
Il potere positivo del dire “NO” nelle relazioni
Per molte persone non è facile dire “NO” e può portare loro anche a vivere situazioni scomode e poco utili in diversi ambiti della vita: famiglia, relazioni, coppia, ambito sociale e lavorativo. Come dico spesso in psicoterapia: “E’ fondamentale imparare a mettere un punto dove prima mettevi una virgola, perché ti consente di porre fine ad alcune sofferenze e ti permette di sviluppare autostima”.
Come mai è così difficile dire NO?
Per molte persone la parola “NO” viene vista come una sorta di “imposizione” o anche come un’affermazione negativa, il tutto spesso in contrasto con la tendenza a prediligere la “disponibilità” e la “gentilezza”che si crede siano legati al dire “SI”.
Dire “NO”, in realtà, è una capacità relazionale indispensabile per creare relazioni efficaci.
La difficoltà nel dire “NO” è però principalmente legata ad alcuni aspetti:
- La storia Familiare: se hai avuto esperienze familiari che ti hanno impedito di affermarti, oppure che ti hanno insegnato che è importante “essere accondiscendenti”, “buoni” e “sacrificarsi” è molto probabile che tu possa sentirti in difficoltà nel dire “NO”, proprio perché da un lato non sei abituato e dall’altro potrebbe farti paura.
- Il senso di colpa: è l’ingrediente indispensabile per farti fare o vivere situazioni che se potessi eviteresti. Questo lo si apprende sempre da esperienze passate, anche ripetute negli anni, laddove una decisione presa per te anche piccola, veniva bloccata dal senso di colpa.
- Dire “No” vuol dire “definirsi “ nella relazione: ovvero mettere dei confini importanti per tutelarci nella relazione con l’altro, a prescindere dalla sua natura.
- E’ collegato all’autostima: imparare a dire “No” la fa aumentare.
Il valore del “NO” nelle relazioni di coppia
Non dire “NO” può essere alla base di una difficoltà a vivere serenamente una relazione di coppia. Questa difficoltò può partire spesso da piccole cose come, ad esempio, il sentirsi in difficoltà a dire “NO” anche ad una semplice cosa che non vorresti fare per paura di dare un’immagine di te non adatta o per paura dell’abbandono.
Quello che accade però, così facendo, è che impedisci alla persona di conoscerti per quello che sei e per i tuoi confini: dicendo sempre “SI” darai all’altro il potere di abbattere qualsiasi confine nei tuoi confronti e ti renderai “disponibile”. Ovviamente per te o per l’altro questo sarà positivo e così lo sarà sicuramente, ma non può essere così a lungo termine! Soprattutto perché ciò può portare a non riuscire a “chiudere” una relazione quando non sarà più sana o quanto ti far vivere dimensioni di coppia che non hai scelto e che, a lungo andare, potresti sentire come pesanti e finire per subirle. Ad esempio, è molto importante imparare a dire “NO” per chi soffre di dipendenza affettiva.
Gli effetti positivi nel dire “NO”, validi nelle relazioni di coppia, li puoi estendere anche alle relazioni lavorative o alle relazioni amicali: non darti per scontato in qualsiasi ambito della tua vita perché se lo farai tu lo potranno fare gli altri.
Come imparare a dire “NO”?
Ecco alcuni semplici passi:
1. Ricorda che non ci vuole un buon motivo per dire di NO;
2. Accetta i tuoi limiti personali e relazionali;
3. Supera il senso di colpa;
4. Ricorda che il NO ti aiuta ad evitare il risentimento;
5. Ricorda che dire “NO” aumenta la tua autostima. Fai l’esercizio dello specchio: mettiti tutti i giorni di fronte allo specchio per almeno qualche minuto e , osservandoti, prova a dirti parole positive e dirti quali sono le tue risorse e abilità.
Ecco che, alla luce di quanto detto, nelle relazioni è importante dire “SI” così come dire “NO” laddove necessario: è il giusto mix tra queste due parole che ti aiuterà a vivere una relazione sana.
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Difficoltà psicologiche: l’influenza della storia familiare

Parlare di Famiglia vuol dire parlare inevitabilmente di storia familiare e di relazioni che ne scandiscono la vita. In questo articolo voglio aiutarti a comprendere il reale potere della storia familiare. Lo faremo grazie ad un libro di Valeria Ugazio, “Storie permesse e storie proibite”.
Quando una persona inizia un percorso di psicoterapia porta sicuramente con se uno stato di malessere. Contemporaneamente, però, verrà in psicoterapia anche con un desiderio. Per fare in modo che il desiderio si trasformi in realtà, è importante che io ti aiuti a trovare le STRATEGIE più giuste per gestire al meglio le difficoltà. Nel contempo devo però anche condurti a comprendere il SENSO del tuo malessere, valutando anche il peso che hanno le relazioni che vivi. Ha infatti poco senso parlare solo di “difficoltà individuali”, soprattutto nella mia ottica di psicoterapia sistemica – relazionale. Questa scuola di psicoterapia basa infatti le sue fondamenta sulle interazioni umane.
