
Coltivare la “resilienza” trasformando le difficoltà

Parlare di “resilienza” è sempre utile perché le difficoltà fanno parte della vita di ogni persona e ogni famiglia, quello che sicuramente cambiare è come esse vengono affrontate e utilizzate dall’individuo. La resilienza non è altro che la capacità di risolvere e affrontare le difficoltà e situazioni traumatiche della vita, riorganizzandole in positivo. Nessuno nasce con tale capacità ma si sviluppa nel corso della vita e anche attraverso la psicoterapia. Non stiamo parlando, dunque, di una resistenza passiva, di una reazione inconsapevole e automatica, ma di una risposta cosciente e ponderata che presuppone un orientamento alla crescita. Sviluppare resilienza e coltivarla è utile sia a livello relazionale, familiare, lavorativo e personale.
Se pensate a persone come Martin Luter King piuttosto che Van Gogh e vi interessate alla loro storia personale sicuramente vi accorgerete della forte dose di difficoltà che hanno dovuto affrontare e che probabilmente hanno gettato le basi delle loro conquiste, umanitarie e artistiche. Ecco che trasformare ciò che ci accade in ciò che ci trasforma e ci aggiunge un valore in più è possibile, attraverso alcune strategie facili da iniziare ad utilizzare.

Cosa ci consente di superare le difficoltà?
Problem solving. Voi vi starete chiedendo, cosa intendo per Problem Solving? Risolvere i problemi è una delle abilità sociali richieste per riuscire a migliorare la nostra vita. Più siamo flessibili maggiore sarà la nostra capacità di reinventarci e riorganizzarci rispetto agli eventi della vita. Per imparare a risolvere i problemi in maniera costruttiva, partite non da un problema gigantesco, piuttosto da piccole questioni. Prendete carta e penna e scrivete di impeto come affrontereste voi il problema e, successivamente, pensate ad altre persone e a come loro potrebbero risolverlo. Fate andare la creatività e l’immaginazione.
Obiettivi. Porvi obiettivi raggiungibili a breve vi consente di mantenere il focus sul presente e sul futuro e sperimentare l’autostima. Ogni scalino superato è un tassello in più per la vostra autostima. Nono ponetevi grandi obiettivi ma partite da piccole cose, pensate alla quotidianità.
Risorse. Ognuno di noi ha e che forse però non tutti conoscono di se stessi. Le risorse sono quelle capacità che siamo riusciti ad usare nel momento del bisogno e che ci caratterizzano. Ovviamente chi spesso non ha una buona stima di sé tende anche a non valorizzarsi e a non prestare attenzione alle proprie capacità. Quindi è importante pensare a momenti in cui siete riusciti a farcela, situazioni che avete superato o che sentite di aver gestito bene. Come per i precedenti punti sono le piccole cose che fanno da punto di partenza.
Relazioni. Sperimentarne di positive aumentano il benessere, ed averle non è sempre facile perché esse sono strettamente connesse a come ci siamo sperimentati nella vita familiare e come ci orientiamo nel mondo esterno. Ovviamente se abbiamo una bassa autostima probabilmente maggiore saranno le probabilità di vivere relazioni nocive.

Ecco alcuni elementi che possono aiutarti a potenziare la resilienza psicologica e che puoi provare a coltivare e sviluppare partendo da piccole azioni quotidiane come sopra riportate:
- Coltivare una visione positiva di te stesso
- Avere fiducia nei tuoi punti di forza e abilità e migliorare la conspevolezza
- Essere capace di fissare obiettivi realistici e misurabili
- Gestire le emozioni
- Comunicazione efficace
- Sviluppare abilità di problem solving
- Non giudicatevi
Non sempre è facile da sviluppare da soli, perché spesso sono troppe le idee disfunzionali che le persone sviluppano nella vita di sé e le esperienze vissute come negative. Ecco perché grazie ad un percorso di psicoterapia relazionale è possibile ripartire da sé e riscoprirsi con nuovi occhi.
