
Come gestire la fame d’amore
La fame d’amore è una sensazione presente soprattutto nella dipendenza affettiva paragonabile alla necessità e all’urgenza di vivere d’amore: la ricerca di tale relazione potrebbe assumere manifestazioni compulsivi e istintive, la persona che sente la fame d’amore vive un bisogno insaziabile e costante di riempire. Molte donne la raccontano come un senso di vuoto, angosciante e doloroso.

Colmare i vuoti affettivi con le compulsioni
Colmare un vuoto affettivo può diventare la missione per alcune persone che sentono un costante ed invasivo senso di vuoto. L’origine di tale sensazione va spesso ricercata nelle relazioni familiari e nelle dinamiche relazionali

Superare gli attacchi di panico
Ciò che non mi distrugge mi rende più forte
F. Nietzsche
Nell’attacco di panico la persona può sperimentare pericolo, perdita controllo e sentirsi in balia di situazioni ed eventi , anche con la paura di non uscirne più. L’attacco di panico per essere gestito e superato per prima cosa necessita di essere compreso a livello di significato e di funzionamento. Esso non è altro che la maggiore espressione dell’ansia e come tale esso a volte può essere al pari di una vera e propria esperienza traumatica. Prima di addentrarci su come superalo è importante sapere che l’ansia è il frutto di alcune componenti:
- cognitiva: ovvero i pensieri che mettiamo quotidianamente in atto e che possono influenzare il nostro modo di percepire la vita;
- somatica: il corpo si attiva al fine di proteggerci da potenziali minacce e situazioni di pericolo reale o immaginario che spesso sono il campanello d’allarme che attiva l’ansia;
- emotiva: insieme al pensiero e alla reazione corporea e somatica accade che si attivano le emozioni, come ad esempio la paura.
Nell’ansia può accadere che si attivi un circolo vizioso che porterà la persona a vivere un generale o specifico senso di preoccupazione che vincola il benessere e la ricerca di autonomia. Essendo una sorta di attivazione fisiologica spontanea di fronte al pericolo è importante, per prima cosa, ricordarci che possiamo “psico-educarci” all’ansia e cercare di gestirla. E’ utile per prima cosa comprendere che essa è frutto di pensieri, sensazioni ed emozioni che prendono il sopravvento e che assume un senso a livello relazionale. Successivamente si procede nell’elaborare e cambiare la relazione con l’attacco di panico attraverso l’emdr, una tecnica specifica ed indicata per il trattamento dell’attacco di panico in quanto esso viene considerato come “traumatico”.
Ecco che la persona vivrà con tale attivo un’esperienza che lo porta a temere che si ripresenti ed eviterà tutte le situazioni che potranno attivarlo, almeno anche a livello potenziale. Ecco che grazie alla tecnica emdr quello che accade è che andiamo a “desensibilizzare” il ricordo traumatico collegato all’attacco di panico e alla sua insorgenza partendo dal lavoro sul primo, più intenso e ultimo attacco di panico e andando a collegare emozioni, pensieri e sensazioni e riattivando un normale processo di guarigione che è previsto dal nostro funzionamento psicologico.
Questo perché l’emdr funziona attraverso movimenti oculari che consentono alla persona di riattivare la “comunicazione” tra emisferi cerebrali che di solito comunicano al fine di elaborare i vissuti traumatici ma, in presenza di un’esperienza di panico vissuta come traumatica, si blocca e si cronicizza come esperienza nella vita della persona che ne soffre.
Attraverso la psicoterapia è possibile superare l’ansia e il panico imparando a riconoscerne i segnali, mettendo in atto strategie di gestione e nuovi significati emotivi e relazionali collegati a tale esperienza, attraverso l’utilizzo di tecniche specifiche come emdr, in maniera efficace e risolutiva.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico relazionale

Guarire il trauma con Emdr
“Non essere completamente vivi nel presente mantiene saldamente imprigionati nel passato”
(Bessel Van Der Kolk)
Per trauma si intende, dal punto di vista psicologico una frattura causata da un evento talmente stressante da sovrastare le capacità della persona di gestire le situazioni e difendersi dal loro impatto negativo. I traumi possono essere molteplici e non solo fisici ma anche psicologici: trascuratezza, lutti, perdite, trasferimenti, abbandoni ecco alcuni degli eventi che possono condizionare il presente e futuro della persona.
