
Adolescenti e dipendenza da internet: come riconoscerla.
L’adolescenza è un momento della vita caratterizzato da molte sfide personali, relazionali e sociali che mette a dura prova l’intero sistema familiare, ma tali sfide sono necessarie al fine di consentire all’adolescente di scoprire la sua identità. Nell’era del digitale e del mondo connesso anche la modalità di utilizzare internet è cambiato e diventa spesso oggetto di discussione familiare.
Orari, regole, siti, giochi, chat diventano argomenti di discussione quotidiana laddove la dipendenza da internet prende forma. Ma perché essa sia considerata tale è importante ricordare che non basta “ passare del tempo al pc o connessi” ma ci sono dei criteri precisi.
La dipendenza da internet si riferisce all’uso eccessivo di internet associato a comportamento irritabile e umore negativo quando se ne è deprivati ed è caratterizzata da questi segnali:
• Preoccupazione e inquietudine per internet;
• Necessità di aumentare il tempo speso collegati ad internet per raggiungere lo stesso grado di soddisfazione precedente;
• Ripetuti sforzi di limitare l’uso di internet;
• Irritabilità, depressione o instabilità emotiva quando l’uso di internet viene limitato;
• Passare online più tempo di quanto precedentemente stabilito;
• Mettere a repentaglio lavoro o relazioni importanti per passare del tempo su internet;
• Mentire ad altre persone circa il tempo che si passa su internet;
• Utilizzare internet come strumento di regolazione delle emozioni negative quali il senso di solitudine e la tristezza.
Questi sono alcuni segnali che possono indicare che non si è di fronte ad un uso di internet sano ma disfunzionale e che ha ripercussioni nell’ambiente familiare, sociale e scolastico o lavorativo. Spesso quando la quotidianità sembra essere messa in discussione da tali comportamento è importante, come genitore, provare a dialogare su ciò che accade con il proprio figlio in quanto spesso, tali comportamenti, hanno un valore comunicativo ed esprimere la sua preoccupazione. Anche le regole sono importanti ma affinchè abbiano un senso è importante che mantengano un aspetto relazionale, ovvero che la regola non sia imposta ma discussa e spiegata, soprattutto che sia condivisa tra i genitori in modo da riuscire ad essere compatti e coerenti rispetto ad essa.
La cura della dipendenza da internet passa attraverso un mirato intervento psicoterapeutico: occorre intervenire con una riduzione graduale del comportamento di dipendenza da internet, ma al contempo lavorare sul significato che tale dipendenza ha nella vita della persona e nel sistema familiare di appartenenza.
Dott.ssa Lisa Sartori,
Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica-Relazionale.
Contattatemi ricevo su appuntamento a Padova e Thiene.
EMDR: la tecnica in psicoterapia efficace nelle situazioni traumatiche.
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è un metodo psicoterapico che consente di alleviare lo stress e i disturbi causati da esperienze traumatiche. Gli eventi traumatici non sono solo quelli legati ad eventi catastrofici come terremoti o incidenti, ma sono anche tutte quelle situazioni che influenzano a lungo termine il benessere della persona e che a volte possono essere dovute anche a bullismo, fallimenti lavorativi e scolastici, attaccamenti insicuri.
Focalizzandosi sulla rievocazione di eventi o situazioni che hanno contribuito allo sviluppo di problemi emotivi o disturbi psicologici, l’EMDR consente di modificare la prospettiva con cui si vedono queste esperienze, attraverso un ridimensionamento che trasforma il trauma in un ricordo privo di condizionamenti sul presente; infatti quando si subisce un trauma il cervello riceve una informazioni (ovvero pensieri, emozioni e sensazioni corporee) che non riesce ad elaborare e immagazzinare secondo il consueto sistema di processamento. I traumi invece rimangono “congelati”, mantengono le stesse emozioni e sensazioni fisiche che si erano provate al momento dell’evento, e non consentono un’elaborazione razionale: non avendo compreso e interiorizzato adeguatamente l’informazione, la persona percepisce qualcosa di irrisolto, un disagio che può fare emergere sintomi fisici o psicologici.
Come funziona?
