
Disturbo ossessivo da relazione
E’ la persona giusta oppure no? M’ama non M’ama? Mi vorrà o no?
Dubbi di questo tipo circa la propria relazione sono a volte presenti nella vita di tutti i giorni e possono capitare in qualsiasi momento della relazione stessa.
Il disturbo ossessivo compulsivo da relazione è un disturbo molto diffuso che consiste nel domandarsi costantemente se siamo o meno innamorati del nostro partner; Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione è un sottotipo di DOC, Disturbo Ossessivo Compulsivo che si manifesta attraverso dubbi ossessivi e preoccupazioni riguardo le relazioni sentimentali.
Ciò che rende tali dubbi invalidanti, non sono tanto il contenuto del dubbio quanto il processo e il tempo dedicato ad esso: in presenza di questo disturbo ossessivo da relazione ti trovi di fronte alla quotidianità che è centrata su questi costanti dubbi. Il tempo, le attività, la socialità e anche il lavoro vengono pervasi da tali dubbi, rendendo per la persona che ne soffre impossibile concentrarsi su ciò che dovresti fare.
Non si parla dunque di amore ossessivo o ossessione d’amore quanto piuttosto di un vero e proprio “disturbo ossessivo-compulsivo” che ha come oggetto le relazioni.
Cosa si intende per Disturbo Ossessivo Compulsivo da relazione?
Nel disturbo ossessivo-compulsivo da relazione si distinguono due tipologie di sintomi, anche se in molti casi si presentano assieme:
- centrati sulla relazione: la persona si interroga su quanto sia “giusta” la propria relazione e ha dubbi sui propri sentimenti verso il partner o viceversa, sui sentimenti del partner verso di sè,
- focalizzati sul partner: le ossessioni consistono in preoccupazioni eccessive rispetto a difetti percepiti nel proprio partner in vari ambiti: intelligenza, moralità, socievolezza e aspetto.
Potresti giudicarlo e preoccuparti per alcune caratteristiche fisiche o per altre qualità come l’intelligenza oppure ancora la mancanza di alcune qualità sociali piuttosto che morali. Potresti osservarlo, giudicarlo e paragonarlo con altre persone per la sua pancia, per come se la cava in mezzo alle persone quando uscite, per il suo lavoro, ecc.
Quali sono i sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo da relazione?
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da relazione è un disturbo invalidante e spesso le persone che ne soffrono sentono di spendere tutte le energie sulla relazione, ma non in quanto investimento ma come “pensiero”.
I sintomi tipici sono un continuo rimuginare sulla propria relazione, chiedendosi se effettivamente si ama o meno il proprio partner “lo amo o non lo amo?” a cui proviamo a dare una risposta che però non riusciamo mai a trovare, anzi, ogni volta che troviamo una risposta parte una nuova domanda.
I sintomi, nello specifico, possono essere:
- incapacità di concentrarsi
- ansia costante
- confusione mentale
- attacchi di panico
- ansia da relazione di coppia
Quali sono gli effetti del Disturbo Ossessivo da relazione?
Questo tipo di disturbo, oltre a creare alti livelli di ansia e disagio in chi ne è affetto, porta a conseguenze negative sulla relazione con il partner: la continua richiesta di rassicurazioni può creare tensioni e incomprensioni, gli evitamenti limitano la vita di coppia e nei momenti di scelte come convivenza, matrimonio, figli, i sintomi posso aumentare ed aggravarsi.
Come uscire dal Disturbo Ossessivo da Relazione?
Si pensa che per superare le cose si debba per forza capirne le origini … in parte sono d’accordo con questa idea anche se ritengo che spesso la persona che soffre di ossessioni ha maggiormente bisogno di “ridurre” il pensiero ossessivo per giungere alla genesi del motivo che ha portato a sviluppare alcune modalità relazionali.
Sicuramente la scarsa autostima, credenze disfunzionali sulla relazione e una scarsa comunicazione non aiutano la persona che soffre di queste ossessioni a tenerle sotto controllo.
Ecco che il miglior modo per superare tali ossessioni è ripartire da sè, gestendo in primis il pensiero con tecniche specifiche.
Successivamente si può lavorare attraverso EMDR e Terapia sistemica relazionale per comprenderne il significato e costruire una nuova modalità di vivere le relazioni.
Se senti di avere questa difficoltà o desideri avere maggiori informazioni, contattami al 349.7867274 o via mail a psylisasartori@gmail.com.