Se vuoi altre informazioni o fissare appuntamento anche via online, scrivetemi!
Dott.ssa Lisa Sartori-Psicologa e Psicoterapeuta sistemico-relazionale.
“La paura di star male” al tempo del coronavirus.

In questo momento storico ci scontriamo quotidianamente con situazione di “allarme”, “emergenza” e di “paura” per ciò che ci risulta incontrollabile. Si è parlato di come “informarsi” in maniera adeguata ma non si è parlato di come può essere vissuta la “paura” e il “panico” anche in coloro che hanno una pregressa paura di stare male e delle malattie.
La paura di ciò che non conosciamo e dell’imprevedibile è una paura frequente nell’esperienza di vita umana che spinge le persone a mettere in atto atteggiamenti di evitamento e di fuga che sono meccanismi legati all’istinto e alla sopravvivenza ma che non sono del tutto funzionali al benessere della persona e alla sua guarigione. Questo perché più noi evitiamo una situazione più noi rinforziamo quella situazione, e le diamo più potere ed aumentiamo la paura.
Coloro che hanno un brutto rapporto con le malattie, vivono particolarmente a disagio controlli, visite e temono il contagio, in questo periodo sono maggiormente a rischio rispetto alla paura di star male e rischiano di sviluppare sensazioni come “panico” e ” paura” incontrollate.
Come riuscire quindi a gestire questo momento di panico che dilaga?
La cosa più importante è “imparare a mantenere la calma” anche se a parole non sembra facile diventa la soluzione migliore, e come si può ottenere?
- la buona informazione ( evitate social e notizie poco documentate perché non aiutano in questa situazione di confusione collettiva).
- Andate nei siti del ministero della salute o degli ordini, come ad esempio il link che allego qui dell’ordine degli psicologi è utile per dare la giusta informazione. https://www.psy.it/lordine-degli-psicologi-sul-coronavirus-indicazioni-per-cittadini-e-psicologi-supporto-alle-autorita.html
- Essere prudenti e avere del buon senso seguendo le indicazioni date come prevenzione.
- ricordate che il panico aumenta il pericolo non lo previene perché nel panico non si prendono le giuste decisioni ma siamo governati dalla paura
- quando senti che la paura diventa incontrollabile e che è una difficoltà già presente puoi chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta che ti aiuti a sviluppare strategie migliori alla gestione;
- In questo caso, L’emdr è una tecnica che funziona come “prontosoccorso per la mente” ew che consente alle persone di sviluppare le risorse necessarie per arginare il panico.
Per maggiori informazioni e per fissare un ‘appuntamento contattami.
Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta sistemica relazionale_ terapeuta emdr
Che cos’è il trauma psicologico e come superarlo con emdr.

Dopo un’esperienza traumatica, il sistema umano di auto-conservazione sembra essere in uno stato di allerta permanente, come se il pericolo potesse tornare da un momento all’altro.
(Judith Lewis Herman)
Il trauma psicologico non è raro ed appartiene all’esperienza di vita di tutti noi: esso rappresenta qualsiasi evento che una persona recepisce come estremamente stressante e bloccante, che sia una minaccia reale o percepita, che riguarda noi stessi o gli altri. VI sono diversi tipi di traumi ed essi vengono suddivisi in:
- Traumi con la T maiuscola, che riguardano l’incolumità della persona ( lutto, incidenti, ferite, calamità naturali, attentati)
- Traumi con la t minuscola, che hanno a che vedere con le esperienze più soggettive che ogni persona fa nella propria vita: violenze fisiche o verbali, giudizi, critiche, fallimenti…
Il trauma psicologico, essendo esso stesso personale e intimo, non è sempre facile da superare e ha un ruolo decisivo nello sviluppo della propria identita’. Ad esempio, se ho vissuto spesso situazioni di disprezzo o di svalutazione anche nella famiglia d’origine, quello che può accadere è che l’autostima non si sviluppi al meglio, che sia più facile pensarsi come incapaci piuttosto che come capaci o come coloro che non hanno risorse.
