche alcuni aspetti emersi dalla mia tesi di ricerca su tale argomento. A tal proposito emerge come necessario sottolineare alcuni aspetti implicati nella capacità di separarsi in maniera adeguata:
- l’influenza dei miti familiari; emerge infatti come decisivo l’aspetto del mito familiare ( ad esempio sacrificio, rivendicazione, lavoro, famiglia unita ecc…) che incide sulla modalità con la quale si legge anche il conflitto includendo anche come una possibile separazione venga vissuta dalla famiglia;
- aspetti individuali legati all’idea che ogni individuo ha di sé: ad esempio persona in grado di meritare amore, persona che vale ecc…;
Questa è la base nella quale si appoggia la crisi di coppia, ma cosa spinge le persone a non separarsi e restare infelici? Dalla mia esperienza clinica e dalle ricerche in letteratura si possono individuare alcuni motivi possibili:
- L’impossibilità di vivere un fallimento; quando finisce una relazione ciò che accade è che essa può essere paragonata ad un lutto, con tutte le sue fasi di passaggio. Il fallimento è di coppia, relazionale e individuale nonché sociale perché la coppia appartiene comunque ad un gruppo che in qualche modo viene a conoscenza del fallimento. Inoltre la famiglia d’origine assume un ruolo decisivo perché verso di essa possono esserci aspetti di rivendicazione e risarcimento importanti che però non trovano risoluzione nella coppia;
- L’incapacità di reinvestire su di sé: nella coppia può capitare che uno dei due partner si metta da parte al fine di tutelare l’equilibrio della coppia ( seppur precario ) ed è proprio questa persona che spesso potrebbe sentirsi smarrita all’idea di percepirsi senza qualcuno o senza la coppia / famiglia;
- I figli; questo aspetto è di cruciale importane in quanto si tende a pensare che sia meglio per i figli avere genitori in lotta ma insieme piuttosto che genitori felici ma separati. Quello che accade è che non è un problema la separazione in sé quanto piuttosto come essa viene gestita, comunicata e vissuta sia dalla coppia che dal nucleo familiare. I conflitti dei genitori, che siano insieme o separati, possono avere serie ripercussioni emotive sui figli che li metteranno in difficoltà nella vita adulta. Ad esempio, accade spesso che adolescenti con dipendenze da sostanze, abbiano situazioni fortemente conflittuali a casa a prescindere dalla separazione o meno dei genitori;
Cosa poter dunque fare per riuscire a separarsi?
Ad esempio potrebbe essere utile chiedere aiuto e rivolgersi ad uno psicoterapeuta di coppia per riuscire a parlare e riflettere sulla possibile o impossibile separazione. Ecco che si procederà al fine di attivare uno spazio neutro per entrambi nel quale affrontare la paure, la rabbia e le altre possibili emozioni vissute nell’arco della vita di coppia anche al fine di aiutarli nella gestione della genitorialità.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta.

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

“Mio figlio fa uso di sostanze”: cosa fare?
“Non esistono persone difficili, esistono storie difficili”
Nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza è sempre più frequente trovare situazioni di giovani ragazzi che utilizzano sostanze ( cannabis, alcol, cocaina…) senza avere chiaro quali siano le situazioni a rischio che ne derivano. I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza evidenziano che il 55% degli adolescenti beve alcolici, il 31% fuma le canne (hashish e marijuana), il 4% fa uso di cocaina, il 3% di pastiglie e droghe sintetiche.
Questi dati ci dimostrano come le sostanze siano presenti nel vita dell’individuo fin dalla giovane età con differenti scopi o valenze: a volte per appartenenza al gruppo, altre per sfuggire da situazioni di forte conflittualità familiare, altre per “autocurarsi” da traumi precoci e dolori emotivi. Non vi è dunque una sola causa, ma differenti storie portano alla costruzione del senso e del ruolo che la sostanza assume a livello individuale e relazionale. Nella mia pratica clinica mi sono imbattuta in storie di adolescenti e giovani adulti i quali abusavano di sostanze e tale abuso aveva delle grosse ripercussioni rispetto alle relazioni familiari. Tutta la famiglia si concentra sul giovane adolescente e tutte le energie sono spese al fine di limitarne l’abuso e di controllare il comportamento.