Il potere positivo del dire “NO” nelle relazioni
Per molte persone non è facile dire “NO” e può portare loro anche a vivere situazioni scomode e poco utili in diversi ambiti della vita: famiglia, relazioni, coppia, ambito sociale e lavorativo. Come dico spesso in psicoterapia: “E’ fondamentale imparare a mettere un punto dove prima mettevi una virgola, perché ti consente di porre fine ad alcune sofferenze e ti permette di sviluppare autostima”.
Come mai è così difficile dire NO?
Per molte persone la parola “NO” viene vista come una sorta di “imposizione” o anche come un’affermazione negativa, il tutto spesso in contrasto con la tendenza a prediligere la “disponibilità” e la “gentilezza”che si crede siano legati al dire “SI”.
Dire “NO”, in realtà, è una capacità relazionale indispensabile per creare relazioni efficaci.
La difficoltà nel dire “NO” è però principalmente legata ad alcuni aspetti:
- La storia Familiare: se hai avuto esperienze familiari che ti hanno impedito di affermarti, oppure che ti hanno insegnato che è importante “essere accondiscendenti”, “buoni” e “sacrificarsi” è molto probabile che tu possa sentirti in difficoltà nel dire “NO”, proprio perché da un lato non sei abituato e dall’altro potrebbe farti paura.
- Il senso di colpa: è l’ingrediente indispensabile per farti fare o vivere situazioni che se potessi eviteresti. Questo lo si apprende sempre da esperienze passate, anche ripetute negli anni, laddove una decisione presa per te anche piccola, veniva bloccata dal senso di colpa.
- Dire “No” vuol dire “definirsi “ nella relazione: ovvero mettere dei confini importanti per tutelarci nella relazione con l’altro, a prescindere dalla sua natura.
- E’ collegato all’autostima: imparare a dire “No” la fa aumentare.
Il valore del “NO” nelle relazioni di coppia
Non dire “NO” può essere alla base di una difficoltà a vivere serenamente una relazione di coppia. Questa difficoltò può partire spesso da piccole cose come, ad esempio, il sentirsi in difficoltà a dire “NO” anche ad una semplice cosa che non vorresti fare per paura di dare un’immagine di te non adatta o per paura dell’abbandono.
Quello che accade però, così facendo, è che impedisci alla persona di conoscerti per quello che sei e per i tuoi confini: dicendo sempre “SI” darai all’altro il potere di abbattere qualsiasi confine nei tuoi confronti e ti renderai “disponibile”. Ovviamente per te o per l’altro questo sarà positivo e così lo sarà sicuramente, ma non può essere così a lungo termine! Soprattutto perché ciò può portare a non riuscire a “chiudere” una relazione quando non sarà più sana o quanto ti far vivere dimensioni di coppia che non hai scelto e che, a lungo andare, potresti sentire come pesanti e finire per subirle. Ad esempio, è molto importante imparare a dire “NO” per chi soffre di dipendenza affettiva.
Gli effetti positivi nel dire “NO”, validi nelle relazioni di coppia, li puoi estendere anche alle relazioni lavorative o alle relazioni amicali: non darti per scontato in qualsiasi ambito della tua vita perché se lo farai tu lo potranno fare gli altri.
Come imparare a dire “NO”?
Ecco alcuni semplici passi:
1. Ricorda che non ci vuole un buon motivo per dire di NO;
2. Accetta i tuoi limiti personali e relazionali;
3. Supera il senso di colpa;
4. Ricorda che il NO ti aiuta ad evitare il risentimento;
5. Ricorda che dire “NO” aumenta la tua autostima. Fai l’esercizio dello specchio: mettiti tutti i giorni di fronte allo specchio per almeno qualche minuto e , osservandoti, prova a dirti parole positive e dirti quali sono le tue risorse e abilità.
Ecco che, alla luce di quanto detto, nelle relazioni è importante dire “SI” così come dire “NO” laddove necessario: è il giusto mix tra queste due parole che ti aiuterà a vivere una relazione sana.
Se vuoi saperne di più o vuoi fissare un appuntamento con me, chiamami al numero 349.7867274 o scrivimi una mail a psylisasartori@gmail.com
Difficoltà psicologiche: l’influenza della storia familiare

Parlare di Famiglia vuol dire parlare inevitabilmente di storia familiare e di relazioni che ne scandiscono la vita. In questo articolo voglio aiutarti a comprendere il reale potere della storia familiare. Lo faremo grazie ad un libro di Valeria Ugazio, “Storie permesse e storie proibite”.