Di fronte a me, in seduta di psicoterapia, ho sempre la persona che “soffre” ma non posso non valutare anche chi, indirettamente, viene comunque portato in psicoterapia.
In questo modo, incontro dopo incontro, costruiamo insieme la tua storia familiare e nella sua costruzione troveremo aggettivi, impressioni, narrazioni che mi aiutano ad accedere ad un significato maggiore. Anche dalle parole che tu userai in psicoterapia, che si ripeteranno nella narrazione e alle quali ovviamente tu non farai particolarmente caso, si possono collegare alcune specifiche difficoltà, detti sintomi, come spiega Valeria Ugazio nel suo Libro.
Il COME costruiamo una conversazione, le parole che utilizziamo, vanno a definire la nostra realtà sociale e soggettiva. Il libro parla, in particolare, di polarità semantiche: “le polarità semantiche familiari esprimono un ordine morale che prende posizione rispetto a valori. Gli ordini morali attribuiscono una polarità positiva o negativa ai comportamenti del contesto di riferimento”. Valeria Ugazio ha cioè notato che, osservando molte famiglie diverse, coloro che vivevano difficoltà, ad esempio di tipo depressivo, avevano sempre diversi elementi in comune.
Questo implica che, per determinati sintomi psicologici, esistono sempre delle “polarità” che hanno origine in storie di vita corrispondenti.
Disturbi psicologici: quali storie le accomunano?
LA DEPRESSIONE è una storia di appartenenze negate. Non è inconsueto trovare questioni economiche, eredità negate o conflittuali, lutti o traumi che hanno portato la famiglia a confrontarsi con il tema dell’appartenenza, e che portano l’individuo “depresso” a fare i conti con l’essere fuori posto, non riconosciuto a livello familiare.
Il DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO è una storia di lotta tra bene e male. In queste famiglie vi sono spesso avvenimenti, giudizi, critiche o anche solo ruoli familiari che portano ad una contrapposizione tra bene e male . Qui abbiamo una conversazione basata sull’essere buoni/cattivi.
L’ANSIA e la FOBIA sono una storia di libertà. Essere liberi in queste famiglie non è facile perché spesso ciò è vissuto come pericoloso o come negativo, associato spesso anche a difficoltà familiare nella riorganizzazione. Qui abbiamo una conversazione basata su libertà-dipendenza
IL DISTURBO ALIMENTARE è una storia di potere. Nella conversazione delle famiglie con tali problematiche emerge spesso la semantica del potere e della forza, diventa una sorta di lotta di potere. D’altronde spesso è colui che ha la difficoltà a orientare anche le scelte alimentari familiari e a intensificare paradossalmente il bisogno di cura. Qui abbiamo una conversazione basata sul forte e debole
Storie familiari: come usarle per guarire?
Accedere alla conversazione familiare, alla sua storia è un atto liberatorio per la persona che soffre. Quando la persona che inizia una psicoterapia comprende la sua storia familiare, riuscirà per la prima volta a collegare i suoi sintomi ad un “senso superiore” e viversi come parte di una “storia familiare”. Non ci sarà nessun colpevole in tutto questo. Si riusciranno però a fornire dei significati e questo aiuterà in modo decisivo a dare una voce ed una ragione al sintomo, privandolo del suo potere relazionale.
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Come liberarsi delle relazioni tossiche
Che cos’è una relazione tossica e come la riconosco? Rispondere a queste domande non è sempre semplice perché parlare di relazioni vuol dire parlare anche di una storia relazionale. Essere in relazione è necessario ed inevitabile ma spesso il malessere che ne può derivare è significativo. Ecco perché in questo articolo ti spiegherò come riconoscere una relazione tossica e come uscirne.
Che cos’è una relazione tossica?
La relazione diventa tossica quando ti ferisce, quando senti che non trovi benessere in essa e quando le dinamiche che prendono vita sono tossiche. Tipicamente si parla di relazioni amorose ma può avvenire anche nelle relazioni amicali e familiari, seppur con intensità e dinamiche diverse. Apparentemente nella relazione d’amore tossica, le cose sembrano funzionare bene, si parte con buone premesse (spesso magiche) e si arriva a vivere una relazione del tutto inaspettata.
Ma come mai si finisce in relazioni sbagliate e tossiche?
La scelta del partner non è una scelta casuale, è una scelta che avviene attraverso bisogni e aspettative che hanno radici nel passato, e nella propria storia di vita. Più sei consapevole della tua storia relazionale e quindi di come sono state e come hai vissuto le tue relazioni, maggiormente libero sarai nel scegliere chi avere al tuo fianco e quindi di fare una scelta il più adatta possibile a te e ai tuoi desideri.
Ma quali sono le relazioni tossiche?