I genitori, spesso provati dal senso di impotenza, accusano il gruppo dei pari come fonte di malessere per il figlio dimenticando il ruolo fondamentale che esso assume nello sviluppo del giovane. .Il gruppo dei pari si costituisce come spazio di confronto e rispecchiamento, possiede regole specifiche spesso in opposizione a quelle del mondo degli adulti. I bisogni ai quali il gruppo risponde non consistono più solo nel desiderio di trovare condizioni favorevoli per i giochi ma comprendono desideri di esperienze nuove da compiere, di scoperta e verifica delle proprie abilità, di elaborazione in condizioni di parità delle nuove conoscenze ed emozioni.
Quindi il gruppo potrebbe diventare un luogo di sperimentazione ma ciò che sembra alla base della possibilità o meno di abusare di sostanze in maniera costante e duratura dipende non da esso ma dalle capacità di tutela, cura e di differenziazione con cui siamo usciti dalla famiglia d’origine. Spesso i ragazzi utilizzano la sostanza e scelgono di abusarne al fine, in maniera paradossale, di unire genitori che sono spesso distanti e in contrasto sia a livello educativo sia a livello emotivo.
Ad esempio Andrea (nome inventato) da anni viveva il conflitto dei genitori e viveva con la valigia in mano per andare a giorni alterni dai genitori. Avendo visto i genitori troppo assorti dai loro conflitti ha sviluppato un senso di solitudine e di non visto che lo ha spinto a ricercare protezione nel mondo delle sostanze, spingendo sempre più in là il limite e obbligando i genitori a lasciare la loro battaglia personale per prendersi cura di lui. Questa è solo una delle tante storie che ascolto durante la mia pratica clinica e ritengo che la modalità corretta per aiutare il figlio/a ad uscirne sia:
- reale interesse a comprendere il come mai si sia entrati a contatto con la sostanza/e;
- creare un fronte compatto con cui fare scudo alle richieste spesso contraddittorie e ambivalente che possono prendere vita da parte dell’adolescente ( ad es: se i genitori non sono sempre d’accordo non è un problema ciò che lo diventa è come lo manifestano se attraverso squalifiche e messaggi contraddittori al figlio che generano solo confusione);
- ascolto non giudicante;
- richiesta di consulenza psicologica, in particolare dal punto di vista familiare in quanto spesso il problema è maggiormente sentito dai genitori piuttosto che da coloro che abusano;
- psicoterapia individuale al fine di rafforzare le risorse positive (EMDR) dell’adolescente e ridurre la necessità di assumere la sostanza, capendone anche il significato;
- attivare una rete di protezione con i servizi del territorio ( serd, neuropsichiatria infantile ..) che consenta all’adolescente di essere monitorato nell’assunzione di sostanze;
Questi sono alcuni dei passi da poter intraprendere per aiutare l’adolescente a sviluppare una conoscenza consapevole degli effetti della sostanza e comprendere la scelta di farne uso anche alla luce della storia individuale e familiare raccontata. Ogni atteggiamento, comportamento ha significato se inserito in una trama narrativa, in primis familiare, e successivamente individuale. Uscirne si può basta riuscire a fare squadra e essere interessati all’ascolto attivo e alla comprensione anziché al giudizio, perché, se le sostanze potessero parlare, esprimerebbero una richiesta di aiuto.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale e Terapeuta EMDR.

Autolesionismo: “Il corpo diventa un foglio su cui disegnare la propria sofferenza”. Una proposta terapeutica.
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.” (M.Gandi)
Nella mia pratica clinica ho ascoltato storie di adolescenti e giovani adulti per i quali il corpo diventa il luogo privilegiato nel quale esprimere il proprio malessere, attraverso disturbi alimentati, sostanze e “autolesionismo”. In questo articolo tratterrò quest’ultimo come pratica dalla quale si può sviluppare dipendenza e che necessita di uno specifico intervento di psicoterapia così da poterne guarire. Autolesionismo significa causare in modo intenzionale e ripetitivo un danno al proprio corpo, procurandosi ad esempio tagli (cutting), bruciature (burning), lividi, escoriazioni. L’obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva, come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza.
Tra i gesti più comuni con cui gli autolesionisti si producono lesioni, rientrano:
- I tagli e le bruciature della pelle;
- Le perforazioni tramite punteruoli o strumenti appuntiti simili;
- Colpi alla testa o al resto del corpo;
- L’assunzione di prodotto chimici tossici o l’ingestione di grandi quantità (overdose) di farmaci ( alcol e sostanze).