Questi eventi producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare: quando l’elaborazione del trauma psicologico non avviene naturalmente, spesso a causa di vissuti troppo emotivi e dolorosi, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano, e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il benessere della persona.
Quindi è come se il trauma restasse imprigionato nella memoria traumatica e incidesse con un malessere che continua nel tempo e che riemerge quando meno ci si aspetta, con eventi che possono richiamare anche alla lontana l’esperienza. Può quindi capitare che non si riesca sempre a trovare un collegamento tra l’esperienza traumatica e il vissuto attuale, ma ci sia bisogno di tempo e desiderio di scoprirne l’origine, detto ricordo originale.
Quindi come si può superare il trauma psicologico?
Diversamente da quanto si credeva un tempo in psicologia, non è utile il solo parlarne perché quello che è utile alla persona non è solo rievocare il ricordo ma rielaborarlo, riorganizzandolo in luoghi della memoria e delle emozioni più funzionali e meno dolorose. Ecco perché l’emdr è una tecnica che guarisce dal trauma, perché essa funziona andando a riconnettere i vissuti traumatici, i ricordi, con le emozioni e le sensazioni attraverso dei movimenti oculari bidirezionali che consentono al cervello di riattivare un processo di “auto-guarigione”.
Ecco che emdr non è una sorta di magia, ma si basa su studi scientifici e sul funzionamento di reti neuronali che consentono di mettere al centro la persona, con i propri vissuti e con le proprie fragilità andando a recuperare un processo di elaborazione del trauma che sia il più “naturale” possibile.
Inoltre l’emdr consente alla persona di sviluppare risorse e migliorare l’idea “negativa” su di sé al fine di renderla maggiormente positiva ed utile al proprio benessere.
La storia di Clara.
Clara (nome immaginario) viene in psicoterapia perché non riesce ad affrontare situazioni affettive, sente di non riuscire a decidere nelle relazioni anche perché crede di non avere nulla per cui vale la pena essere amata. Questo le genera una profonda sofferenza perché sente di non riuscire a sostenere una relazione, a portarla avanti e vorrebbe riuscire a costruire una famiglia.
Dalla raccolta della sua storia emergono esperienze traumatiche che, seppur ritenute “sottigliezze” da parte di Clara, sono la base delle sue attuali difficoltà. Costanti messaggi quotidiani dal padre rispetto a quanto non fosse brava, capace e che qualsiasi cosa facesse il risultato era che la colpa era la sua, sono un terreno fertile per un’incapacità in età adulta a costruire il proprio benessere.
Per prima cosa abbiamo lavorato per costruire una lista di esperienze che hanno segnato Clara, ordinandole cronologicamente e misurandone l’intensità del dolore ad esse associate. Successivamente si fornisce un “Posto Sicuro” che diventerà il luogo della persona che richiama sensazioni di calma e serenità da richiamare al momento del bisogno anche nella quotidianità. Infine si lavoro sugli aspetti traumatici e, con quanto riportato da Clara concludo questo articolo,.
” Il ricordo c’è, non lo posso cancellare, ma lo sento lontano. Prima mi accompagnava nella vita vita, nelle mie giornate e sento che ora ho la forza per superare le difficoltà.”
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale_ Terapeuta EMDR

Superare gli attacchi di panico
Ciò che non mi distrugge mi rende più forte
F. Nietzsche
Nell’attacco di panico la persona può sperimentare pericolo, perdita controllo e sentirsi in balia di situazioni ed eventi , anche con la paura di non uscirne più. L’attacco di panico per essere gestito e superato per prima cosa necessita di essere compreso a livello di significato e di funzionamento. Esso non è altro che la maggiore espressione dell’ansia e come tale esso a volte può essere al pari di una vera e propria esperienza traumatica. Prima di addentrarci su come superalo è importante sapere che l’ansia è il frutto di alcune componenti:
- cognitiva: ovvero i pensieri che mettiamo quotidianamente in atto e che possono influenzare il nostro modo di percepire la vita;
- somatica: il corpo si attiva al fine di proteggerci da potenziali minacce e situazioni di pericolo reale o immaginario che spesso sono il campanello d’allarme che attiva l’ansia;
- emotiva: insieme al pensiero e alla reazione corporea e somatica accade che si attivano le emozioni, come ad esempio la paura.