- Dipendenza affettiva: una relazione patologica basata sulla dipendenza dall’altro e molto simile , per come si manifesta, alla dipendenza da sostanze. Appartiene alle nuove dipendenze e si manifesta anche a livello amicale o familiare. Sicuramente quella amorosa è la dipendenza più diffusa proprio perché tipicamente scambiata per amore ma non è tale. Per leggere qualcosa in più sulla dipendenza affettiva, SCARICA ONLINE IN MANIERA GRATUITA IL MIO EBOOK: http://bit.ly/32h5ZH4
- Lotta di potere: è una tipica dinamica di potere dettata dalla tendenza ad assumere ruoli di potere e dominanti nella relazione, a tal punto da non riuscire a scendere a compromessi. E’ una relazione distruttiva perché spesso porta a conflitti irrisolvibili, spesso alimentati reciprocamente e diventa quasi un obiettivo primario quello di dominare l’altro. Non si parla di amore infatti ma di lotta.
- Relazione sado-masochista: è una relazione di tipo autodistruttivo. Si arriva alla relazione autodistruttiva spesso per esperienza di violenza psicologica o fisica vissuta in età infantile: spesso sono le donne a scegliere uomini sadici.
- Innamorarsi delle persone sbagliate che non ricambiano l’affetto o non non sono disponibili, ma tu ti convinci che non sia così. Ovviamente l’innamoramento necessita di tempo per essere superato e colui/colei che prova tale sentimento vivrà nella speranza fino a quando non riuscirà ad accettare la realtà.
Come liberarsi dalle relazioni tossiche?
Per superare tali aspetti di relazioni difficili e patologiche è importante non andare alla ricerca del colpevole ma entrare in una logica di responsabilità personale. L’autostima è spesso la chiave di lettura, perché se non sei tu a prenderti cura di te le tue scelte rispecchieranno questo. Ecco che uscirne si può attraverso una psicoterapia sistemica-relazionale perché lavora sulla:
- storia familiare;
- idee di sé;
- relazioni;
Ecco che uscirne è possibile, è necessario ripartire da sé.
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Gli effetti dell’ansia sulla relazione di coppia: come superarli
L’ansia è un sintomo dal significato relazionale. Cioè il senso di malessere che provi può essere spiegato dall’analisi di alcuni tue dinamiche relazionali o di alcuni tuoi legami.
L’ansia è il sintomo per eccellenza, insieme alla dipendenza, ed ha come effetto la ricerca di una vicinanza “supportiva” ovvero “di sostegno” da parte di un’altra persona. Nel caso di un bambino adolescente si può instaurare un particolare legame di sostegno con la madre. Nel caso di una coppia si può instaurare questo particolare tipo di legame con il partner.
Che cos’è l’ansia?
Per prima cosa è importante definire l’ansia. Possiamo intendere l’ansia come una sensazione che si attiva a livello fisiologico nel momento in cui si avverte una sorta di pericolo, reale o immaginario, che ci porta a provare emozioni di paura.
In psicoterapia per spiegare bene cos’è l’ansia, la descrivo come un amica e non come un nemica. Questo perché l’ansia ti può fornire importanti informazioni! Ti dice se tieni ad un progetto, se hai paura di prendere l’aereo o se la relazione di coppia è poco benefica o c’è qualcosa che ti spaventa.
Ecco che al pensiero di paura, il tuo corpo risponde con un segnale fisiologico (tachicardia, sudorazione, tremori, nausea…) così da darti un segnale che è frutto in buona parte dei tuoi pensieri.
Spiegata in questo modo ecco che possiamo capire facilmente come l’ansia abbia una funzione adattiva per l’uomo.
Quali sono le cause dell’ansia?
Come appena detto, le cause sono dovute ai pensieri che formuli e al modo di affrontare le situazioni.
L’ansia è utile in una certa quantità, è vincolante quando diventa eccessiva.
Nella coppia l’ansia può essere dovuta ad un periodo di particolare preoccupazione o stress da parte di uno dei due partner ma assume un significato a livello relazione, perché grazie all’ansia accade qualcosa dentro le dinamiche di coppia.
Ad esempio, se ti mostri ansioso puoi avere imparato che gli altri si prenderanno cura di te, oppure nel momento in cui vi è una situazione di elevata conflittualità l’ansia può spostare l’attenzione dal conflitto al malessere, evitando di affrontare qualcosa di importante.
Colui che manifesta l’ansia non è colui che ha problemi, ma in ottica sistemica diventa colui che si prende carico di un messaggio da dare alla coppia, che consenta di esprimere ciò che a parole non arriva.
Quali effetti sulla coppia può avere l’ansia?
Esistono le coppie ansiose perché esistono persone che come sintomo manifestano l’ansia e questa va ad influenzare poi l’andamento relazionale e familiare. L’ansia si trasmette e si impara a conviverci soprattutto se è associata a vantaggi positivi come il “tenere qualcuno legato a sé”, il “rendersi dipendenti dall’altro” o “l’avere una stampella sulla quale appoggiarsi”.
Nel partner “non ansioso”, però, si può instaurare un senso di responsabilità e di oppressione a tal punto da attivare una sorta di rifiuto piuttosto che di vicinanza. L’ansia nella coppia potrebbe essere anche una manifestazione che qualche meccanismo di coppia non funziona, potrebbe essere una richiesta implicita di aiuto.