Quando una persona inizia un percorso di psicoterapia porta sicuramente con se uno stato di malessere. Contemporaneamente, però, verrà in psicoterapia anche con un desiderio. Per fare in modo che il desiderio si trasformi in realtà, è importante che io ti aiuti a trovare le STRATEGIE più giuste per gestire al meglio le difficoltà. Nel contempo devo però anche condurti a comprendere il SENSO del tuo malessere, valutando anche il peso che hanno le relazioni che vivi. Ha infatti poco senso parlare solo di “difficoltà individuali”, soprattutto nella mia ottica di psicoterapia sistemica – relazionale. Questa scuola di psicoterapia basa infatti le sue fondamenta sulle interazioni umane.
Di fronte a me, in seduta di psicoterapia, ho sempre la persona che “soffre” ma non posso non valutare anche chi, indirettamente, viene comunque portato in psicoterapia.
In questo modo, incontro dopo incontro, costruiamo insieme la tua storia familiare e nella sua costruzione troveremo aggettivi, impressioni, narrazioni che mi aiutano ad accedere ad un significato maggiore. Anche dalle parole che tu userai in psicoterapia, che si ripeteranno nella narrazione e alle quali ovviamente tu non farai particolarmente caso, si possono collegare alcune specifiche difficoltà, detti sintomi, come spiega Valeria Ugazio nel suo Libro.
Il COME costruiamo una conversazione, le parole che utilizziamo, vanno a definire la nostra realtà sociale e soggettiva. Il libro parla, in particolare, di polarità semantiche: “le polarità semantiche familiari esprimono un ordine morale che prende posizione rispetto a valori. Gli ordini morali attribuiscono una polarità positiva o negativa ai comportamenti del contesto di riferimento”. Valeria Ugazio ha cioè notato che, osservando molte famiglie diverse, coloro che vivevano difficoltà, ad esempio di tipo depressivo, avevano sempre diversi elementi in comune.
Questo implica che, per determinati sintomi psicologici, esistono sempre delle “polarità” che hanno origine in storie di vita corrispondenti.
Disturbi psicologici: quali storie le accomunano?
LA DEPRESSIONE è una storia di appartenenze negate. Non è inconsueto trovare questioni economiche, eredità negate o conflittuali, lutti o traumi che hanno portato la famiglia a confrontarsi con il tema dell’appartenenza, e che portano l’individuo “depresso” a fare i conti con l’essere fuori posto, non riconosciuto a livello familiare.
Il DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO è una storia di lotta tra bene e male. In queste famiglie vi sono spesso avvenimenti, giudizi, critiche o anche solo ruoli familiari che portano ad una contrapposizione tra bene e male . Qui abbiamo una conversazione basata sull’essere buoni/cattivi.
L’ANSIA e la FOBIA sono una storia di libertà. Essere liberi in queste famiglie non è facile perché spesso ciò è vissuto come pericoloso o come negativo, associato spesso anche a difficoltà familiare nella riorganizzazione. Qui abbiamo una conversazione basata su libertà-dipendenza
IL DISTURBO ALIMENTARE è una storia di potere. Nella conversazione delle famiglie con tali problematiche emerge spesso la semantica del potere e della forza, diventa una sorta di lotta di potere. D’altronde spesso è colui che ha la difficoltà a orientare anche le scelte alimentari familiari e a intensificare paradossalmente il bisogno di cura. Qui abbiamo una conversazione basata sul forte e debole
Storie familiari: come usarle per guarire?
Accedere alla conversazione familiare, alla sua storia è un atto liberatorio per la persona che soffre. Quando la persona che inizia una psicoterapia comprende la sua storia familiare, riuscirà per la prima volta a collegare i suoi sintomi ad un “senso superiore” e viversi come parte di una “storia familiare”. Non ci sarà nessun colpevole in tutto questo. Si riusciranno però a fornire dei significati e questo aiuterà in modo decisivo a dare una voce ed una ragione al sintomo, privandolo del suo potere relazionale.
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Come superare la fine di una relazione per poter ricominciare.

Vivere in una relazione di coppia non è sempre facile, non è indolore ed è spesso in costante evoluzione.
Ecco perché affrontare la fine di una relazione è un passo indispensabile per la salute psicofisica: anche se siamo portati a sperare nelle relazioni durature sempre più spesso ci possiamo scontrare con realtà di separazioni, divorzi, o convivenze interrotte. Come dico sempre in psicoterapia, pensare che una relazione non sia per sempre è utile soprattutto nel momento in cui ci porta ad essere individui in costante evoluzione e quindi a percepire l’impegno che dobbiamo e possiamo mettere dentro alla relazione.
Infatti quando ascolto storie di legami disperanti (legami nei quali la separazione è impossibile nonostante il malessere presente) sento l’impossibilità di queste persone a pensarsi senza l’altro. Oltre a essere frutto di storie familiari pregresse e di funzionamenti anche personali, quello che emerge è che sicuramente vi sono relazioni simbiotiche nelle quali è spesso difficile ritrovare se stessi anche solo l’idea di potersi separare dall’altro.