Nell’ansia può accadere che si attivi un circolo vizioso che porterà la persona a vivere un generale o specifico senso di preoccupazione che vincola il benessere e la ricerca di autonomia. Essendo una sorta di attivazione fisiologica spontanea di fronte al pericolo è importante, per prima cosa, ricordarci che possiamo “psico-educarci” all’ansia e cercare di gestirla. E’ utile per prima cosa comprendere che essa è frutto di pensieri, sensazioni ed emozioni che prendono il sopravvento e che assume un senso a livello relazionale. Successivamente si procede nell’elaborare e cambiare la relazione con l’attacco di panico attraverso l’emdr, una tecnica specifica ed indicata per il trattamento dell’attacco di panico in quanto esso viene considerato come “traumatico”.
Ecco che la persona vivrà con tale attivo un’esperienza che lo porta a temere che si ripresenti ed eviterà tutte le situazioni che potranno attivarlo, almeno anche a livello potenziale. Ecco che grazie alla tecnica emdr quello che accade è che andiamo a “desensibilizzare” il ricordo traumatico collegato all’attacco di panico e alla sua insorgenza partendo dal lavoro sul primo, più intenso e ultimo attacco di panico e andando a collegare emozioni, pensieri e sensazioni e riattivando un normale processo di guarigione che è previsto dal nostro funzionamento psicologico.
Questo perché l’emdr funziona attraverso movimenti oculari che consentono alla persona di riattivare la “comunicazione” tra emisferi cerebrali che di solito comunicano al fine di elaborare i vissuti traumatici ma, in presenza di un’esperienza di panico vissuta come traumatica, si blocca e si cronicizza come esperienza nella vita della persona che ne soffre.
Attraverso la psicoterapia è possibile superare l’ansia e il panico imparando a riconoscerne i segnali, mettendo in atto strategie di gestione e nuovi significati emotivi e relazionali collegati a tale esperienza, attraverso l’utilizzo di tecniche specifiche come emdr, in maniera efficace e risolutiva.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico relazionale

Guarire il trauma con Emdr
“Non essere completamente vivi nel presente mantiene saldamente imprigionati nel passato”
(Bessel Van Der Kolk)
Per trauma si intende, dal punto di vista psicologico una frattura causata da un evento talmente stressante da sovrastare le capacità della persona di gestire le situazioni e difendersi dal loro impatto negativo. I traumi possono essere molteplici e non solo fisici ma anche psicologici: trascuratezza, lutti, perdite, trasferimenti, abbandoni ecco alcuni degli eventi che possono condizionare il presente e futuro della persona.
Attraverso le esperienze negative la persone svilupperà anche un’idea di sé che sarà, nella maggior parte delle situazioni, coerente con l’immagine negativa di sé che l’evento richiama: non essere all’altezza, essere sbagliati, non valere ecc… Ecco che, con tali premesse, la vita presente e futura appare difficile e poco gratificante per la persona.
Cosa succede al corpo successivamente al trauma?
Quello che accade al corpo esposto ad una situazione reale o percepita di pericolo è quella di attivare le difese, di difendersi e di prepararsi alla prossima minaccia: è in tale situazione di allarme che la persona vive.
Cosa accade alla psiche?