Come superare l’ansia?
L’ansia si sconfigge, basta conoscerla e guardarla in faccia. Ovviamente nella coppia, laddove diventasse invalidante e vissuta come troppo forte, è importante superarla come coppia, dando voce ad un problema che non è solo della persona che ne soffre ma, nella maggior parte dei casi, ha un significato relazionale. Ecco che se l’ansia viene accolta può insegnare molto su chi si è, su cosa ci fa bene e su che tipo di relazioni sono sane per noi.
Ecco qui alcuni suggerimenti che mi sento di trasmetterti per gestire al meglio l’ansia:
1. Vedi l’ansia come un sistema per comunicarti qualcosa e che anche per chi è con te ha un significato e un valore;
2. Comunica ed esterna la tua ansia, non tenere tutto dentro;
3. Chiedi aiuto e concediti il tempo necessario per riprederti: più impari a gestire l’ansia più impari ad affrontarla.
Se desideri affrontare tale difficoltà e renderla una tua risorsa anziché un tuo limite, per te o per la coppia, contattami via mail a psylisasartori@gmail.com o via cellulare al 349.7867274
Come superare la fine di una relazione per poter ricominciare.

Vivere in una relazione di coppia non è sempre facile, non è indolore ed è spesso in costante evoluzione.
Ecco perché affrontare la fine di una relazione è un passo indispensabile per la salute psicofisica: anche se siamo portati a sperare nelle relazioni durature sempre più spesso ci possiamo scontrare con realtà di separazioni, divorzi, o convivenze interrotte. Come dico sempre in psicoterapia, pensare che una relazione non sia per sempre è utile soprattutto nel momento in cui ci porta ad essere individui in costante evoluzione e quindi a percepire l’impegno che dobbiamo e possiamo mettere dentro alla relazione.
Infatti quando ascolto storie di legami disperanti (legami nei quali la separazione è impossibile nonostante il malessere presente) sento l’impossibilità di queste persone a pensarsi senza l’altro. Oltre a essere frutto di storie familiari pregresse e di funzionamenti anche personali, quello che emerge è che sicuramente vi sono relazioni simbiotiche nelle quali è spesso difficile ritrovare se stessi anche solo l’idea di potersi separare dall’altro.
Quindi ritengo sempre molto utile non dare nulla per scontato, curare il rapporto di coppia, curare la relazione e aver cura di sé all’interno della coppia: ritengo che questi sono gli ingredienti per un legame duraturo.
Ma non è sempre facile o reale fare in modo che un legame continui nonostante l’incapacità di far funzionare diversamente le cose, incapacità che a volte può essere di entrambi, solo di una persona oppure anche frutto dell’amore o dell’innamoramento che sparisce.
Come superare quindi una separazione quando non siamo noi a sceglierla?
Superare la fine di una relazione soprattutto quando non è una scelta condivisa è spesso molto complicato per entrambi le parti. Ad esempio colui che può aver scelto di chiudere la relazione si è assunto la responsabilità di porre fine ad un legame magari precedentemente anche molto importante, mentre colui che subisce la scelta spesso sente di non averlo chiesto e di non avere basi sufficienti per razionalizzare la scelta. In particolare in quest’ultima occasione quello che accade è che non si riesce nella fase iniziale della separazione a vedere i motivi oggettivi che hanno spinto l’altra persona interrompere la relazione e non si riesce a trovare un senso.
Per superare la fine di una relazione per prima cosa è importante darsi del tempo per metabolizzare l’accaduto: è una fine a tutti gli effetti e soprattutto è una fine che può assumere l’aspetto di un fallimento soprattutto nel momento in cui vi era in atto un progetto di coppia oppure anche di famiglia. In psicoterapia infatti dico spesso che la fine di una relazione è come un lutto e come tale necessità di tempo per essere elaborato e metabolizzato.
Contemporaneamente al tempo che vi concedete per superare questo momento difficile, è importante ripartire da sé in quanto siamo noi stessi il perno su cui poi ruota tutto, nel bene e nel male. Quindi riprendere vecchi contatti, piuttosto che impiegare il tempo per fare delle attività che avremmo sempre voluto fare, dedicarsi allo sport e attività ricreative come ad esempio l’arte o la fotografia sono attività che curano l’anima e che facilitano lo sviluppo di un pensiero creativo utile per superare momenti di difficoltà.
Per fare questi pochi passi ma spesso molto complessi ciò che può facilitare la persona a metterle in atto è sicuramente una certa dose di autostima e soprattutto il sostegno a livello relazionale. Sicuramente però questi sono aspetti che possono non esserci sempre ma possono essere sviluppati perché sono il frutto di esperienze anche pregresse nella vita di ogni persona, e se vi era anche una relazione duratura da diversi anni ovviamente necessario pensare di dover riorganizzare non solo se stessi ma anche il modo in cui si viveva è il mondo che ci circonda.
Quali sono brevemente gli ingredienti utili a superare in maniera efficace l’interruzione di una relazione?