La tecnica prevede un protocollo standardizzato, con delle domande specifiche a proposito del trauma (il suo svolgersi, il contesto, le immagini più pesanti, i pensieri su di sé prodotti in quell’occasione, etc.), seguite da una “stimolazione bilaterale” che viene fatta o facendo seguire al paziente il movimento di due dita (del terapeuta) che passano di fronte al suo volto orizzontalmente, oppure attraverso un tamburellamento ritmico e alternato effettuato dal terapeuta sulle ginocchia o sulle mani del paziente. A differenza di altri trattamenti che mirano a modificare direttamente le emozioni, i pensieri e le risposte derivanti da esperienze traumatiche, la terapia EMDR si concentra direttamente sulla memoria e ha lo scopo di cambiare il modo in cui la memoria viene immagazzinata nel cervello, riducendo ed eliminando i sintomi problematici.
La terapia EMDR utilizza un approccio strutturato a otto fasi che include:
1° fase: acquisizione della storia;
2° fase: preparazione dell’utente;
3° fase: valutazione dei target mnestici;
dalla 4° alla 7° fase: elaborazione della memoria attraverso la risoluzione adattiva;
8° fase: valutazione dei risultati del trattamento.
Si torna poi a una parte verbale, chiedendo spiegazioni su come il paziente si senta (in modo molto aperto e libero), si torna a focalizzare sulle immagini relative al trauma e si procede a una stimolazione bilaterale, in una sequenza dalla durata variabile.
È un trattamento utile in moltissimi sintomi: ansia, attacchi di panico, lutto traumatico, disturbi di personalità, disturbi alimentari, disturbi del sonno e tutti i sintomi che portano la persona a rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Contattami per maggiori informazioni e per appuntamento.
Dott.ssa Lisa Sartori-Psicologa e Psicoterapeuta in formazione.
Dott.ssa Lisa Sartori

5 falsi miti sulla terapia familiare
Se un albero dovesse scrivere la propria autobiografia, questa non sarebbe troppo dissimile da quella di una famiglia umana.
(Kalhil Gibran)
Il termine “terapia familiare” definisce l’ approccio psicoterapeutico finalizzato a modificare le modalità relazionale tra i vari componenti della famiglia con il duplice obiettivo di migliorare il funzionamento della famiglia ed apportare il benessere al singolo individuo, detto paziente designato.
In particolare, vengono analizzate le modalità, spesso nascoste, su cui si basa l’equilibrio di tutto il nucleo, per aiutare i vari membri ad individuarle e prenderne consapevolezza. La terapia familiare si differenzia da quella individuale per la visione di famiglia come “sistema” ovvero di una entità composta da varie parti che interagiscono e lo costituiscono.
Perché scegliere una terapia familiare?
I conflitti che tendono a disgregare il sistema-famiglia danno vita a una tensione emotiva che può assumere le sembianze di un ‘sintomo’ che si manifesta in uno dei membri (il paziente designato), distogliendo l’attenzione dalle difficoltà relazionali. Spostando l’attenzione dal singolo paziente al nucleo familiare si intensificano le possibilità di alimentare una comunicazione funzionale. Spesso le famiglie che hanno un disagio costruiscono degli equilibri su cui basano le dinamiche delle loro relazioni però questi equilibri risultano precari e disfunzionali.
E’ compito del terapeuta aiutare i pazienti a rompere gli equilibri apparentemente funzionale e ricostruirne di nuovi attraverso l’osservazione delle modalità di relazione tra il paziente e la sua famiglia, modificando i modelli disfunzionali presenti nel contesto entro il quale il disagio del paziente è emerso, stimolando le risorse familiari e rafforzando sia il funzionamento individuale sia quello familiare.
Benché essa sia diffusa ed efficace a livello terapeutico esistono ancora molti falsi miti su di essa:
- La terapia familiare costa di più di quella individuale: non è così, in quanto le terapie individuali hanno una cadenza tendenzialmente settimanale mentre quelle familiari mensile;
- La cadenza mensile è troppo poco per un lavoro di psicoterapia: spesso si pensa che un mese di tempo sia troppo, sicuramente i tempi possono essere concordati con la famiglia ma tutto è pensato affinché la famiglia a casa può provare a mettere in pratica quanto acquisito in seduta, attraverso anche l’esecuzione di esercizi e compiti forniti dal terapeuta;
- Il tempo non basta per tutti i membri in quanto dura come la terapia individuale: la terapia familiare può durare da un minimo di 1 ora e mezza a 2 ore;
- Il terapeuta non può avere occhi e orecchie per tutti i membri: il terapeuta sistemico – familiare viene formato per la conduzione della terapia familiare, acquisisce tecniche e strumenti utili tale conduzione. Inoltre a volta vi è la possibilità di una co-terapia con la presenza di due terapeuti che si alternano nella conduzione della seduta.