Attraverso le esperienze negative la persone svilupperà anche un’idea di sé che sarà, nella maggior parte delle situazioni, coerente con l’immagine negativa di sé che l’evento richiama: non essere all’altezza, essere sbagliati, non valere ecc… Ecco che, con tali premesse, la vita presente e futura appare difficile e poco gratificante per la persona.
Cosa succede al corpo successivamente al trauma?
Quello che accade al corpo esposto ad una situazione reale o percepita di pericolo è quella di attivare le difese, di difendersi e di prepararsi alla prossima minaccia: è in tale situazione di allarme che la persona vive.
Cosa accade alla psiche?
Tendenzialmente quello che accade è che la mente aiuta la persona a difendersi da ricorsi troppo dolori e dunque avviene una sorta di “dissociazione” con se stessi e le proprie emozioni. I segnali sono:
- mancanza di ricordi e difficoltà ad accedervi;
- difficoltà nel vivere e riconoscere le emozioni pressoché assenti ma perché percepite come perciolose dalla persona;
- costante stato di allarme;
- idea negativa di sé;
- scarsa autostima;
- difficoltà relazionali.
Inoltre, essendo sempre in attesa, accade inoltre che qualsiasi situazioni possa riattivare esperienze passate traumatiche: lo stress, infatti, tende a disattivare le strutture del sistema nervoso centrale deputate alla memoria autobiografica (ippocampo), mentre quelle legate alla memoria emotiva (amigdala, talamo, corteccia sensoriale) trattengono i ricordi nelle primitive forme sensoriali ed iconiche.
Come superarlo?
La difficoltà maggiore per le persone che presentano esperienze traumatiche è “esserci nel presente” proprio perché imprigionati nel passato. E’ importante aiutare la persona non solo nel sentirsi libera di riprendere vissuti dolorosi ma di aiutarla a trasformarli in vissuti meno dolorosi e vincolanti. Ecco che al percorso terapeutico si aggiunge una tecnica decisiva e di impatto per il benessere della persona.
Grazie alla tecnica EMDR avviene un’adeguata elaborazione che consenta alla persona di “collegare” mente, corpo ed emozioni per elaborare e poter modificare il ricordo memorizzato trasformandolo da negativo a positivo. Oltre a questo si accompagnerà la persona nello sviluppo di risorse e scenari ipotetici futuri che possono bloccare al fine di sbloccare l’esperienza negativa e l’idea di sé negativa.
Per maggiori informazioni o per fissare appuntamento, contattami compilando il link contatti.
Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Relazionale_ Terapeuta EMDR

Relazioni im-possibili.
“Una persona che si adatta completamente all’altra alla fine non piace poi così tanto”
Capita spesso che, nelle difficoltà relazionali, ciò che porta più spesso le persone in psicoterapia è l’incapacità di sentirsi in grado di mantenere una relazione, di scegliere la persona giusta e di scendere a compromessi. Tali situazione può dar vita ad una serie di domande che risuonano nelle mura dello studio e nella mente delle persone e che hanno dato vita a questo articolo: “Perché non riesco a mantenere una relazione?”, “Come mai alla fine finisco per fare come sempre, ovvero per stancarmi?”, “Vorrei poter essere tranquilla/o con una persona ma non ci riesco”, “Scelgo sempre le persone sbagliate, come mai?”…
La richiesta che viene fatta allo psicoterapeuta spesso è quella di avere delle risposte, una spiegazione il più chiara possibile di ciò che vincola la persona nella relazione. Quello che però, da un punto di vista terapeutico assume un significato decisivo, è comprendere da dove abbiamo imparato a reagire/comportarci/ relazionarci in un determinato modo perché gli incontri, la coppia e le relazioni non sono frutto del caso ma si formano in base ai bisogni psicologici e affettivi che ognuno sviluppa fin da piccolo e che spesso non sono consapevoli.
Quindi quando mantenere, costruire una relazione diventa difficile a cosa può essere dovuto?