Tendenzialmente quello che accade è che la mente aiuta la persona a difendersi da ricorsi troppo dolori e dunque avviene una sorta di “dissociazione” con se stessi e le proprie emozioni. I segnali sono:
- mancanza di ricordi e difficoltà ad accedervi;
- difficoltà nel vivere e riconoscere le emozioni pressoché assenti ma perché percepite come perciolose dalla persona;
- costante stato di allarme;
- idea negativa di sé;
- scarsa autostima;
- difficoltà relazionali.
Inoltre, essendo sempre in attesa, accade inoltre che qualsiasi situazioni possa riattivare esperienze passate traumatiche: lo stress, infatti, tende a disattivare le strutture del sistema nervoso centrale deputate alla memoria autobiografica (ippocampo), mentre quelle legate alla memoria emotiva (amigdala, talamo, corteccia sensoriale) trattengono i ricordi nelle primitive forme sensoriali ed iconiche.
Come superarlo?
La difficoltà maggiore per le persone che presentano esperienze traumatiche è “esserci nel presente” proprio perché imprigionati nel passato. E’ importante aiutare la persona non solo nel sentirsi libera di riprendere vissuti dolorosi ma di aiutarla a trasformarli in vissuti meno dolorosi e vincolanti. Ecco che al percorso terapeutico si aggiunge una tecnica decisiva e di impatto per il benessere della persona.
Grazie alla tecnica EMDR avviene un’adeguata elaborazione che consenta alla persona di “collegare” mente, corpo ed emozioni per elaborare e poter modificare il ricordo memorizzato trasformandolo da negativo a positivo. Oltre a questo si accompagnerà la persona nello sviluppo di risorse e scenari ipotetici futuri che possono bloccare al fine di sbloccare l’esperienza negativa e l’idea di sé negativa.
Per maggiori informazioni o per fissare appuntamento, contattami compilando il link contatti.
Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Relazionale_ Terapeuta EMDR

Uscire dalla dipendenza da sostanze con EMDR
“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù. L’unica differenza è che si paga con piacere e con un sorriso… anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime” Paulo Coelho
La dipendenza da sostanze ( alcol, marijuana, cocaina, eroina, crack, anfetamine, ecstasy, ketamina, speed…) è una forma patologica di abuso di sostanze che implica un’alterazione del comportamento che da semplice abitudine diviene una ricerca spasmodica del piacere attraverso sostanze, strumenti o comportamenti che conducono alla condizione patologica. Sia che si parli di dipendenza da sostanze sia che si parli delle nuove dipendenze ( internet, gioco, affettiva, sesso) esse hanno comunque alcuni aspetti in comune:
- Tolleranza: ovvero il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza ( oggetto della dipendenza) per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato, l’effetto è notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;
- Astinenza: la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza che si presentano come fisici e psichici;
- Craving o uso compulsivo: una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti. In questa fase, avviene l’interruzione o la riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa della dipendenza.
La dipendenza da sostanza inizia ad emerge fin dalla prima adolescenza ( pre – adolescenza) ed assume spesso un aspetto relazionale e di comunicazione all’interno della famiglia d’origine. Ecco che il giovane adolescente ottiene, per così dire, dei vantaggi secondari dall’uso delle sostanze come la gestione di emozioni dolorose e difficili da sentire e verbalizzare, legami esclusivi con i genitori o almeno con uno di essi e con la sostanza si ferma il tempo familiare: ecco che conflitti, ipotetiche separazioni vengono bloccate dalla dipendenza. Ma la dipendenza può emergere anche in età adulta, seppur già presente nel passato ma può esserci un momento della vita dell’individuo nel quale le sostanze assume un valore importante e decisivo per il presente e il futuro. Ecco che le relazioni e le normali attività ( ricreative e lavorative) cessano a poco a poco di esistere al fine di dedicare sempre più tempo alla propria illusione. Nella dipendenza il sintomo è soltanto la punta dell’iceberg: è invece fondamentale comprendere i motivi per cui la persona è incappata in una forma di dipendenza, indagando la sua storia personale e familiare, professionale, le sue relazioni, i suoi vissuti ed eventuali traumi. Senza fare questo, non è possibile trattare le dipendenze in modo efficace.