- Non ci sarà mai una data che andrà bene a tutti i membri: se ci pensate già concordare una data e presentarsi in terapia tutti insieme, per famiglie con difficoltà di comunicazione e con conflitti è già un passo avanti.
Questi falsi miti li ho raccolti da alcune affermazioni sentite nella pratica clinica e che ritengo siano importanti da sfatare per consentire di fare chiarezza sulla terapia familiare in quanto terapia efficace anche nel lungo termine.
Dott.ssa Lisa Sartori –
Il patto nella crisi di coppia.
Appartenere a qualcuno significa entrare con la propria idea nell’idea di lui o di lei e farne un sospiro di felicità (Alda Merini).
Quando la coppia in crisi arriva in terapia entrambi i partner hanno le loro buone ragioni e fremono dal desiderio di raccontarle, ma ciò che la coppia in crisi spesso dimentica è la loro storia, il come si sono conosciuti e cosa li ha uniti. Qui non si parla più di posizioni e di ragioni ma del legame di coppia che trova la sua massima espressione nel “patto di coppia”. Prima di addentrarci nella sua spiegazione è importante sottolineare che la scelta dell’altro spesso è legata ad aspetti non del tutto consapevoli e spesso ignorati, ma sono questi aspetti caratterizzati dalle aspettative, da conflitti familiari presenti nel singolo individuo, dall’illusione di trovare la propria metà che spesso trovano espressione chiara nel conflitto.
La costruzione di ruoli e regole di relazione è un processo circolare di influenza reciproca nel tempo. Ciascun membro porta un sistema di credenze e aspettative che si è strutturato a partire dalle esperienze della sua famiglia d’origine e da altre esperienze matrimoniali o di coppia e il tutto è condizionato dal contesto sociale e culturale di provenienza.
Con il tempo la coppia deve riuscire a costruire una realtà condivisa: la massa di aspettative e credenze viene modellata dal rapporto con l’altro, modificandola o rinforzandola con le esperienze condivise che la coppia vive. Questo sistema di credenze condiviso guida la coppia verso il futuro orientandone le scelte. A ogni sfida evolutiva o evento stressante il paradigma è riesaminato e ricontrattato. La capacità della coppia di evolversi in modo flessibile e di ricostruire il patto di coppia, anche attraverso discussioni e conflitti, se espliciti e tesi alla negoziazione, sono il segreto della possibilità evolutiva.
Il patto di coppia può essere dichiarato o segreto. Il primo è “coscientemente assunto, voluto ed interiorizzato da un punto di vista cognito ed affettivo. Potremmo dire che i partners si dedicano al legame. Il secondo, quello segreto, è il patto che il partner fa sull’altro, non con l’altro, ed è il patto che spesso emerge nella fasi di conflitto in quanto viene disilluso, proprio per la sua formulazione paradossale. Ad esempio una coppia è arrivata in terapia con tale patto segreto:” lei vedeva il lui chi l’accudiva, chi rispondeva meglio ai suoi bisogni di affetto e di cura disillusi dalla propria famiglia di origine, mentre lui vedeva in lei la donna indipendente e autodeterminata che può arrangiarsi e ciò lo attirava in quanto lui voleva non dover per forza accudire qualcuno”. Da questo patto segreto si nota che, quando arriva il momento della disillusione di coppia, successiva alla fase di illusione e di innamoramento, i singoli componenti della coppia si aspetteranno dall’altro proprio quello che l’altro non vuole o non può dare, in quanto convinto di poter chiedere altro e non al corrente delle aspettative dell’altro, in quanto segrete. Ecco che prende avvio il circolo della disillusione, dove la coppia ed entrambi si vedevo realmente per quello che sono e per le aspettative che hanno riversato nell’altro ma senza il suo consenso.