Quindi ritengo sempre molto utile non dare nulla per scontato, curare il rapporto di coppia, curare la relazione e aver cura di sé all’interno della coppia: ritengo che questi sono gli ingredienti per un legame duraturo.
Ma non è sempre facile o reale fare in modo che un legame continui nonostante l’incapacità di far funzionare diversamente le cose, incapacità che a volte può essere di entrambi, solo di una persona oppure anche frutto dell’amore o dell’innamoramento che sparisce.
Come superare quindi una separazione quando non siamo noi a sceglierla?
Superare la fine di una relazione soprattutto quando non è una scelta condivisa è spesso molto complicato per entrambi le parti. Ad esempio colui che può aver scelto di chiudere la relazione si è assunto la responsabilità di porre fine ad un legame magari precedentemente anche molto importante, mentre colui che subisce la scelta spesso sente di non averlo chiesto e di non avere basi sufficienti per razionalizzare la scelta. In particolare in quest’ultima occasione quello che accade è che non si riesce nella fase iniziale della separazione a vedere i motivi oggettivi che hanno spinto l’altra persona interrompere la relazione e non si riesce a trovare un senso.
Per superare la fine di una relazione per prima cosa è importante darsi del tempo per metabolizzare l’accaduto: è una fine a tutti gli effetti e soprattutto è una fine che può assumere l’aspetto di un fallimento soprattutto nel momento in cui vi era in atto un progetto di coppia oppure anche di famiglia. In psicoterapia infatti dico spesso che la fine di una relazione è come un lutto e come tale necessità di tempo per essere elaborato e metabolizzato.
Contemporaneamente al tempo che vi concedete per superare questo momento difficile, è importante ripartire da sé in quanto siamo noi stessi il perno su cui poi ruota tutto, nel bene e nel male. Quindi riprendere vecchi contatti, piuttosto che impiegare il tempo per fare delle attività che avremmo sempre voluto fare, dedicarsi allo sport e attività ricreative come ad esempio l’arte o la fotografia sono attività che curano l’anima e che facilitano lo sviluppo di un pensiero creativo utile per superare momenti di difficoltà.
Per fare questi pochi passi ma spesso molto complessi ciò che può facilitare la persona a metterle in atto è sicuramente una certa dose di autostima e soprattutto il sostegno a livello relazionale. Sicuramente però questi sono aspetti che possono non esserci sempre ma possono essere sviluppati perché sono il frutto di esperienze anche pregresse nella vita di ogni persona, e se vi era anche una relazione duratura da diversi anni ovviamente necessario pensare di dover riorganizzare non solo se stessi ma anche il modo in cui si viveva è il mondo che ci circonda.
Quali sono brevemente gli ingredienti utili a superare in maniera efficace l’interruzione di una relazione?
1. Una sana dose di autostima: essa si può sviluppare e non è scontato che ci sia nella vita delle persone perché collegate alle esperienze che abbiamo passato.
2. Risorse personali: più siamo consapevoli di quali sono le risorse che ci caratterizzano, come la determinazione piuttosto che la forza o la costanza è più riusciremo ad utilizzarle nel momento della difficoltà
3. Una rete relazionale: superare una relazione ed essere soli e sicuramente diverso da superarla e sapere di avere delle relazioni su cui poter affidarsi e nelle quali trovare un posto sicuro.
Qual possono essere i fattori bloccanti l’accettazione?
Sicuramente ci sono due aspetti molto importanti che possono andare a complicare l’elaborazione della fine: il fatto di essere innamorati o di amare la persona, e soprattutto non essere consapevoli di quale fossero gli aspetti critici della relazione.
Oltre a questi c’è anche un tema molto curioso che il tema del controllo ovvero il fatto che subire la fine di una relazione e implica, per coloro che spesso vivono dentro una logica del controllo averlo perso in questa relazione in questo legame. non accettarlo sarebbe paradossalmente un modo per mantenere il controllo in questa relazione seppur in maniera illusoria.
È importante sottolineare che la separazione non è uguale per tutti ma dipende, nel modo in cui la viviamo e viene vissuta, dalla fase del ciclo di vita nella quale è la persona si trova. Conoscerla importante perché come terapeuta mi aiuta a dare una visione di insieme e spesso sistemica di quanto accade utile alla costruzione del percorso terapeutico
Se senti di avere delle difficoltà a superare la fine di una relazione, o senti di non avere sufficiente risorse ho autostima per pensare di potercela fare contattami in modo da poterci lavorare insieme oppure per avere anche delle informazioni.