1. Una sana dose di autostima: essa si può sviluppare e non è scontato che ci sia nella vita delle persone perché collegate alle esperienze che abbiamo passato.
2. Risorse personali: più siamo consapevoli di quali sono le risorse che ci caratterizzano, come la determinazione piuttosto che la forza o la costanza è più riusciremo ad utilizzarle nel momento della difficoltà
3. Una rete relazionale: superare una relazione ed essere soli e sicuramente diverso da superarla e sapere di avere delle relazioni su cui poter affidarsi e nelle quali trovare un posto sicuro.
Qual possono essere i fattori bloccanti l’accettazione?
Sicuramente ci sono due aspetti molto importanti che possono andare a complicare l’elaborazione della fine: il fatto di essere innamorati o di amare la persona, e soprattutto non essere consapevoli di quale fossero gli aspetti critici della relazione.
Oltre a questi c’è anche un tema molto curioso che il tema del controllo ovvero il fatto che subire la fine di una relazione e implica, per coloro che spesso vivono dentro una logica del controllo averlo perso in questa relazione in questo legame. non accettarlo sarebbe paradossalmente un modo per mantenere il controllo in questa relazione seppur in maniera illusoria.
È importante sottolineare che la separazione non è uguale per tutti ma dipende, nel modo in cui la viviamo e viene vissuta, dalla fase del ciclo di vita nella quale è la persona si trova. Conoscerla importante perché come terapeuta mi aiuta a dare una visione di insieme e spesso sistemica di quanto accade utile alla costruzione del percorso terapeutico
Se senti di avere delle difficoltà a superare la fine di una relazione, o senti di non avere sufficiente risorse ho autostima per pensare di potercela fare contattami in modo da poterci lavorare insieme oppure per avere anche delle informazioni.
Crisi di coppia e genitorialità: quali sfide per i genitori con figli adolescenti

La coppia, nel corso della sua formazione e nel ciclo di vita, è come una corsa ad ostacoli: il percorso è chiaro ma le prove da superare ci sono e a volte non sono così semplici. C’è bisogno di allenamento per superarle e più la coppia si da per scontata più sarà faticoso superarle.
Ogni coppia ha una sfida da portare avanti in base al ciclo di vita e alla presenza o meno di figli: coloro che hanno figli adolescenti entrano con loro nella fase detta del “nido vuoto”. E’ la fase nella quale molti genitori entrano in crisi perché sentono che il proprio ruolo, la propria presenza non è più cos’ ricercata dal figlio che via via tende a muoversi sempre più verso l’esterno. E’ una fase critica perché, come dico spesso in terapia, fa emergere il funzionamento della coppia genitoriale e coniugale. Ad esempio se pensiamo ad una coppia in crisi, dove uno dei due genitori si concentra molto sulla genitorialità in modo da sfuggire anche alla coppia e all’altro, durante l’adolescenza questo funzionamento sarà messo in crisi dai continui scontri con i figli e dalle richieste sempre più difficili da gestire in solitaria. Questo è solo uno dei possibili esempi di coppie che ho seguito e con le quali la crisi si manifesta anche attraverso la crescita dei figli.
Quali sono i compiti per i genitori con figli adolescenti?
- essere un punto di partenza per scoprire il mondo, la propria identità ed esplorare
- essere un punto di ritorno sicuro e presente anche quando il figlio sbaglia
- essere genitori che riescono ad accordarsi sulla gestione del figlio, in modo da non mandare messaggi contraddittori e che lasciano spazio alla coppia in conflitto o in crisi
- recuperare alcuni spazi di vita di coppia che , fino a poco prima, erano difficilmente realizzabili ( tempo libero, cura della coppia, condivisione, intimità…)
- investire su di sé e sulla coppia coniugale
Quali difficoltà possono presentarsi?
Più la coppia è riuscita a mantenere uno spazio di coppia sano, a prendersi cura delle diverse aree in modo da non fare solo i genitori, maggiormente saranno in grado di fare fronte compatto a tale fase.
Questo è un momento nel quale è molto difficile per le coppie in conflitto, insoddisfatte o in crisi, nascondere tale situazione che troverà lo sfogo spesso nella gestione dei figli, anche per piccole decisioni o gestioni. Potrebbe verificarsi un aumento dei conflitti con figli e con il coniuge/compagno, alleanze tra genitori e figli contro un altro genitore, conflitti tra generazioni diverse (nonni, genitori e figli) e tra fratelli. Ci tengo a precisare che questi conflitti non sono assenti ma fanno parte della fase di vita della famiglia, ovvio che l’intensità con la quale si manifestano è decisamente maggiore più la situazione è complessa tra i genitori.
Come rendere tutto più facile?
Un percorso di coppia o un sostengo alla genitorialità aiuta non solo i genitori, ma anche i figli a vivere una situazione decisamente migliore e diventa un fattore di protezione per tutto la famiglia. Quindi la fase adolescenziale dei figli può essere anche occasione di crescita per genitori che si sono allontanati, trascurati e poco confrontati.