Dunque nella terapia di coppia il lavoro consiste anche nell’esplicitare tale patto, esprimere la disillusione che consente di poter valutare con la coppia se sia possibile una ricostruzione del patto, una rivisitazione di esso al fine di renderlo flessibile. Perché è proprio la rigidità che rende difficile l’evoluzione della coppia, che essendo composta da individui in costante evoluzione può portare alla necessità di un nuovo patto esplicito che tenga in considerazione i nuovi bisogni della coppia e che colleghi anche ciò che fino al momento della terapia era segreto, creando il Noi della coppia, quello affettivo ed emotivo.
Dott.ssa Lisa Sartori
L’aspetto che da sempre mi affascina delle coppie e della loro formazioni è il patto di coppia che ora spiegherò e che spesso emerge nelle situazioni di conflitto. Il “patto di coppia”
“Di relazioni ci si ammala e di relazioni si guarisce”: quando la relazione si trasforma.
“Di relazioni ci si ammala. Di relazioni si guarisce.”(Patrizia Adami Rock)
La relazione è il legame che si crea tra due o più individui i cui pensieri, sentimenti, azioni si influenzano vicendevolmente ed hanno luogo in ogni contesto sociale ( scuola, famiglia , lavoro) . Dal momento che l’individuo è inserito in un sistema di relazioni come ad esempio la famiglia d’origine, e dal momento che le prime esperienze avvengono grazie alle relazioni primarie con le figure di attaccamento, è importante trattare tale tema in virtù del fatto che a volte sono proprio relazioni disfunzionali alla base del malessere psicologico, individuale, familiare e di coppia.
A volte capita di stare in relazioni che non soddisfano, che non valorizzano i legami e le appartenenze, ma con quanta fatica avviene il processo di consapevolezza? Quanto è difficile dire e dirsi che così non va bene? Questo dipende da che tipo di relazioni il singolo individuo ha esperito nella sua vita, dal ruolo che assume nei vari contesti sociali e da che idea di sè tali relazioni gli hanno rimandato nel tempo e hanno contribuito a costruirla. Si dice che si sa quello che fa soffrire ma non conosciamo quello che potrebbe far sorridere, e questo è il punto centrale: per saperlo è importante poter riflettere su che relazioni abbiamo e sapere come esse funzionano.
Paul Watzlawick nel libro Pragmatica della comunicazione umana, delinea i percorsi della comunicazione differenziando la relazione simmetrica da quella di tipo complementare a seconda dell’uguaglianza o differenziazione da parte degli interlocutori. Ognuna di queste relazioni può essere sana o patologica a seconda anche del livello di flessibilità o rigidità di tale posizione.
Quando si parla di relazione simmetrica si fa riferimento ad una interazione basata sull’uguaglianza dove gli interlocutori sono sullo stesso piano, così mentre uno dei soggetti cerca di definire la natura della relazione, l’altro risponde alla definizione che viene data confermandola, rifiutandola o modificandola. Si parla di una relazione simmetrica sana quando entrambi gli interlocutori riescono a posizionarsi sullo stesso livello, considerandosi uguali e confermandosi reciprocamente, perchè anche se rifiuto la definizione che la persona fornisce sono comunque in relazione. Abbiamo invece una interazione simmetrica patologica, quando la squalifica del “livello di uguaglianza” dell’altro, cercando di porsi “al di sopra” (verso una posizione one-up). Alcuni esempi di relazioni simmetrica si hanno con i colleghi di lavoro, amici e coppia.
Le relazioni complementari si basano sulla differenza ponendosi in posizione opposta e complementare rispetto a all’altro; ci sarà chi sta “al di sopra” (posizione one-up), ovvero che dirige e consiglia, e un altro che sta “al di sotto” (posizione one-down), obbedendo o accettando la definizione della relazione. Alcuni esempi di relazioni complementari si hanno nella relazione genitori-figli, dipendente-dirigente, insegnante-alunno. Una relazione complementare sana si ha quando vi è un’accettazione spontanea e non imposta da parte di entrambi del tipo di relazione definita. (Es. il figlio che accetta il ruolo dei genitori) mentre si ha una relazione complementare patologica se la posizione di chi sta “al di sopra” si irrigidisce, rischiando di creare un un’unione morbosa.