Crisi di coppia e genitorialità: quali sfide per i genitori con figli adolescenti

La coppia, nel corso della sua formazione e nel ciclo di vita, è come una corsa ad ostacoli: il percorso è chiaro ma le prove da superare ci sono e a volte non sono così semplici. C’è bisogno di allenamento per superarle e più la coppia si da per scontata più sarà faticoso superarle.
Ogni coppia ha una sfida da portare avanti in base al ciclo di vita e alla presenza o meno di figli: coloro che hanno figli adolescenti entrano con loro nella fase detta del “nido vuoto”. E’ la fase nella quale molti genitori entrano in crisi perché sentono che il proprio ruolo, la propria presenza non è più cos’ ricercata dal figlio che via via tende a muoversi sempre più verso l’esterno. E’ una fase critica perché, come dico spesso in terapia, fa emergere il funzionamento della coppia genitoriale e coniugale. Ad esempio se pensiamo ad una coppia in crisi, dove uno dei due genitori si concentra molto sulla genitorialità in modo da sfuggire anche alla coppia e all’altro, durante l’adolescenza questo funzionamento sarà messo in crisi dai continui scontri con i figli e dalle richieste sempre più difficili da gestire in solitaria. Questo è solo uno dei possibili esempi di coppie che ho seguito e con le quali la crisi si manifesta anche attraverso la crescita dei figli.
Quali sono i compiti per i genitori con figli adolescenti?
- essere un punto di partenza per scoprire il mondo, la propria identità ed esplorare
- essere un punto di ritorno sicuro e presente anche quando il figlio sbaglia
- essere genitori che riescono ad accordarsi sulla gestione del figlio, in modo da non mandare messaggi contraddittori e che lasciano spazio alla coppia in conflitto o in crisi
- recuperare alcuni spazi di vita di coppia che , fino a poco prima, erano difficilmente realizzabili ( tempo libero, cura della coppia, condivisione, intimità…)
- investire su di sé e sulla coppia coniugale
Quali difficoltà possono presentarsi?
Più la coppia è riuscita a mantenere uno spazio di coppia sano, a prendersi cura delle diverse aree in modo da non fare solo i genitori, maggiormente saranno in grado di fare fronte compatto a tale fase.
Questo è un momento nel quale è molto difficile per le coppie in conflitto, insoddisfatte o in crisi, nascondere tale situazione che troverà lo sfogo spesso nella gestione dei figli, anche per piccole decisioni o gestioni. Potrebbe verificarsi un aumento dei conflitti con figli e con il coniuge/compagno, alleanze tra genitori e figli contro un altro genitore, conflitti tra generazioni diverse (nonni, genitori e figli) e tra fratelli. Ci tengo a precisare che questi conflitti non sono assenti ma fanno parte della fase di vita della famiglia, ovvio che l’intensità con la quale si manifestano è decisamente maggiore più la situazione è complessa tra i genitori.
Come rendere tutto più facile?
Un percorso di coppia o un sostengo alla genitorialità aiuta non solo i genitori, ma anche i figli a vivere una situazione decisamente migliore e diventa un fattore di protezione per tutto la famiglia. Quindi la fase adolescenziale dei figli può essere anche occasione di crescita per genitori che si sono allontanati, trascurati e poco confrontati.
Se desideri avere maggiori informazioni o prenotare un colloquio insieme per valutare un possibile percorso di coppia e genitoriale, contattami al 349.786.7274 o via mail a psylisasartori@gmail.com.
Dipendenza da smartphone: l’intruso nella coppia

Essere connessi ai giorni d’oggi è diventato del tutto automatico e spontaneo anche all’interno delle relazioni, dando per scontato spesso il modo nel quale viviamo le relazioni e comunichiamo. Ecco che parlare di coppia, ad oggi, non può escludere un terzo che diventa spesso scomodo: si tratta dello smartphone.
Le dipendenze attuali non sono solo dipendenze da sostanze, ma appartengono a quelle che vengono definite come dipendenze comportamentali: Sesso, gioco d’azzardo, internet, smartphone… Sono alcuni dei più conosciuti comportamenti che appartengono al mondo delle dipendenze. Soprattutto per quanto riguarda internet o lo smartphone, essendo diventato parte della nostra quotidianità tendiamo a non riconoscerne l’effetto anche nocivo dell’uso eccessivo dal momento che ci possono allontanare dall’incontro con l’altro, e costruire quindi relazioni più virtuali e meno reali.