- modalità di attaccamento insicuro/ambivalente: le figure di accudimento durante l’infanzia ( per svariati motivi) non sono riusciti a fornire una base sicura affettiva e su questa insicurezza si sono sperimentate le prime relazioni; paura dell’abbandono, sentire di non merita l’altro e di non meritare amore possono diventare pensieri che vincolano alla possibilità di vivere le relazioni;
- storia familiare: separazioni, conflitti , aspettativi e miti familiari possono condizionare la libertà di costruirsi una relazione duratura;
- paura delle relazioni e di stare nella coppia: stare nelle relazioni implica la possibilità di sentirsi in balia dell’altro, può portare alla perdita del controllo e necessità della gestione delle emozioni così come di un livello di consapevolezza emotiva;
- bisogni affettivi: cosa ci si aspetta dall’altro/a ( attenzione, cura, sostegno ecc…) rappresentano spesso i bisogni che ogni individuo riversa nell’altro ma senza comunicarlo all’altro, essendo spesso inconsapevoli. Essi però determinano chi ricerchiamo e come mai lo ricerchiamo, cosa ci gratifica e cosa ci infastidisce, e non è un caso.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che possono dare senso ad un ipotesi sul come mai sia difficile mantenere relazioni e diventa altrettanto importante comprendere che significato viene fornito a tale difficoltà dal conteso familiare, sociale e amicale nel quale in singolo individuo è inserito.
Come migliorare?
E’ sempre possibile migliorare ma è necessaria la consapevolezza e dunque fare un lavoro psicoterapeutico di costruzione della propria storia familiare, comprendere che ruolo o i ruoli che la persona ha dovuto o scelto di assumere con le relazioni significative e lavorare sui bisogni che spesso sono la chiave di svolta per migliorare partendo da sé stessi, senza aspettare che sia qualcuno a renderci sereni con noi stessi.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

L’ansia e i legami familiari.
L’ansia è come una sedia a dondolo: sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.
(Jodi Picoult)
L’ansia è una condizione psico-fisica caratterizzata da sensazioni di costrizione, affanno e angoscia che induce le persone a bloccarsi di fronte a determinate situazioni e che provoca tensione, irrequietezza ed apprensione. Queste sensazioni sono spesso accompagnate da sintomi fisiologici come la sudorazione e la tachicardia. A differenza della paura, l’ansia non è collegata ad un evento percepito come pericolo nell’immediato, ma emerge dall’anticipazione di eventi futuri e dalle loro presupposte conseguenze. Coloro che soffrondo di ansia spesso raccontano storie di forte preoccupazione per lo stato fisico di iperattivazione che accompagna la sintomatologia ansiosa e per la percezione che essa sia incontrollabile.
Per prima cosa ciò che è indispensabile fare è comprendere bene cosa si intende per “ansia” dal momento che spesso capita che essa possa essere confusa con altre difficoltà. Ecco di seguito alcuni aspetti che la caratterizzano e che sono sintomi psicologici ( preoccupazione, scarsa concentrazione, irritabilità…), sintomi fisici ( tachicardia, ipersudorazione, dolori al pett0, tremolii…) e sintomi comportamentali ( evitamento delle situazioni che inducono anisa, immobilità…).Importate è sottolineare che l’attacco di panico è un episodio improvviso di paura intensa che si sviluppa senza una ragione apparente e che può manifestarsi anche sotto forma di sintomi fisici e concreti, come ad esempio: dolori al petto, palpitazioni, difficoltà respiratorie.
Nel momento in cui si accura che ciò che si presenta corrisponde all’ansia quello che può accadere è di trovarsi nella situazione di evitare ciò che è fonte di preoccupazione e spesso questo alimenta l’ansia innescando un circolo vizioso, che genera ulteriore malessere e la perdita di controllo.
Le cause dell’ansia sono svariate e non riscontrabili in maniera univoca e oggettiva ma ha un significato in base alle relazioni in cui essa è inserita e anche nei diversi contesti. Ecco perchè nell’ottica sistemica, oltre ad utilizzare strumenti cognitivi-comportamentali o tecniche paradossali per lavorare sull’ansia, essa viene inserita all’interno delle relazioni e del ciclo di vita. Ecco che, interessandosi a tali storie, ciò che emerge è che spesso sono storie che hanno come protagonista la “separazione”, lo “svincolo” o “l’abbandono”. Infatti le persone che portano in sede di psicoterapia l’ansia portano con sè storie di svincoli non avvenuti, di separazioni impossibili o di minacce di abbandono, il tutto collegato ad una storia familiare che ne conferisce identità e significato.