E’ dunque importante riflettere sul tipo di relazioni e considerare che i messaggi verbali e analogici che possiamo fornire all’altro rimandano una conferma o un rifiuto della relazione e di come veniamo definita in essa. La disconferma della relazione avviene quando il messaggio che arriva dalla relazione è “tu non esisti” (ad esempio un figlio dipendente da sostanze parla ai genitori dei suoi problemi di dipendenza e i genitori cambiano discorso, oppure utilizzano il non verbale per non considerare quanto espresso dal figlio). Ecco perchè relazioni e comunicazioni sono profondamente legate in quanto una non può esistere senza l’altra.
Dunque di relazioni ci si può ammalare ma di relazioni si può anche guarire perche è in esse che troviamo la forza e la spinta per ridefinirci in modi diversi. Attraverso un lavoro psicologico su di sè è possibile trasformare relazioni che fanno male in relazioni che guariscono, che fanno guarire e che consentono di poter creare una nuova narrazione attorno ad esse.
Dott.ssa Lisa Sartori_Psicologa.
Processo decisionale e sistema relazionale: quando errare è possibile.
Fare un errore diverso ogni giorno non è solo accettabile, è la definizione di progresso.
(Robert Brault)
Quante volta capita di voler prendere una decisione, di fare una scelta per sè e sentirsi intrappolati? Spesso è difficile capire da cosa si resta intrappolati e dunque quale sia il senso di libertà possibile che ne deriva dall’uscirne.
Il sistema familiare è il sistema per eccellenza nel quale sperimentiamo le relazioni e i livelli di comunicazione , di conferma o meno del nostro valore. Si dice che dalla famiglia si esce con un idea di sè che può incidere su come ci vediamo, veniamo visti e ci posizioniamo nei vari contesti.
Nel processo decisionale inteso in maniera razionale come fa Newnan (1991), si parla di procedimenti attraverso i quali ci si può avvicinare a definire quale sia la scelta migliore:
- Identificare il problema
- Definire gli obiettivi
- Raccogliere i dati pertinenti
- Identificare le alternative praticabili
- Selezionare il criterio per valutare l’alternativa migliore
- Costruire il modello (stabilire le relazioni tra l’obiettivo, le alternative, i dati raccolti, e il criterio di valutazione)
- Stimare i risultati previsti di ciascuna alternativa
- Scegliere l’alternativa migliore con riferimento all’obiettivo dato
Oltre a tali procedimenti dobbiamo considerare l’incertezza presente nel processo decisionale e spesso dietro di essa si nasconde la paura di sbagliare e di soffrire. Un pò come accade nel paradosso dell’ “asino di Buridano”, il quale passeggiando su un prato ad un certo punto si imbattè in due bei mucchi di fieno entrambi ugualmente invitanti e non riuscendo a decidersi, passarono minuti, ore, giorni fino a quando l’asino morì di fame. Per uscire da tale dilemma dobbiamo ricordare che gli esiti e la loro previsione assoluta sono difficili da ottenere ma ci si può avvinìcinare, attraverso una attenta valutazione delle varie componenti del processo.
Oltre a tale visione razionale esiste una componente relazionale più faticosa da individuare e da gestire perchè legata ad esperienze del contesto familiare di origine e ad emozioni ad esse associate. Si può parlare di sistemi familiari che permettono di errare e altri che lo rendono più difficile; questo perchè dipende dai miti che prendono vito al loro interno e che si tramandono di generazione in generazione. Ad esempio famiglie con il mito dell perfezione tollerano poco l’errore e la modalità sia comunicativa che relazionale associata alle scelte può venirne influenzata. Esistono anche sistemi che permettono di sbagliare nei quali la semantica che si sviluppa al loro interno verterà su una modalità di sceltta più libera e meno vincolante.
Dunque oltre al processo decisionale anche il ruolo che abbiamo assunto nel sistema di origine può determinarne la facilità o difficoltà nella scelta; ad esempio persone che da sempre,per giochi familiari, si sono sacrificati e hanno portato avanti i desideri del nucleo familiare, saranno più in difficoltà e vivranno con meno libertà le scelte future, soprattutto quelle che si allontanano da tali miti. Invece le scelte che non tengono in considerazioni le relazioni e che vertono sul soddisfacimento personale potrebbero essere indicative di un sistema d’origine centratò sulla propria realizzazione personale al di là di vincoli e bisogni della famiglia. Queste sono solo alcune delle realtà famigliari possibili e c’è una situazione migliore dell’altra, piuttosto entrambe richiamano ad un idea di se legate alle relazioni, al sistema e dunque è importante riflettere su tali relazioni per comprendere tutti quegli aspetti che non rientrano all’interno del processo decisionale ma che vincolano l’individuo in esse. A prescindere dalle possibili posizioni del sistema attorno al significato della scelta e dell’errore è importante ricordare che i sistemi sani includono in essi un livello di flessibilità di ruoli, di appartenenze e di significati, in quanto essendo sistemi in interazioni costante tra le varie componenti devono poter modificarsi al loro interno.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa.