Si parla quindi di dipendenza da smartphone e di come essa sia nociva per l’andamento della coppia, non in termini generali, piuttosto in termini di uso eccessivo e dipendenza. Se pensiamo ad esempio allo smartphone come ad un terzo nella coppia, quello che accade è che andrà comunque ad incidere sul clima di coppia, sulla capacità di comunicazione e di relazione che il singolo partner può sviluppare all’interno della coppia. Si parla di pubbing ovvero snobbare, indicando l’azione di ignorare o trascurare chi si ha davanti in carne e ossa, per dare precedenza e attenzione al proprio cellulare e al mondo che esso contiene.
La dipendenza dal cellulare toglie attenzione e tempo al partner, ma intacca anche il fronte della fiducia e dell’autostima, perché trasmette la sensazione di non riuscire a suscitare più interesse. Essere sempre connessi ci porta a dare più interesse all’oggetto della dipendenza, ad esempio smartphone, piuttosto che alla relazione. Ad esempio nella vita quotidiana succede spesso che lo smartphone sia presente nei momenti come la cena, i momenti di aperitivi o di ritrovi con amici, così com’è nell’intimità di coppia: lo guardiamo prima di andare a letto ed è la prima cosa che guardiamo da svegli.
Quali sono i segnali di una dipendenza da smartphone?
- La persona media controlla il suo telefono 110 volte al giorno.
- Tre quarti di persone controllano le notifiche al cellulare come prima cosa appena si svegliano.
- Il 61 percento dorme con il telefono acceso, vicino al letto.
- 1 su 3 utenti di smartphone si svegliano la notte per controllare i loro telefoni (è del 50 percento per le persone da 18 a 24 anni).
Quali sono gli effetti della dipendenza da smartphone sulla relazione?
Come abbiamo visto, alcuni effetti sulle relazioni riguarda ad esempio la capacità di comunicare e di coltivare la relazione, ma a livello individuale può accadere di avere scarsa autostima, ridotta fiducia e l’occasione buona per litigare: molte coppie parlano di questo smartphone come di un proprio e vero amante, come se fosse un intruso nella coppia.
Sicuramente dobbiamo pensare alla dipendenza o all’uso esagerato di internet o social come il frutto di un malessere individuale e/o relazionale, spesso non facile da verbalizzare e lo si fa attraverso un sintomo. Il voler rimanere costantemente connesso ci porterà paradossalmente ad essere scollegato dalla realtà e poco attento ai bisogni dell’altro; così facendo, si può risultare sgradevoli agli occhi degli altri e si faticherà a mantenere legami e relazioni positive. Essere troppo attaccati al telefono, infatti, aumenta il rischio di isolamento e solitudine: pur nell’abbondanza di contatti virtuali, chi passa il tempo sul proprio smartphone riduce via via quelli reali e autentici.
Come uscire dalla dipendenza da smartphone?
Come tutte le dipendenze per uscirne il primo passo è riconoscere di avere un problema e farsi aiutare. Non è semplice uscirne da soli e spesso è molto più efficace per le dipendenze l’intervento familiare o di coppia in quanto consente di rendere più efficacie l’intervento.
Come coppia è importante agire insieme per costruire regole sane di convivenza e di relazione. Per prima cosa è utile una “zona smatphone free” ( soggiorno, camera da letto o cucina possono essere alcune aree tutelate dalla presenza dell’intruso); questo vi aiuterà a tutelare lo spazio di coppia e a migliorare il clima emotivo.
Usa lo smatphone per migliorare la qualità di vita e quindi dedicati ad attività di meditazione o rilassamento da fare anche in coppia, condividendo video o usando il cellulare per tenere sotto controllo i costi della gestione domestica ( dare una funzione altra al cellulare consentirà di non dedicarsi eccessivamente alla funzione più relazionale).
Come nella maggior parte delle difficoltà di coppia, chiedere aiuto ed affrontarle in un contesto terapeutico è sicuramente l’intervento maggiormente utile per lavorare sia sulla dipendenza che sugli aspetti relazionali.
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“A mali situazioni, l’arte e le sue soluzioni”: alcuni esercizi per ridurre stress e ansia con ciò che abbiamo a portato di mano.
L’essenza della #resilienza è paragonabile al #kintsugi: le fratture diventano trame preziose
In questi giorni di preoccupazioni, di ansia e di restrizioni è importantissimo continuare a prendersi cura di sé e di chi è con noi attraverso anche attività che posso curare il cuore, alleggerire la mente e riempire l’anima. Ecco perché ho deciso di parlare di arte e degli effetti di essa sull’individuo: grazie ai colori, ai diversi materiali quello che accade è che costruiamo un momento “per noi” e che possiamo esprimere quello che sentiamo. Più di tutto abbiamo bisogno di resilienza ovvero della capacità di riemergere e di superare le avversità attraverso perché no, la creatività.