L’autolesionismo è un sintomo che spinge l’individuo a procurarsi delle ferite, più o meno profonde, che assumono significato in base alla storia di vita e alla difficoltà a dare voce alle emozioni, come Andrea ( nome inventato ) il quale arriva in terapia a seguito di una forte dipendenza da alcol anche se sottovalutata inizialmente, sia da lui che dal nucleo familiare, in quanto sostanza legale, e che nel giro di qualche anno l’ha reso prigioniero e ha dovuto attivare tutta la famiglia nella cura verso di lui anche se ormai giovane adulto. Per Andrea il “tagliarsi” era “diventato una sorta di rito quotidiano, intimo e personale, momento tanto desiderato nell’arco della giornata da diventare paradossalmente una forma di sollievo, dalle fatiche e dalle delusione della vita”.
Ovviamente questo comportamento porta con sé non pochi effetti come ad esempio nelle relazioni familiari: ad esempio, nel caso di Andrea, i tagli erano visibili e dunque hanno attivato la famiglia, in particolare i genitori, nel ” prendersi cura di lui”, portandolo in terapia familiare dal momento che , per tali difficoltà, oltre alla terapia individuale è indicata una presa in carico familiare. Questo perché la famiglia diventa una risorsa importante per il cambiamento dell’adolescente e del giovane adulto. I tagli sono diventati il modo con cui Andrea evitava la separazione genitoriale e impediva ai genitori di pensare ad uno spazio di vita fuori dalla famiglia, in quanto la situazione era da diversi anni conflittuale e gli procurava molta rabbia, spesso agita verso cose e persone: ecco che con il taglio tutto si placa e tutto si riduce a se stesso.
Questa è solo una delle tante storie che si celano dietro all’autolesionismo, ma quali sono le possibili cause?
Dalla mia esperienza clinica posso riscontrare come aspetto decisamente dominante nelle storie ascoltate una situazione di stress emotiva e di forte rabbia, verso sé e verso anche gli altri, spesso legata ad una situazione familiare difficile da gestire e da verbalizzare la quale può sfociare in senso di colpa e sensazione di fallimento, così come la presenza di aspetti traumatici fisici ed emotivi ( scuola, bullismo…), abuso di alcol o sostanze psicotrope.
L’adolescente o il giovane adulto potrebbe cercare una forma di sollievo, gestione della rabbia e del dolore, effetto calmante e che attribuisce a se stesso, in maniera paradossale: il sollievo ovviamente è transitorio e spesso illusorio, così come per una persona che assume sostanze lo diventa la droga.
Le persone sofferenti di autolesionismo temono che le altre persone possono scoprire i loro problemi.
Questo è il motivo per cui tendono a isolarsi, ad assumere un atteggiamento particolarmente riservato, a coprire le ferite sul proprio corpo in maniera talvolta sospetta e a non chiedere aiuto a chi di dovere, faticando anche ad accedere ad una dimensione di psicoterapia se non spinti dai genitori. Ecco che la preoccupazione genitoriale e familiare diventa la spinta per la richiesta di aiuto.
Quale possibile intervento?
Essendomi formata come Psicoterapeuta sistemico – familiare sono spinta a considerare l’autolesionismo come un sintomo che comunica qualcosa in primis al sistema familiare di appartenenza e spesso l’intervento familiare consente di intervenire in maniera efficace e in poco tempo per ridurre e, potenzialmente eliminare, tale comportamento proprio perché in sede di psicoterapia ad esso viene attribuito un significato che non è di malattia ma di ” comunicazione”. Al taglio viene dato la voce, le parole e spesso queste sono anche quelle dei familiari. Al lavoro familiare è possibile ritagliare momenti di incontri individuale con l’adolescente o il giovane adulto al fine di accedere ad un mondo emozionale e intimo, mentre i colloqui genitoriale possono essere visti in ottica preventiva di ricadute, andando a lavorare sugli aspetti di protezione educativa ed affettiva genitoriale.
Quindi le aree di intervento sono:
“Familiare – Individuale – Coppia genitoriale”
Ovviamente tale modalità è quella maggiormente utilizzata ma poi si adatta alle singole esigenze e alle differenti storie. L’importante è che non si entri in una logica di colpa o di malattia che non è positiva per la persona affetta da tale comportamento ma neanche per chi lo circonda.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Familiare.
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L’importanza della psicoterapia familiare con gli adolescenti.
“E’ solo quando i bambini arrivano verso la fine dei loro vent’anni che le famiglie realmente capiscono ciò che sono” George Michael
L’adolescenza porta con sé innumerevoli cambiamenti, alcuni facili altri difficili ma tutti indispensabili. Quando si pensa all’adolescente oggi spesso lo si immagina connesso alla rete, al mondo virtuale e poco connesso alle relazioni presenti nei contesti di appartenenza. In questa fase di trasformazione importante si possono manifestare nell’adolescente difficoltà che trovano espressione attraverso una serie di “sintomi”, per la difficoltà a comunicare, come: ansia, depressione, ritiro sociale, autolesionismo, dipendenze, devianza e disturbi alimentari che, se non attentamente affrontate possono diventare invalidanti non solo per il giovane ma anche per tutto il nucleo familiare.