Crisi di coppia: separarsi bene è possibile?
“Ciascuno di noi possiede un linguaggio dell’amore, ovvero una modalità del tutto personale di esprimere i propri sentimenti e le proprie sensibilità. E non è detto che le due componenti della coppia parlino lo stesso linguaggio e intraprendono lo stesso gioco”.
Quando una coppia sceglie di intraprendere un percorso di terapia le emozioni che si susseguono possono essere svariate: collera, frustrazione, rabbia, tristezza, disperazione, speranza, e molte altre.
È importante innanzitutto lasciare spazio a tali emozioni proprio perché spesso chi arriva in sede di terapia, è reduce da periodi di silenzi (impliciti o espliciti), di detti e non detti che possono aumentare delle distanze già presenti nella coppia.
Anche la richiesta espressa verso il terapeuta può essere chiara o confusa “stiamo insieme o ci lasciamo” e dipende dalle premesse dei partner. Non sempre però’ si può lavorare verso lo stesso obiettivo, ci sono coppie che scelgono di stare insieme e si parla di scelta proprio perché non si deve dare per scontato che la coppia non sia una scelta: di stare insieme, di ridefinire ruoli e patti nella coppia, ma anche scelta di non stare più insieme pur con tutte le sofferenze ad esse legate.
È possibile parlare di una buona separazione?
È importante premettere che la soluzione migliore, ma non sempre possibile, in presenza di un figlio sarebbe quella di crescere con un padre e una madre uniti ma gli studi dimostrano come gli effetti di una unione infelice e altamente e costantemente conflittuale possono essere più deleteri sulla prole del divorzio in sé.
Certo è anche importante che ogni coppia faccia il possibile per ripristinare l’equilibrio coniugale, per poter ricostruire un clima favorevole e armonioso per la crescita dei due come coppia e dei figli, ma questo a volte non è possibile, non sempre cioè si riesce ad andare oltre il conflitto e a reinventarsi come coppia rigenerandosi di volta in volta.
La terapia di coppia può e deve poter considerare tutti gli scenari possibili: la separazione e’ uno di questi e può essere una scelta discussa, accettata, condivisa e sofferta; parlarne con un professionista può essere molto importante, diventando un contesto di crescita, discussione, costruzione di una nuova narrazione. Per questo e’ importante lavorare sul contributo reciproco verso la coppia e se pensiamo ad uno zaino che segna l’inizio di un viaggio si chiede “cosa si porta via reciprocamente di buono dalla coppia e dal partner“.
Non bisogna dimenticare che “si può smettere di essere coppia ma non si può smettere di essere genitori” ed è dunque ancora più importante “lasciarsi qualcosa” e riconoscerlo reciprocamente, al fine di salvare i legami familiari.
Cosa fare? In caso di un momento di forte crisi di coppia è importante poter parlarne e affrontare un percorso di coppia che consenta di arrivare ad una scelta consapevole ed esplicita.
Dott.ssa Lisa Sartori, psicologa e psicoterapeuta in formazione sistemico – relazionale.
La coppia e le sue fasi.
Appartenere a qualcuno significa entrare con la propria idea nell’idea di lui o di lei e farne un sospiro di felicità
(Alda Merini)
Per “coppia” si intende l’unione di due adulti che decidono di trascorrere la vita insieme con una collaborazione fattiva, una vita sessuale e un progetto condiviso; la coppia diventa così una “scelta” di vita. Essa nella sua nascita ed evoluzione è paragonabile ad un viaggio verso un progetto comune che implicatutti, come in tutti i viaggi, tappe, itinerari, rivisitazioni, pause, cambio di strade e fatica e soddisfazione.