Come curare l’ansia?
La strada maestra per la cura dell’ansia rimane la psicoterapia, che si focalizza sulle dinamiche che portano dallo stress alla risposta ansiosa. La psicoterapia sistemica – relazionale consente di lavorare sul sintomo (ansia) integrando tecniche e significati propri dell’approccio con altre tecniche strategiche o cognitive comportali (Emdr) e aspetti familiari e relazionali ad essi collegati.
Ecco una piccola storia arrivata in studio di psicoterapia:
“Maria ( nome inventato), giovane universitaria affetta da sintomatologia ansiosa arriva in studio per la diffcioltà a prendere i mezzi pubblici e, di conseguenza, per l’incapacità a frequentar ee sostenere le lezioni e gli esami. La sua vita era per lo più nelle mura domestiche e anche le amicizie sembravano essersi ridotte, a causa dell’ansia e del suo effetto bloccante nella vita di Maria. La terapia sistemica-relazionale non si interessa solo alla persona, a Maria, ma amplia lo sguardo anche a coloro che in quelle mura domestiche abitano e costruiscono relazioni con lei. Emerge che il sintomo consente a Maria di mantenere un legame preferenziale con la madre la quale, successivamente alla perdita del marito, sviluppa una forma di depressione. Quello che accade è che Maria trascorre maggior tempo in casa con la madre e, ritarda, il passaggio allo svincolo che implicherebbe, a livello familiare, una necessaria e fisiologica ri-organizzazione. Ecco che attraverso connessioni, narrazioni, prescrizioni paradossali e costruzioni di significati diversi, Maria impara non solo a gestire l’ansia ma sopratutto che essa ha un significato, o meglio, comunica qualcosa e che tale comunicazione può assumere valenze diverse. Attraverso la terapia Maria migliora tale aspetto, riesce a dare spazio, successivamente alla gestione dell’ansia a tutti quegli aspetti a cui non aveva dato voce o significato. Anche l’utilizzo della tecnica EMDR ha consentito a Maria di lavorare sull’idea che l’ansia le rimandava di se stessa e sulle memorie traumatiche. ”
Pensare ad una vita senza ansia è difficle e impossibile ma pensare ad una vita nella quale possiamo gestirla, questo si è possibile: La psicoterapia sistemica consente dà voce all’ansia e a tutte le persone ad essa collegate.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemica – relazionale.

“Gli incastri di coppia”: una lettura sistemico -familiare.
“Ci proiettiamo nel presente alla ricerca del passato”.
In questo articolo affronterò il tema da me trattato nella tesi di specializzaizone come Psicoterapeuta dal titolo: ” Il quid pro quo di coppia incontra la crisi di coppia: confronto tra casi ad invio coatto e casi ad invio spontaneo presso il Consultorio Familiare. “
L’ottica sistemica familiare sarà la chiave di lettura per tali incastri di coppia detti anche “quid pro quo di coppia“ovvero “qualcosa per qualcosa altro” e si riferisce a un accordo o a un contratto, in cui ogni parte deve ricevere qualcosa per ciò che dà o crede di dare. In psicoterapia si parla di “incastro di coppia” quando ci si sofferma, spesso al fine di aiutare la coppia nel momento di conflitto, a comprendere il motivo per il quale si sono scelti ed essa è anche una delle prime domande in psicoterapia. Spesso tale domanda lascia perplessi perchè, sopratutto nel momento del conflitto, essa consente di ritornare indietro ai tempi della scelta e dunque andrà a smuovere la memoria e l’emozione passata.
Già S.Freud nell’ “Introduzione al Narcisismo” (1914) sottolinea che la scelta del partner avviene secondo modalità che hanno a che fare con la relazione che ognuno ha avuto con la propria famiglia di origine. Ecco il come mai dell’importanza dell’orientamento sistemico familiare nel trattamento delle difficoltà di coppia, dal momento che da un punto di vista relazionale emergono due modalità di possibile scelta del partner ( Mosconi A):
- che ci permetta di ripetere o proseguire una esperienza se questa è stata soddisfacente;
- che ci faccia vivere una esperienza compensatoria e/o di risarcimento se questa è stata insoddisfacente.