Come uscirne?
Per trattare le dipendenze è importante che vi sia la motivazione la trattamento nel caso di una richiesta individuale mentre, spesso negli adolescenti, la richiesta passa per la famiglia che allarmata richiede aiuto. Ecco che gli interventi di psicoterapia , seppur personalizzati, passano dalla presa in carica individuale, di coppia e familiare.
Quali sono i vantaggi dell’emdr nella psicoterapia per le dipendenze?
L’emdr è una tecnica specifica per lavorare sulle memorie traumatiche che persistono nell’individuo e che possono aver contribuito allo sviluppo della dipendenza. E’ stato dimostrato che persone dipendenti sono state esposte a traumi di natura sia psichica che fisica e che tali aspetti spesso nelle dipendenza si perdono perché vengono “soffocati” dalla sostanza. Sentire di non essere desiderati, amati, stimati o ascoltati possono essere solo alcuni delle fratture che persistono nella memoria di ogni individuo. Ecco che grazie all’emdr si ottengono buoni risultati sia sulla dipendenza come comportamento sia sulla dipendenza. A volte la dipendenza stessa porta con sé ricordi traumatici, legati alla storia di abuso e si può lavorare sull’astinenza attraverso diversi protocolli che aiutano la persona ad ascoltare la dipendenza a livello comunicativo e lavorare al fine di installare le risorse utili all’individuo per superare la dipendenza.
Ecco che il lavoro con Emdr all’interno della psicoterapia sistemico relazionale si può così riassumere:
- costruzione della storia individuale, familiare e della dipendenza;
- lavoro con emdr sull’astinenza;
- lavoro con emdr sui ricordi traumatici che necessitano della sostanza per essere controllati;
- si focalizzerà sul futuro, per preparare la persona ad affrontare le situazioni e gli eventi in modo sano senza ricorrere alla sostanza.
Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale

Come superare la paura delle malattie.
“Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”
Eraclito
La paura delle malattie è una paura del tutto normale ma per qualche persona diventa invalidante, difficile da gestire. Nei racconti di coloro che si definiscono “ipocondriaci” vi è una costante attenzione ad ascoltare le proprie sensazioni fisiche, come se vi fosse un costante stato di allerta frutto anche della costante attenzione: ecco che prende vita il circolo vizioso. Più mi ascolto e più avrò qualcosa da ascoltare: un respiro più faticoso del solito, un crampo, un dolore localizzato o generalizzato…
L’ipocondria è dunque una forma di “fobia” che spesso nasce da una sorta di pensiero “ossessivo” e da una ricerca costante di qualcosa da valutare e/o indagare.
Che cos’è l’ipocondria?
La caratteristica essenziale della ipocondria è la preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia. Questa è solitamente basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici.
Si può parlare di ansia di malattia (o paura delle malattie), ovviamente, solo se una valutazione medica completa ha escluso qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o sintomi fisici. Ecco che spesso coloro che soffrono di tale difficoltà arrivano in psicoterapia inviati spesso da medici di base, oppure da familiari preoccupati.
Una lettura sistemico-relazionale..
Ovviamente tale atteggiamento verso di sé non si apprende in maniera casuale ma, secondo l’approccio sistemico- relazionale, si inserisce all’interno di un sistema relazionale di appartenenza. Malattie vissute o assistite, morti o iper attenzione all’area medica da parte dei familiari sembrano essere comuni a coloro che soffrono di ipocondria. In particolare sembra dominare la “semantica della libertà” nei pazienti con disturbi fobici, ovvero sembra che le conversazioni familiari siano organizzate attorno al concetto di dipendenza e libertà. Ecco che le persone fobiche hanno una tendenza ad aver bisogno di un altro che funga da riferimento, da ancora di salvezza ma che diventa invece un vincolo alla libertà. Si è tuttavia liberi solo quando si è in grado di fronteggiare da soli un mondo pericoloso.