Se desideri avere maggiori informazioni o prenotare un colloquio insieme per valutare un possibile percorso di coppia e genitoriale, contattami al 349.786.7274 o via mail a psylisasartori@gmail.com.
Dipendenza affettiva e amore nella coppia: quali differenze?
La dipendenza affettiva è una forma di relazione definita “tossica” proprio perché ha aspetti in comune con la dipendenza più classica (da sostanze) come l’astinenza, la tolleranza, la ricerca spasmodica della persona oggetto della dipendenza e il cambiamento del comportamento.
E’ importante affrontare tale tematica proprio perché, dalla mia esperienza clinica, mi rendo sempre più conto di quanto sia facile pensare che la dipendenza affettiva sia amore e affetto… ma in realtà così non è. Essa non rende liberi. La persona che soffre di tale dipendenza è spinta non dall’affetto ma dal bisogno di dipendere, di ricevere conferme e di attribuire un senso alla sua vita attraverso l’altro. Ovviamente, essendo una dipendenza “relazionale”, trova la sua maggiore espressione nella relazione di coppia e ne condiziona il funzionamento.
Si dice infatti che nella vita possiamo innamorarci più volte ma amiamo molto meno.
Vediamo insieme come mai e soprattutto come il vero amore sia diverso dalla dipendenza affettiva.
Che cosa si intende per amore?
Lo psicologo Sternberg definisce l’amore come quel sentimento che è composto da tre elementi:
1. L’intimità intesa come la capacità della coppia di prendersi cura uno dell’altro attraverso la condivisione e affinità;
2. La passione ovvero la vicinanza fisica;
3. L’impegno definisce l’impegno nel scegliere di stare nella relazione e decidere di amare.
Si dice che ci si innamora spesso nella vita ma si ama molto poco, proprio per la complessità di questo sentimento. Già dalle tre caratteristiche qui sopra espresse, si può notare come l’amore sia diverso dalla dipendenza, che concepisce l’altro come una mera necessità.
Come distinguere una dipendenza “sana” da una dipendenza “tossica” nella relazione?
Fin da quando siamo piccoli impariamo a dipendere dagli altri per nutrirci, per camminare, per imparare via via ad essere sempre più autonomi. Questo tipo di “dipendenze” sono sane proprio perché funzionali al nostro benessere e alla nostra evoluzione. In età adulta, quando amiamo qualcuno, sentiamo che nella relazione vi è reciprocità e siamo in un certo modo “dipendenti” anche dal benessere dell’altro ma è amore vero poiché ci sentiamo liberi e lasciamo libero l’altro, sia nei pensieri che nei sentimenti.
Una dipendenza “tossica” si sviluppa in età adulta (anche se alcune manifestazioni si possono vedere già in tarda adolescenza e prima età adulta) e colui che dipende perde tutti gli interessi, si modula in base all’altro e spesso rinuncia a tutto per questa relazione. Non è sana proprio perché è in opposizione a ciò che costruisce il benessere nella coppia, ovvero la libertà, la soddisfazione individuale e reciproca e la consapevolezza di sè.
Quali sono gli effetti della dipendenza affettiva nella coppia?
Vivere in una relazione con dipendenza affettiva non è un vivere sano e produttivo perché , a lungo andare, questa situazione diventerà distruttiva per entrambi i partner.
Inizialmente chi “dipende” trova sicurezza nella relazione, nell’altro e tende a dare tutto se stesso tanto da essere “visto” come ” accudente e presente” nella relazione. Essendo per natura delle relazioni la fase iniziale quella dell’innamoramento ed essendo una fase spesso simbiotica della relazione, qui la dipendenza apparirà funzionale alla costruzione della coppia.
Però ben presto si arriva alla fase della differenziazione, fase nella quale si tende ad allargarsi verso l’esterno, essere meno simbiotici e maggiormente individuali. Se però questo non è tollerabile da almeno uno dei due partner, iniziamo i problemi.
- assenza di libertà: la persona che è oggetto della dipendenza a lungo andare sente di essere soffocata nella relazione e spesso è la prima a minacciare la rottura.
- ricatti emotivi: per tenere a sé la persone si arriva a mettere in atto ricatti che hanno come risultato lo sviluppare il senso di colpa.
- ritiro sociale: inizialmente la coppia può vivere il ritiro sociale e viverlo come aspetto positivo in quanto ci si basta, ma quello che accade successivamente è che vi sarà sempre meno vita al di fuori della coppia. Colui che dipende sarà disposto anche a perdere il lavoro pur di stare a casa, esserci per l’altro e ridurre la rete sociale.
- rottura con i legami familiari: sono relazioni che, anche per alcune difficoltà familiari già presenti, vanno a minare i rapporti con la famiglia. Famiglia che fa da specchio ed inizia a far notare alcuni aspetti negativi o di problematicità nella coppia.
- ridotta autostima: più si dipende e meno impariamo a volerci bene, quel bene che è necessario al fine di riuscire a tutelarci nella relazione e nella vita.