Quindi si intuisce l’importanza che la famiglia d’origine e le relazioni in esse vissute hanno nella formazione della coppia ed è importante averlo presente in modo da riuscire a leggere il conflitto in maniera utile ed evolutiva. Infatti in terapia ognuno porta la propria storia ed ognuno porta tutte le persone che per lui sono significative.
Per entrare nel vivo dell’incastro di coppia è utile parlare anche delle relazioni e del modo che ognuno di noi ha di definirsi in esse. Gran parte del mio lavoro di tesi si è soffermato ad analizzare 10 casi di coppie e ad analizzarle il come si sono incastrare, a partire dalle loro storie familiari, ed emergono alcune possibilità:
1. relazioni di dipendenza : ovvero uno dei due partner decide di dipendere ( posizione down) mentre l’altro decide di guidare (posizione up). Tendenzialmente questa scelta può essere per compensazione o rivendicazione, ad esempio posso “innamormi dell’altro perchè ha la famiglia che avrei sempre desiderato avere”;
2.relazioni di paritaria down-down: ovvero i due coniugi hanno storie di poco prestigio familiare e hanno vissuto posizioni non importanti , quando ad esempio entrambi non sono stati visti nelle famiglie d’origine. Spesso queste coppie fanno fatica a manifestare conflitti accesi ed è più probabile che manifestano alcuni sintomi come dolori fisici, insonnia, ansia;
3. relazioni paritarie up-up: ovvero entrambi escono con posizioni importanti nella famiglia d’origine e spesso con un forte legame con i rispettivi genitori. I partner vivono come perdente colui che lascia, cede o scende a compromessi e tale aspetto deriva anche da come, colui che perde, viene visto nella famiglia d’origine. In questo incastro entrambi non sono disposti a mettere qualcosa da parte per il funzionamento della coppia ed arrivano più facilmente ai tribunali.
Queste modalità up o down di definirsi nelle relazioni sono presenti non solo nelle coppie ma anche in contesti lavorativi, familiari e sociali. E’ importante, al fine di lavorare per costruire il benessere, che tali posizioni non siano rigide ma flessibili.
Il mio lavoro di ricerca ha evidenziato come ci siano, nel corso della vita della coppia, degli eventi importanti e che incidono con possibili cambiamenti che mettono i partner alla prova, come ad esempio la genitorialità. E’ spesso in questo momento che le coppie più burrascose arrivano presso i tribunali perchè uno dei due non è riuscito a comprensare o risarcire le aspettative presenti nell’altro e che sono intoccabili. Anche la famiglia d’origine ha un ruolo chiave nel conflitto di coppia ma di tale argomento parlerò nei prossimi articoli.
Alla luce di quanto detto risulta importante per la coppia sviluppare uno spazio nel quale poter lavorare su alcuni modi di mettersi nella relazione e pensare al conflitto non come una sorta di ” tribunale nel quale trovare la verità e giudicare colui che è colpa” ma vedere il conflitto come utile, perchè quando si litiga spesso emergono tutti gli aspetti familiari di cui abbiamo parlato in questo articolo e che portano i coniugi/partner a sottovalutare o ipitizzare come sbagliata la scelta del compagno/a.
Attraverso un percorso di psicoterapia di coppia ad orientamento sistemico familiare si lavoro su tali aspetti relazional, familiari, e di comunicaizone, non giudicando ma accettando le storie che vengono portate in terapia e sollecitando la coppia a trovare delle nuovi narrazioni possibili più utili per il loro benessere.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa-Psicoterapeuta Sistemica Familiare.

Il quid pro quo di coppia incontra la crisi di coppia: una lettura sistemica al conflitto.
“Non si può essere uguali a quando ci si è innamorati ma ci si può innamorare di ciò che si è diventati”.