Si parla di fasi evolutive perchè esse sono indispensabili per la crescita della coppia:
- Infatuazione: questa è la prima fase in cui prevale principalmente l’attrazione fisica, la chimica tra le persone, la passione erotica. Questa dinamica mette in atto in modo del tutto inconsapevole specifiche tipologie comportamentali dei copioni di personalità di ognuno. È la fase in cui si cerca di mostrarsi al meglio di quello che si è, tentando parallelamente di nascondere il più possibile i propri lati negativi, e in cui si cerca di capire quali sono i desideri dell’altro, le cose che piacciono e che appassionano, per poter conquistare. L’altro viene dunque principalmente idealizzato, visto nei suoi lati positivi e meravigliosi;
- Innamoramento: si approfondisce la conoscenza reciproca cercando di gettare le basi per la complicità attraverso i gusti comuni. È in questo periodo che si può iniziare a parlare di più del proprio passato e dei propri momenti dolorosi fungendosi reciprocamente da rifugio emotivo: è il momento migliore dunque per svelare le proprie vulnerabilità, posto che si abbia sufficiente coraggio e apertura al rischio per farlo, dato che mettere le proprie debolezze nelle mani di un’altra persona è un atto di coraggio, ma un atto fondamentale per iniziare a prendersi veramente cura di sé e della relazione. Si è ancora centrati su di sé: spesso i bisogni sono di affetto, protezione eattenzione.
- Differenziazione: è una fase cruciale perché mette veramente in gioco le due persone con le loro differenze sostanziali che, se rimanevano in secondo piano nelle fasi precedenti, adesso emergono in tutta la loro evidenza. Infatti, oramai usciti dalla fase dell’idealizzazione, si gettano via le maschere e si inizia a vedere la persona per ciò che ella realmente è, con tutte le sue debolezze, ferite, problematiche, copioni di personalità che possono parere incompatibili con i nostri. Emergono tutte le parti della propria personalità, comprese quelle che si tentava di nascondere e possono iniziare gli scontri tra le varie parti di sé dei due membri. Il gioco qui si fa decisivo: c’è chi resta e c’è chi va. È fondamentale in questa fase imparare ciò che sarà primario dopo, ovvero rispettare gli spazi dell’altro, evitare controlli e gelosie immotivati, mentre sarà fondamentale il dialogo, il creare più occasioni possibili per stare insieme, non solo nello svago, come era nella fase precedente, ma anche nella routine quotidiana, perché è in essa che dovremo vivere e solo in essa potremo misurarci davvero.
- Amore: superando la fase decisiva della differenziazione ci si trova nella fase dell’amore; una prima differenza con l’innamoramento e con l’infatuazione dato che essi arrivano all’improvviso, in un modo che te ne accorgi necessariamente. L’amore invece arriva discreto in punta di piedi, giorno dopo giorno, grazie alla continua costruzione, complicità, affettività, intimità e intesa che emergono piano piano dalla relazione e dell’avvicinamento reciproco. Piano piano, in un modo che è diverso da persona a persona, tale per cui per qualcuno ci vogliono anni, per altri bastano mesi, ecco che emerge un nuovo modo di vedere l’altro, superando il bisogno personale.
Ecco che il viaggio della coppia può continuare ma con presupposti maturi e che consentono di definire il patto di coppia e poter decidere di rivederlo in seguito a cambiamenti improvvisi, strade nuove da intraprendere, ma con la consapevolezza della presenza di una base sicura: la coppia.
Dott.ssa Lisa Sartori
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Il patto di coppia.
La vicissitudine del legame di coppia è la vicissitudine della confluenza tra i due patti che incontrandosi danno luogo a forme specifiche di relazioni di coppia (Vittorio Cigoli).
Nella creazione di una coppia i rispettivi partner attribuiscono un certo valore a tale legame, nel quale aspettative, bisogni, desideri, miti familiari trovano la loro massima espressione. A prescindere dalla natura “sociale” del legame (convivenza o matrimonio), la relazione si fonda su un patto fiduciario tra le due persone in cui si dà risalto all’intimità tra i partner. Per intimità si intende la capacità di ciascuno dei partner di manifestare all’altro ciò che prova, pensa e sente, aspettandosi di ricevere empatia, comprensione, condivisione e sostegno. La costruzione del patto fiduciario (o patto coniugale) genera, sviluppa e organizza la relazione.