Questi sono solo alcuni aspetti che possono emergere e che condizionano l’andamento di coppia andando a distruggere il vero senso di “fare coppia”. Assenza di confronto, impossibilità a pensarsi senza l’altro ci pongono in una relazione nella quale entrambi i partner vivranno una senso di costrizione, di profonda paura per l’abbandono e a volte anche un senso di soffocamento che nutre le emozioni come rabbia e impotenza.
Come nelle maggior parte delle difficoltà di coppia, chiedere aiuto è il primo passo perché si possa guarire dalla dipendenza affettiva. Non è però possibile farlo da soli.
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Dipendenza da smartphone: l’intruso nella coppia

Essere connessi ai giorni d’oggi è diventato del tutto automatico e spontaneo anche all’interno delle relazioni, dando per scontato spesso il modo nel quale viviamo le relazioni e comunichiamo. Ecco che parlare di coppia, ad oggi, non può escludere un terzo che diventa spesso scomodo: si tratta dello smartphone.
Le dipendenze attuali non sono solo dipendenze da sostanze, ma appartengono a quelle che vengono definite come dipendenze comportamentali: Sesso, gioco d’azzardo, internet, smartphone… Sono alcuni dei più conosciuti comportamenti che appartengono al mondo delle dipendenze. Soprattutto per quanto riguarda internet o lo smartphone, essendo diventato parte della nostra quotidianità tendiamo a non riconoscerne l’effetto anche nocivo dell’uso eccessivo dal momento che ci possono allontanare dall’incontro con l’altro, e costruire quindi relazioni più virtuali e meno reali.
Si parla quindi di dipendenza da smartphone e di come essa sia nociva per l’andamento della coppia, non in termini generali, piuttosto in termini di uso eccessivo e dipendenza. Se pensiamo ad esempio allo smartphone come ad un terzo nella coppia, quello che accade è che andrà comunque ad incidere sul clima di coppia, sulla capacità di comunicazione e di relazione che il singolo partner può sviluppare all’interno della coppia. Si parla di pubbing ovvero snobbare, indicando l’azione di ignorare o trascurare chi si ha davanti in carne e ossa, per dare precedenza e attenzione al proprio cellulare e al mondo che esso contiene.
La dipendenza dal cellulare toglie attenzione e tempo al partner, ma intacca anche il fronte della fiducia e dell’autostima, perché trasmette la sensazione di non riuscire a suscitare più interesse. Essere sempre connessi ci porta a dare più interesse all’oggetto della dipendenza, ad esempio smartphone, piuttosto che alla relazione. Ad esempio nella vita quotidiana succede spesso che lo smartphone sia presente nei momenti come la cena, i momenti di aperitivi o di ritrovi con amici, così com’è nell’intimità di coppia: lo guardiamo prima di andare a letto ed è la prima cosa che guardiamo da svegli.
Quali sono i segnali di una dipendenza da smartphone?
- La persona media controlla il suo telefono 110 volte al giorno.
- Tre quarti di persone controllano le notifiche al cellulare come prima cosa appena si svegliano.
- Il 61 percento dorme con il telefono acceso, vicino al letto.
- 1 su 3 utenti di smartphone si svegliano la notte per controllare i loro telefoni (è del 50 percento per le persone da 18 a 24 anni).
Quali sono gli effetti della dipendenza da smartphone sulla relazione?
Come abbiamo visto, alcuni effetti sulle relazioni riguarda ad esempio la capacità di comunicare e di coltivare la relazione, ma a livello individuale può accadere di avere scarsa autostima, ridotta fiducia e l’occasione buona per litigare: molte coppie parlano di questo smartphone come di un proprio e vero amante, come se fosse un intruso nella coppia.
Sicuramente dobbiamo pensare alla dipendenza o all’uso esagerato di internet o social come il frutto di un malessere individuale e/o relazionale, spesso non facile da verbalizzare e lo si fa attraverso un sintomo. Il voler rimanere costantemente connesso ci porterà paradossalmente ad essere scollegato dalla realtà e poco attento ai bisogni dell’altro; così facendo, si può risultare sgradevoli agli occhi degli altri e si faticherà a mantenere legami e relazioni positive. Essere troppo attaccati al telefono, infatti, aumenta il rischio di isolamento e solitudine: pur nell’abbondanza di contatti virtuali, chi passa il tempo sul proprio smartphone riduce via via quelli reali e autentici.
Come uscire dalla dipendenza da smartphone?
Come tutte le dipendenze per uscirne il primo passo è riconoscere di avere un problema e farsi aiutare. Non è semplice uscirne da soli e spesso è molto più efficace per le dipendenze l’intervento familiare o di coppia in quanto consente di rendere più efficacie l’intervento.
Come coppia è importante agire insieme per costruire regole sane di convivenza e di relazione. Per prima cosa è utile una “zona smatphone free” ( soggiorno, camera da letto o cucina possono essere alcune aree tutelate dalla presenza dell’intruso); questo vi aiuterà a tutelare lo spazio di coppia e a migliorare il clima emotivo.