Dott.ssa Lisa Sartori
“Il quid pro quo di coppia incontra la crisi di coppia” è stato il titolo della mia tesi di specializzazione come Psicoterapeuta sistemico – relazionale e si basa su una ricerca condotta su coppie in crisi e sul come mai alcune coppie riescono a lavorare sul conflitto e altre invece sembrano nutrirsi del conflitto e non riuscire a mediarlo, includendo l’importanza della famiglia d’origine.
In questo articolo non mi addenterò in tutti gli aspetti analizzati nel mio lavoro di ricerca ma solo sul quid pro quo di coppia inteso come un’ipotesi del conflitto di coppia e che si adatta alla lettura complessa della coppia dalla fase di scelta del partner, alla trasformazione della coppia in base alle tappe previste dal ciclo di vita.
Cosa si intende in particolare per Quid pro quo di coppia? Esso, così come descritto e teorizzato dal Dott. Mosconi, significa “ qualcosa per qualcosa altro” e si riferisce ad un accordo o contratto in cui ogni parte deve ricevere qualcosa per ciò che dà o crede di dare. Alla base di tale patto il paradosso di partenza sembra essere “ ci scegliamo un partner utile a definire i rapporti con la nostra famiglia d’origine” e quindi la scelta dell’altro non avviene solo per aspetti consapevoli ma include aspettative e bisogni che sembrano avere origine dall’idea con cui si esce dalla propria famiglia d’origine. In particolare per quid si intende “ ciò che penso di dare o di ricevere dall’altro” mentre il pro quo include tre aspetti:
- l’idea cosciente di ciò che mi aspetto di condividere con l’altro;
- L’aspettativa affettiva di cui investo l’altro;
- L’aspetto di definizione della relazione implicito a tale aspettativa affettiva.
Come possiamo quindi utilizzare il quid pro quo di coppia in terapia di coppia?
Esso è importante perché aiuta a creare un’ipotesi di origine del conflitto che spesso pone le basi su tali aspetti di unione, consapevoli e inconsapevoli e che spesso danno vita ad unioni che sfociano in aspetti paradossali: ad esempio un partner che vede nell’altro il bisogno di cure ma che poi nel corso della vita di coppia si aspetta che sia indipendente.
Questi aspetti non assumono valenza di giusto o sbagliato, ma diventano importanti fonte di costruzioni di significati possibili in sede di terapia in quanto consentono ai partners di comprendere che, ai tempi della scelta, entrambi avevano i propri buoni motivi per essersi reciprocamente scelti ma che è impossibile pensare che le cose non si cambiano nel tempo, relazioni incluse. “Non si può essere uguali a quando ci si è innamorati ma ci si può innamorare di ciò che si è diventati, insieme“, questo a mio avviso diventa la chiave di incontro per una coppia che è in fase di crisi di coppia.
Sorge dunque spontanea una domanda: come si può lavorare sulla coppia che attraversa un periodo di crisi?
Lo spazio di terapia diventa dunque uno spazio indispensabile al fine di poter rinegoziare gli aspetti di unione e di conflitto che necessariamente prendono vita, inserendoli in una chiave di lettura sistemica relazionale, che considera la famiglia d’origine come significativa nella vita di ogni singolo membro della coppia. Per questo si dice che la coppia quando si forma è composta da un incontro non solo di persone ma si di storie. Nella terapia verranno dunque considerati non solo aspetti comunicativi ma anche legati alle singole storie familiare e a come esse si siano poi intrecciate e abbiamo contribuito a formare la storia della coppia. A volte si percepisce il conflitto come qualcosa di sbagliato e di negativo ma è attraverso esso che spesso si giunge ad un cambiamento, tutto dipende da come si reagisce ad esso e a che significato viene attribuito.
Come mai scegliere una terapia di coppia sistemica relazione?
Perché l’ottica sistemica considera l’individuo come inserito all’interno di un sistema di relazioni e di significato con un’importanza data alla comunicazione e alla relazione come motore della coppia, non dimenticando che vi sono almeno due storie che prendo vita all’interno dello spazio di terapia.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_Psicoterapeuta sistemica relazionale.
La dipendenza affettiva: di relazioni ci si ammala ma di relazioni si guarisce.