Grazie alle tecniche espressive ci possiamo connettere con le nostre sensazioni e trovare riparo in momenti di difficoltà; ad esempio nei percorsi di psicoterapia vengono utilizzati anche strumenti grafici, come il disegno, per rappresentare ciò che a parole non riesce ad uscire. Ecco perché è utile anche per i bambini e per rappresentare ciò che stanno passando in questo periodo in maniera ludica e creativa, così però anche per gli adulti.
La cosa bella è che non serve molto e che spesso sono materiali che abbiamo in casa e che possiamo anche utilizzare in maniera creativa. Ad esempio oltre ai materiali soliti ( pennarelli, matite, acquerelli, tempere ed acrilici) che possiamo avere in casa possiamo utilizzare:
–Caffè: può essere utilizzato una volta raffreddato per fare ad esempio effetto acquerello, molto rilassante e decisamente curioso. Ci si può sbizzarrire anche usando le mani se non abbiamo altri materiali od utilizzando un pennello da cucina.
–Terriccio: soprattutto per chi vuole riprendere un contatto con la natura e per chi vuole divertirsi ( bambini e adulti) lavorare con la terra un disegno, sbizzarrirsi con le forme è molto liberatorio ( per questo lavoro consiglio l’utilizzo diretto delle mani).
–Giornali( scritte o immagini): piuttosto di gettare i giornali nella carta possiamo riciclarli facendo dei collage da attaccare con colla o con nastroadesivo e sono molto liberatori.
–Oggettistica: recuperare alcuni oggetti come vasi o tazze rotte e ripararli utilizzando una tecnica giapponese il “Kintsugi” ovvero L’arte di riparare la vita e delle preziose cicatrici.
Esercizio 1: Kintsugi
E’ l’arte giapponese che consiste nel valorizzare le rotture attraverso l’oro ed è una forte metafora di vita. Ecco che potete prendere qualcosa di rotto o addirittura rompere qualcosa se avete rabbia da esprimere, munitevi di colla provate a ricomporre le vostre rotture pensando alla vostra vita; l’obiettivo è valorizzare al meglio le fratture e darvi una nuova vita!!!! ( nel mio blog vi è un articolo su tale tecnica). Ci consente di essere resilente!
Esercizio 2: Lasciati andare.
Prendi un foglio, una tela, una stoffa bianca , prendi un colore che ti ispira, un pennello o le mani, e inizia a colorare tutto il foglio non lasciando spazi bianchi, il tutto in un luogo rilassante e con musica che ti accompagni. NB: Sarebbe importante farlo di sera prima di dormire per aumentare il rilassamento e la mattina appena sveglio per iniziare con il piede giusto.
Esercizio 3: Scarabocchio.
Prendi un foglio, anche insieme ai figli o in coppia, ovviamente gestendo bene i lati del foglio. prendi una penna o un pennarello o una matita puntala al centro del foglio e scarabocchia ad occhi chiusi il maggior tempo possibile: vedrai che ci saranno create delle forme e quello che potrai fare sarà andare a riempire come credi. Sbizzarisciti!!!
Esercizio 4: Emozionati
Come vuoi, in qualsiasi luogo connettiti con le tue emozioni e lasciale andare come meglio credi nel foglio. Fallo ogni volta che senti ansia, stress o pensieri negativi. Una volta terminato, cambia stanza e riprende la tua attività normale.
Ci tengo a condividere con voi queste tecniche che utilizzo sia io nella mia quotidianità e mi sono diventate molto utili, sia per quello che riguarda un lavoro maggiormente riflessivo, emotivo e terapeutico. Usatele quando sentite che ansia, stress e negatività hanno la meglio e per parlare con i vostri figli di emozioni e di ciò che ci può preoccuparci.

Se siete interessati ad altri spunti o avete curiosità o necessità di prenotare appuntamento, scrivetemi o chiamatemi!
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeuta.

Come può aiutarti la psicoterapia sistemica e l’EMDR
Le difficoltà fanno parte della vita, della quotidianità dell’esistenza umana. Ciò che fa la differenza è come ogni singolo individuo decide di affrontarle e se decide di farlo.
Chi decide di chiedere aiuto non è debole, anzi, è sulla giusta strada per migliorare o cambiare quello che non và.
Quando una persona chiede un colloquio di psicoterapia quello che sono solita fare è comprendere bene la richiesta e la problematica riportata e prenderci insieme del tempo per costruire un percorso che sia centrato sulla persona e sul suo benessere.