Esso si forma:
• Attraverso la costruzione della realtà condivisa (vivere insieme significa condividere il tempo, le emozioni, le esperienze, la gioia, i dolori e le incomprensioni fisiologiche con un approccio dinamico ed empatico);
• Mediante un sistema di credenze condiviso (le credenze quali informazioni coscienti ed inconsce che abbiamo accettato per vere, che formano la struttura della nostra personalità e costituiscono la base del nostro comportamento e della nostra etica);
• Con una costante coscienza della realtà e la pianificazione del futuro (il progetto di vita insieme).
Si può affermare che la salute/malattia della relazione coniugale è data dalla prossimità tra patto dichiarato e patto segreto.
Il patto dichiarato può essere:
• fragile: se è povero di impegno;
• formale: se si basa sulle regole e su una rigida contrattualità. (molto diffuso nelle altre epoche storiche);
• assunto: se interiorizzato adeguatamente da un punto di vista cognitivo e affettivo.
Il patto segreto è il contratto segreto che comprende i bisogni, gli ideali, le aspettative che ciascuno dei due partner porta dalla sua storia personale e familiare e che ciascuno ambisce a soddisfare nella relazione coniugale. Può essere:
• impraticabile: quando i bisogni che i due partner sperano di soddisfare reciprocamente vengono sistematicamente disattesi;
• rigido: quando i partner non sono in grado di rilanciare il patto, cioè di fare il passaggio da “sposo in te questo”a “sposo in te quest’altro”. Perciò, esaurita la soddisfazione di quella particolare forma di incastro tra bisogni, il legame viene meno;
• praticabile: se i partner sono in grado di soddisfare i bisogni affettivi reciproci in modo flessibile, cioè il patto può essere rilanciato e riformulato secondo il mutamento dei bisogni e delle attese delle persone lungo il corso della vita.
Attraverso la conoscenza delle storie personali e familiari dei partner è possibile estrapolare l’incastro di coppia, ossia capire perché ciascun partner è funzionale all’altro, perché l’ha scelto, quali erano le illusioni, i desideri e cosa sceglierebbe ora, cosa non ha funzionato, cosa è mancato, di cosa avrebbe bisogno adesso e dunque dove si sono incistate le delusioni attuali.
A seconda della confluenza, la coppia sarà più o meno in grado di superare gli eventi critici che si presenteranno nel corso del ciclo vitale di tutte le coppie. Il modo in cui la coppia riuscirà ad affrontare tali eventi, dipenderà proprio dalla confluenza tra patto dichiarato e patto implicito.
È importante una riflessione reciproca su tale patto rendendo esplicito il patto segreto consentendo al partner di poter accettare consapevolmente la relazione, essendo essa in costante mutamento per le fasi che la coppia attraversa nella vita.

La terapia sistemica
La terapia sistemico – relazionale vede il disagio psichico come il risultato di uno squilibrio che si crea nei sistemi in cui l’individuo vive le proprie relazioni significative (tipicamente la coppia, il nucleo familiare, la famiglia allargata), creando tensioni emotive che posso condurre all’emergere del “sintomo”.Esso viene inteso in tale approccio come l’espressione di una disfunzione delle relazioni, nonché come una modalità di comunicazione. Ci si chiede: ” cosa ci vuole dire con questo sintomo? a chi si rivolge? quando è emerso?in che fasi si trova la famiglia?” tutte domande che si possono riscontrare in tale approccio e che servono per fornire una possibile ipotesi sulla sua funzione.
L’individuo attraverso il sintomo si fa portavoce di una istanza che coinvolge in realtà i vari componenti della famiglia. Ecco perché si parla di “funzione del sintomo” all’interno del sistema relazionale in cui l’individuo è inserito, indagando:
- posizione che la famiglia occupa rispetto al ciclo di vita;
- cambiamenti che sono avvenuti in concomitanza con la nascita del sintomo;
- storie famigliari e ruoli con cui ogni singolo membro è uscito dalla propria famiglia di origine;
- indagare la presenza di confini famigliari e i ruoli occupati;
- il significato che attribuiscono i vari membri al sintomo.
Proprio per tali aree di interesse, il campo di intervento maggiore è quello della terapia di coppia e familiare, mentre in individuale viene comunque mantenuto il focus di attenzione sui sistemi relazionali di riferimento, cercando di introdurre un nuovo livello di organizzazione, di comunicazione, sperimentando nuove modalità relazionali e comunicative e co – costruendo rete di significati.