Usa lo smatphone per migliorare la qualità di vita e quindi dedicati ad attività di meditazione o rilassamento da fare anche in coppia, condividendo video o usando il cellulare per tenere sotto controllo i costi della gestione domestica ( dare una funzione altra al cellulare consentirà di non dedicarsi eccessivamente alla funzione più relazionale).
Come nella maggior parte delle difficoltà di coppia, chiedere aiuto ed affrontarle in un contesto terapeutico è sicuramente l’intervento maggiormente utile per lavorare sia sulla dipendenza che sugli aspetti relazionali.
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Essere genitori quando si smette di essere coppia
Le difficoltà di coppia incidono in maniera importante nella relazione genitoriale rendendola, a volte, complicata e luogo di conflitti e rivendicazione.
Imparare a gestire la genitorialità è un fattore protettivo al benessere della famiglia e dei figli.
Leggi l’articolo per saperne di più e contattami per informazioni.
La coppia tra legami inscindibili e separazioni possibili

La vita di coppia è spesso travagliata, altalenante e messa a dura prova dalle sfide evolutive. Cambiamenti, lavoro, trasferimenti, figli e genitori sono solo alcuni di questi possibili cambiamenti che mettono la coppia di fronte alla necessità di riorganizzarsi o, quantomeno, di adattarsi.
In questo articolo tratterò alcuni aspetti collegati alle relazioni tossiche e all’impossibilità di “interrompere” il legame, vissuto come esclusivo e quasi di possesso.
Quello che accade in queste relazioni è che l‘altro non viene visto per ciò che è. L’altro viene piuttosto vissuto solo in funzione alla realizzazione del proprio sé.
Quando viene minacciato l’abbandono, la persona che nella coppia vive la relazione con più dipendenza, sarà messa a dura prova. Questo sia nel reagire ai conflitti, sia nel riuscire a risolverli.
La fine di un rapporto, invece, non deve essere vista sempre come negativa. A livello evolutivo può essere infatti anche fonte di benessere, nel momento in cui riusciamo ad accettare che è venuto meno il tempo per lo stare in coppia e che entrambi i partner sono sono liberi di ricostruirsi una vita.
Nonostante questa riflessione, la fine di un rapporto viene spesso vissuta come una sorta di “lutto“, come un fallimento del proprio progetto di vita.
Quando ci troviamo di fronte a coppie che, nonostante siano oggettivamente giunte al “capolinea”, continuano la loro relazione in modo indissolubile, possiamo parlare di “legame disperante“.
Questo tipo di legame impedisce, di fatto, alla coppia di giungere ad una fine.
Nonostante in molti casi vi sia di mezzo una separazione o un divorzio, quello che accade nei “legami disperanti” è che non si riesce a mettere in campo anche il necessario “divorzio emotivo“. L’ex coniuge, infatti, continua a riemergere nel corso del tempo e viene mantenuto/a in vita da costanti conflitti e ricorsi legali e giudiziari.
Spesso in questo legame vi sono nel mezzo dei figli che, di certo, non trascorrono del tempo sereno dentro le mura domestiche. Questo proprio a causa della difficoltà genitoriale nel mettere limiti e confini ai propri litigi chiedono, sia direttamente che implicitamente ai figli, di schierarsi dalla parte di uno dei due genitori.
Sicuramente non vi è mai l’intendo di far del male ai propri figli ma, così facendo, il genitore lo sta di fatto danneggiando giorno dopo giorno.
In questo contesto i figli diventano spesso i “sostenitori” o i “postini” della coppia, con il rischio, a loro volta, di ripercussioni anche nella propria vita relazionale.
Non meno importante riveste il ruolo della famiglia d’origine, la quale in questo legame spesso ha avuto un ruolo decisivo: sono infatti famiglie invischianti e che tendono a considerare i figli (ovvero i membri della coppia) ancora troppo figli propri.
Cosa caratterizza un legame disperante?
• Impossibilità ad accedere al divorzio emotivo
• Essere intrappolati nel legame anche a distanza di anni
• Affidarsi alle vie legali Difficoltà a ricostruirsi una vita
• Rabbia e frustrazione anche a lungo
Cosa ci vuole per costruire una sana separazione?
Per giungere ad una sana separazione è fondamentale la capacità di negoziare il conflitto, la capacità di fare un passo indietro e di giungere ad una sorta di “resa”. Queste capacità dipendono da molti aspetti tra cui:
• le caratteristiche personali e la capacità introspettiva del singolo partner;
• la capacità di mettere dei confini familiari che tutelino la coppia anche nel momento della separazione e che consentano di mantenere lontana la famiglia d’origine in questa scelta;
• la capacità di realizzazione personale e l’autostima;
• i miti familiari e i valori.
Non è facile mettere da parte sentimenti, emozioni, frustrazioni legati al fallimento del legame di coppia. Grazie ad una psicoterapia di coppia, però, si può lavorare per giungere a tale decisione con un maggior livello di consapevolezza.
Come dico spesso: quando si intraprende un percorso di psicoterapia di coppia, la separazione è una delle opzioni possibili e non l’unica. Sta poi alla coppia la facoltà di valutare quella più fattibile.