Prima di addentrarci risulta importante citare alcuni aspetti chiave per la comprensione dell’adolescenza ( 14- 18 anni):
- L’adolescenza non è una malattia ma una fase evolutiva:molti sono i genitori preoccupati per l’avvicinarsi di tale fase ma essa è indispensabile per l’evoluzione dei figli e la transizione verso l’età adulta;
- L’adolescente ha bisogno di dipendere quanto di svincolarsi: esso quindi è in una fase di costante messa alla prova dei confini familiari, del limite e della scoperta del mondo esterno all’ambiente familiare. Lo svincolo non avviene solo dal punto di vista psicologico ma passa attraverso lo svincolo fisico, emotivo, affettivo ed economico e spesso non coincidono tra di loro;
- I segnali verbali e non verbali dell’adolescente sono contraddittori: ecco perché è importante la chiarezza e l’assenza di ambivalenza nei genitori, al fine di fornire messaggi il più possibili coerenti;
- Il gruppo di coetanei diventa quindi un luogo nel quale sperimentarsi e sperimentare la propria identità, ed esso è indispensabile;
- L’adolescente porta dentro di sé la storia familiare: Andolfi ( 2003) sottolinea che l’adolescente è il maggiore esperto della vita familiare in quanto profondo osservatore dei propri genitori. E’ sempre maggiore la convinzione da parte dei genitori che gli eventi familiari non abbiano in alcun modo toccato i figli ma ciò che essi respirano è il risultato che tali eventi hanno nelle relazioni familiari: conflitti, perdite, cambiamenti anche se non comunicati vengono vissuti a livello relazione ed emotivo dal giovane adolescente che ascolta e osserva anche se non partecipa direttamente;
- L’adolescente è il braccio armato dei conflitti familiari: accade sempre più spesso che i figli vengano strumentalizzati all’interno del conflitto tra i genitori e che finiscano per farsi carico in maniera più o meno consapevole di alcune mancanze o di alcuni ruoli che non gli competono, schierandosi a favore o contro un genitore.
Proprio a partire da tali aspetti si evince l’importanza della famiglia come modalità di accesso alla terapia dal momento che spesso, l’adolescente, non sviluppa la capacità di chiedere aiuto chiaramente ma attraverso sintomi che spingono la famiglia a preoccuparsi per lui. Quello che accade però, almeno nella mia esperienza clinica con gli adolescenti, è che è improduttivo e poco efficace lavorare in psicoterapia solo con il singolo ragazzo, ma acquisisce valore indispensabile la partecipazione della famiglia ed in particolare della coppia genitoriale. Infatti alcune difficoltà come l’uso eccessivo dei sociale, di internet, dei videogiochi, l’uso e abuso di sostanze e il comportamento deviante mette a dura prova la coppia anche solamente nella gestione educativa del figlio, amplificando le difficoltà anche manifeste nella coppia e che possono risuonare nella vita familiare come incongruenze e ambivalenze che non aiutano l’adolescente ad orientarsi nella vita.
Inoltre si pensi a quelle situazioni di ritiro sociale, nelle quali la scuola viene messa a rischio dalla difficoltà del ragazzo/a ad uscire dalla propria stanza: in Italia tale fenomeno stà attualmente assumendo un importanza tale da non poter non considerare come prima modalità di accesso all’adolescente la coppia genitoriale, dal momento che sarà la sola a chiedere aiuto in tali situazioni. Ecco che la difficoltà di un solo membro della familiare porta con sé spesso una storia familiare e diventa occasione per l’intero nucleo familiare di migliorare, attraverso la psicoterapia familiare, in maniera efficace e breve.
In cosa consiste la terapia familiare?
Essa avviene tendenzialmente a cadenza mensile, con l’interno nucleo familiare o con alcuni sottogruppi e consente, attraverso specifiche tecniche di conduzione del colloquio e di gestione della terapia che andranno a sentire tutte le voci coinvolte nelle situazioni riportati, non giudicando ma facilitando la connessione e l’espressione dei diversi punti di vista: diciamo che la differenza genera informazione e spesso fornisce spunti di evoluzione importanti per il nucleo familiare. I sintomi diventano modalità di comunicazione in psicoterapia sistemica familiare ed essi vanno ascoltati.