“Vorrei poterti amare senza aggrapparmi, apprezzarti senza giudicarti, raggiungerti senza invaderti, invitarti senza insistere, criticarti senza biasimarti, aiutarti senza umiliarti. Se vuoi concedermi la stessa cosa, allora potremmo veramente incontrarci ed aiutarci reciprocamente a crescere“. (Virginia Satir)
La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento. È una situazione di sofferenza in cui possono trovarsi uomini e donne che non riescono a fare a meno del proprio partner delegando all’altro parti significative di Sè e della propria personalità in cambio di una garanzia di affetto e rassicurazione. E’ la relazione stessa che diventa oggetto di dipendenza, vista come unica risoluzione ai propri vuoti affettivi, dove il partner assume il ruolo di “salvatore” e la sua assenza, anche temporanea, da e mantiene una sensazione profonda di non esistere.
Colui che dipende dall’altro in maniera indissolubile spinge la persona ad investire totalmente nella coppia, escludendo altri e altre cose dalla propria vita, perdendo gli interessi e concentrando tutto sull’altra persona e sulla relazioni che li unisce. Il punto tuttavia è che spesso questi partner non sono affatto gratificanti ma, al contrario, si tratta di persone con le quali si instaura una relazione insoddisfacente, infelice e dolorosa. Il dipendente affettivo infatti prova un tale bisogno, assoluto e ossessivo, di rassicurazione e di certezze da indurre una sorta di “perdita dell’Io” ed una condizione in cui l’altro rappresenta il solo elemento di ebbrezza e di gratificazione possibile.
I sintomi della dipendenza affettiva sono:
- terrore dell’abbandono e della separazione
- evidente mancanza di interesse per sé e per la propria vita
- paura di perdere la persona amata
- devozione estrema
- gelosia morbosa
- isolamento
- incapacità di tollerare la solitudine
- stato di allarme e di panico davanti alla minima contrarietà
- assenza totale di confini con il partner: la relazione è simbiosi e fusione
- paura di essere se stessi
- senso di colpa e rabbia.
Quando si presentano tali sintomi è importante ricordare che essi sono indicatori che qualcosa nella relazione non funziona e dunque che è importante lavorare su tali aspetti. Chi soffre di Dipendenza Affettiva si sente inadeguato e non degno di amore e vive costantemente con il terrore di essere abbandonato dal partner. La paura dell’abbandono induce al tentativo di controllare l’altro con comportamenti compiacenti di estrema sacrificalità, disponibilità e accudimento, con la speranza di rendere la relazione stabile e duratura, alimentando di fatto il circolo vizioso.
La tendenza stessa a costruire una relazione di non mutualità, ma in cui l’altro e i suoi bisogni siano centrali, induce a lasciare spazio a personalità egocentriche e anaffettive, che finiscono per confermare in chi soffre di dipendenza affettiva la paura di non poter essere degni di amore. infatti la scarsa autostima spinge la persona che soffre di dipendenza affettiva a leggere la scarsa disponibilità dell’altro non come informazione sull’altro (“è un narciso egocentrico”), ma come informazione su di sé (“non mi ama perché io non vado bene”).
Quale le possibili terapie?
L’ottica sistemica relazionale aiuta nella comprensione di tale difficoltà in quanto è nelle relazioni spesso familiari e nella storia d’origine che si gettano le basi per tale sintomo dipendente. Spesso quando si ascoltano le storie di persone dipendenti affettive presentano storie di genitori in conflitto, esperienze di abbandono affettivo, dipendenza da sostanze e storie di abuso fisico e psicologico.
È importante aiutare colui o colei che sente tali difficoltà relazionali a dargli un significato e un senso, dal momento che essa non è frutto di una difficoltà interna alla persona ma frutto di esperienze relazionali vissute ed esperite. Grazie al lavoro di psicoterapia ciò che avviene è che tutto acquisisce un senso, attraverso connessioni e ricostruzioni. Ciò che è Importante quando si lavoro con la dipendenza affettiva è aiutare la persona a focalizzarsi su di sé, ricordarsi le proprie risorse e ciò che rende la persona tale, unica.
Il percorso di psicoterapia diventa uno strumento importante di miglioramento e di cura, sia nell’individuo che nella coppia o nella famiglia.
Ricordate che di relazioni ci si ammala ma di relazioni si guarisce.
Dott. ssa Lisa Sartori_Psicologa è Psicoterapeuta sistemica familiare.