Come uscirne?
Ecco che il modo di superare l’ipocondria passa per due importanti step:
- aiutare la persona che arriva in terapia a sviluppare delle strategie che inizialmente gli consentano di gestire lo stato di attivazione e di ridurlo (emdr- prescrizioni paradossali); L’emdr consente alla persona di elaborare le esperienze traumatiche collegate all’ipocondria e alla paura al fine di desensibilizzarle e installare le risorse utili per la guarigione;
- cogliere il significato relazionale della paura che spesso riporta a relazioni vissute come vincolanti, preferenziali e con un limite immaginario dal quale la persona necessita e desidera superare ma che teme di essere libero di farlo.
Paradossalmente quando una persona arriva in psicoterapia ha tentato un certo numero di soluzioni e alcune, forse, per un po’ hanno anche funzionato, come ad esempio controllare ripetutamente in google, fare esami clinici, sentire diversi pareri medici, provare medicine alternative o chiedere costanti rassicurazioni… cosi come per l’ansia questo non fa altro che rendere l’individuo ancora meno in grado di percepirsi efficace nel superare gli ostacoli e di uscire dalle trappole mentali. Ecco che nella prima parte del percorso si cercherà di fornire a lui altre possibile strategie più incentrare sulla gestione della paura piuttosto che sul suo controllo. Inoltre comprendere il significato che esso ha nella sua vita relazione può essere il punto di svolta per dare voce al sintomo e arrivare al messaggio comunicativo che in esso è sempre incluso. A chi è destinato lo si scoprirà con la psicoterapia e con un lavoro su di sé e sulle proprie relazioni.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico relazionale.

Relazioni im-possibili.
“Una persona che si adatta completamente all’altra alla fine non piace poi così tanto”
Capita spesso che, nelle difficoltà relazionali, ciò che porta più spesso le persone in psicoterapia è l’incapacità di sentirsi in grado di mantenere una relazione, di scegliere la persona giusta e di scendere a compromessi. Tali situazione può dar vita ad una serie di domande che risuonano nelle mura dello studio e nella mente delle persone e che hanno dato vita a questo articolo: “Perché non riesco a mantenere una relazione?”, “Come mai alla fine finisco per fare come sempre, ovvero per stancarmi?”, “Vorrei poter essere tranquilla/o con una persona ma non ci riesco”, “Scelgo sempre le persone sbagliate, come mai?”…
La richiesta che viene fatta allo psicoterapeuta spesso è quella di avere delle risposte, una spiegazione il più chiara possibile di ciò che vincola la persona nella relazione. Quello che però, da un punto di vista terapeutico assume un significato decisivo, è comprendere da dove abbiamo imparato a reagire/comportarci/ relazionarci in un determinato modo perché gli incontri, la coppia e le relazioni non sono frutto del caso ma si formano in base ai bisogni psicologici e affettivi che ognuno sviluppa fin da piccolo e che spesso non sono consapevoli.
Quindi quando mantenere, costruire una relazione diventa difficile a cosa può essere dovuto?
- modalità di attaccamento insicuro/ambivalente: le figure di accudimento durante l’infanzia ( per svariati motivi) non sono riusciti a fornire una base sicura affettiva e su questa insicurezza si sono sperimentate le prime relazioni; paura dell’abbandono, sentire di non merita l’altro e di non meritare amore possono diventare pensieri che vincolano alla possibilità di vivere le relazioni;
- storia familiare: separazioni, conflitti , aspettativi e miti familiari possono condizionare la libertà di costruirsi una relazione duratura;
- paura delle relazioni e di stare nella coppia: stare nelle relazioni implica la possibilità di sentirsi in balia dell’altro, può portare alla perdita del controllo e necessità della gestione delle emozioni così come di un livello di consapevolezza emotiva;
- bisogni affettivi: cosa ci si aspetta dall’altro/a ( attenzione, cura, sostegno ecc…) rappresentano spesso i bisogni che ogni individuo riversa nell’altro ma senza comunicarlo all’altro, essendo spesso inconsapevoli. Essi però determinano chi ricerchiamo e come mai lo ricerchiamo, cosa ci gratifica e cosa ci infastidisce, e non è un caso.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che possono dare senso ad un ipotesi sul come mai sia difficile mantenere relazioni e diventa altrettanto importante comprendere che significato viene fornito a tale difficoltà dal conteso familiare, sociale e amicale nel quale in singolo individuo è inserito.