Per quali problemi è indicata?
- Dipendenze da sostanze ( alcol e droghe);
- Dipendenze da internet, videogiochi, social;
- Disturbi alimentari;
- Ritiro sociale;
- Autolesionismo;
- Devianza e Aggressività;
- Ansia e fobie.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare.

Famiglie alle prese con le sfide dell’adolescenza.
Adolescenza: la più delicata delle transizioni.
(Victor Hugo)
La dipendenza sana è l’ingrediente necessario per poter sperimentare il senso di appartenenza, perché permette di sentirsi amato e compreso e permette all’adolescente di portare avanti con successo il proprio compito, complesso e importante: costruire la propria identità e separarsi in maniera sana dalla famiglia d’origine al fine di sperimentare la propria autonomia. Nel corso dello sviluppo fin da bambini si sperimentano alcune dipendenze sane, pensiamo ad esempio all’attaccamento alle gifure di riferimento, a forme di accudimento fino a giungere al confronto con il gruppo dei pari che è indispensabile come luogo di confronto e di crescita individuale e sociale per il giovane adolescente.
Spesso capita di trovare di fronte a se non più il figlio /a conosciuto ma alcuni genitori raccontano l’impressione di avere, di fronte a sè, una persona diversa anche solo rispetto ad alcuni mesi fà perchè nulla è più chiaro, semplice e scontato. Per addentrarci all’adolescenza, non dobbiamo tralasciare l’aspetto biologico e ormonale che in questi anni incide sia nel tono dell’umore, che nel modo di percepire se stessi e il proprio corpo.
Inoltre le sfide che l’adolescente deve portare avanti riguardano la costruzione di una sua identità e lo svincolo dalla famiglia d’origine.
- L’identità, intesa come l’insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e inconfondibile, avviene per tentativi di errori da parte dell’adolescente e il gruppo dei pari è fondamentale per questa sfida. Esso consiste nel secondo ambiente sociale per eccellenza nel quale sperimentare ruoli, relazioni, risorse e perchè no anche conflitti;
- Lo svincolo è un processo che avviene lentamente e progressivamente e non è facile delinaere un momento ideale ma, rispetto al ciclo di vita, esso avviene con l’espolazione sempre maggiore del mondo esterno e delle esperienze che il giovane inconterà.
Ovviamente questo implica un profondo cambiamento a livello familiare, richiede una sorta di sana flessibilità che consente al sistema familiare di adattarsi ai cambiamenti necessari. Tale flessibilità sembra essere la chiave del successo nel raggiungimento degli obiettivi dell’adolescente in quanto, avere un sistema di affetti che accompagna a tali sfide, comprendendole e non giudicandole, accogliendole come parti necessarie del processo di autonomia consentirà all’adolescente di sentire il permesso di spingersi alla scoperta del mondo e di altro.
Quindi la coppia genitoriale si troverà in quella fase di ciclo di vita detta del “nido vuoto” ma che implica anche nella coppia una profonda sfida: quella di riscoprirsi non solo genitori ma anche coppia.
Genitori alle prese con figli adolescenti, quali sono le strade possibili?
Per prima cosa non dimenticate il vostro ruolo e ricordate a voi stessi che tipo di adolescenti siete stati e che esigenze prendevano vita nel vostro cuore e nei vostri pensieri. Inoltre non dimenticate che i vostri figli sono alle prese con capire chi sono e che posto occuperanno nella vita, quindi non presentategli un mondo troppo facile o senza fallimenti ma aiutateli a rendere il fallimento un’occasione per migliorare e migliorarsi.
Aspettate e siate un porto sicuro per i vostri figli, un porto nel quale poter tornare dopo la tempesta e trovare riparo, ma senza giudizio e con desiderio di conoscenza e di comunicazione. A volte è difficile perchè l’impressione è di sentirsi esclusi, di aver di fronte a sè un muro ma esso non è definitivo, anzi… Per ultimo ma non meno importante ricordate: “all’adolescente possiamo dare, inconsapevolmente, il permesso di essere più o meno felice“.
Infine la psicoterapia individuale e familiare è uno strumento efficace per sviluppare uno spazio di confronto e di crescita, che stimoli la comunicazione e consenta di dare significato a tutti i comportamenti spesso difficili da comprendere sia da parte dell’adolescente sia dalla famiglia.
Dott.ssa Lisa Sartori_psicologa e psicoterapeuta sistemico familiare.