Come migliorare?
E’ sempre possibile migliorare ma è necessaria la consapevolezza e dunque fare un lavoro psicoterapeutico di costruzione della propria storia familiare, comprendere che ruolo o i ruoli che la persona ha dovuto o scelto di assumere con le relazioni significative e lavorare sui bisogni che spesso sono la chiave di svolta per migliorare partendo da sé stessi, senza aspettare che sia qualcuno a renderci sereni con noi stessi.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

EMDR: una terapia breve ed efficace per l’ansia.
“Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno ” (Cesare Pavese)
L’Emdr è una tecnica che nel percorso terapeutico viene utilizzata per il trattamento di situazioni traumatiche che riguardano, sia situazioni vissute o accadute come anche aspetti ed esperienze relazionali che hanno lasciato un segno nella memoria. Con tale tecnica di desensibilizzazione attraverso una stimolazione alternata dell’emisfero quello che accade è che si và a riattivare il normale processo di elaborazione che la nostra mente produce ma che, quando percepisce qualcosa di troppo doloroso, blocca e non porta a termine. Questo fa si però che resti impresso nelle memorie dell’individuo e che si possa riattivare in situazioni simili o ad esse collegate. In questo articolo parlerò della mia esperienza clinica come psicoterapeuta sistemica – relazionale che utilizza tale tecnica (emdr) al fine di superare l’ansia in maniera breve ed efficace.
Cosa intendiamo per ansia?
L’ansia è una normale risposta di attivazione dell’organismo ad eventi stressanti e non ha sempre aspetti negativi, in quanto essa è anche adattiva dal momento che ci prepara a un pericolo potenziale e ci dice che dobbiamo fare attenzione. Il panico è la maggiore espressione del panico. Non è quindi del tutto negativa e il come viene vissuta dipende dalla capacità di gestione. Inoltre essa assume anche un valore a livello della famiglia e il suo significato varia anche in base alla fase del ciclo di vita.
Come si può utilizzare per il trattamento dell’ansia?
L’emdr offre anche l’occasione di lavorare con la persona nel potenziare le capacità personali e le risorse individuali, per riuscire a superare ed affrontare le sfide della vita quotidiana con maggiore gestione e tranquillità, lasciando da parte l’ansia e non rendendola controllante.
Il lavoro psicoterapeutico prevede la rielaborazione di tutte quelle esperienze angoscianti legate alla storia della persona e che possono essere causa della sintomatologia ansiosa: si lavora dunque sugli eventi precedenti l’ansia e che in qualche modo ad essa sono collegati, ma senza agire direttamente su di essa perché la riduzione avverrà di conseguenza al superamento di difficoltà precedenti.
Si possono installare ( termine tecnico) risorse utili alla persona per superare un evento, situazione, fonte di stress lavorando anche sul futuro e su una situazione immaginaria.
Come avviene la psicoterapia?
Successivamente alla presa in carico individuale ci saranno circa 2/3 incontri dedicati alla costruzione delle basi del lavoro, attraverso la storia del problema e la storia familiare in quanto indispensabile per poter risultati duraturi ed efficaci. Inoltre si procederà con installazione di risorse e lavora con emdr su eventi/ situazioni ansiogeni o vissuti personali ad essi collegati. La cadenza degli incontri nella fase di lavoro intensiva sarà settimanale per poter lavorare in maniera efficace fin da subito.
Dott.ssa Lisa Sartori _ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Terapeuta EMDR