In particolare, quando vedo in studio un paziente mi piace considerarlo ed immaginarlo circondato dalle persone che hanno avuto un ruolo nella sua storia di vita, ruolo che può essere stato positivo o negativo ma comunque sempre significativo.
Questa visione definita “sistemica-relazionale” mi consente di non fermarmi al solo “sintomo” che la persona riporta (ansia, depressione, fobie, dipendenza, disturbi alimentari, lutto non superato, difficoltà relazionali o familiari) ma andare alla radice e comprenderne gli effetti relazionali e costruire una solida e durevole guarigione.
In particolare utilizzo una tecnica di psicoterapia che si integra perfettamente in questa visione relazionale, incentrata sul nostro vissuto: l’EMDR. Questa tecnica mi consente di rendere la persona ancora più attiva nel suo percorso di guarigione.
Cos’è L’EMDR e perché è EFFICACE
L’EMDR non è magia. E’ una tecnica che si utilizza in psicoterapia e che si base sul funzionamento “naturale” del nostro cervello. Spesso il nostro cervello però, a causa di esperienze troppo dolorose o di momenti traumatici, non funziona più in modo funzionale, si “blocca”. L’EMDR è utile proprio per eliminare questo “blocco” e riportare la mente alla normalità.
Applicata inizialmente per il disturbo post traumatico da stress, l’EMDR oggi è usata per affrontare molte altre difficoltò. Alla base di tale tecnica vi è l’idea, dimostrata a livello scientifico, che esperienze di vita vissute con dolore e non superate, aumentano il livello di malessere individuale e familiare andando a bloccare il ricordo traumatico stesso.
Ad esempio se una persona pensa di non valere, di non essere abbastanza, cercheremo di capire insieme da dove arriva questa idea e che ricordi vi sono associati.
Magari un esperienza infantile, oppure una relazione fallita, o lavoro perduto possono aver generato tale idea ed è proprio a causa di questa che la persona inizia a vivere con malessere. L’EMDR consente di accompagnare la persona verso il recupero del ricordo, riprendendo l’elaborazione e rendendola il più naturale possibile.
E’ efficace proprio perché riattiva un processo normale di guarigione ed aiuta la persona a sentirsi più capaci, aumenta l’autostima e consente di superare le difficoltà anche in poco tempo.
Quando può essere utilizzato?
L’EMDR può essere utilizzato in terapia per elaborare ricordi o situazioni, per recuperare e aumentare le risorse personali e per guardare il futuro con positività.
In particolare può essere utile per:
- Lutti
- Esperienze passate o presenti che intrappolano la persona
- Ansia e panico ( si considera l’attacco di panica e l’ansia come esperienza traumatica)
- Dipendenze da sostanze e alimentari
- Difficoltà relazionali
- Depressioni
- Traguardi da raggiungere o sfide difficili da realizzare
- Abuso e violenza fisica o psicologica
Sono Lisa Sartori e sono una psicologa e psicoterapeuta che parte mettendo al centro la persona con le sue difficoltà. Non considerandola come la costruttrice solitaria delle sue difficoltà ma piuttosto comprendendola all’interno della rete di legami e relazioni con cui è cresciuta.
Mi sono specializzata nell’utilizzo di diverse tecniche per aumentare il livello di efficacia terapeutica come l’EMDR ed in particolare mi occupo del trattamento di difficoltà individuali, di coppia e familiari relazionali o specifici come ansia, depressione, dipendenze, lutti e traumi.
Se desideri affrontare le tue difficoltà e intraprendere un percorso insieme, contattami!
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6 modi per trasformare il consiglio in opportunità nel rapporto genitori-adolescenti.
“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro” (F.A. Clark)
Quanto spesso vi capita di sentirvi incapaci di sintonizzarvi con i vostri figli, di comprendere la via di accesso più adatta e sentire che il conflitto potrebbe essere sempre imminente? Queste sensazioni possono caratterizzare l’approccio che il genitore di figli adolescenti metti in atto nella relazione e che possono influenzare l’andamento familiare. Il tiro alla fune non è che altro che una metafora del “gioco” che avviene tra genitore e figlio soprattutto in età adolescenziale: il rischio è che la corda si spezzi. In questo articolo parleremo di conflitto e di come fare in modo che la corda si muova ma senza spezzarsi ed aiutare il genitore con le nuove sfide che deve sostenere.
Per prima cosa non dobbiamo dimenticarci il difficile compito che l’adolescente deve portare a termine, ovvero la costruzione della propria identità, passando anche attraverso la messa in discussione delle certezze avute fino ad ora. La prima relazione che viene messa in discussione è quella genitoriale: il genitore, proprio per il ruolo che ricopre, viene percepito in maniera ambivalente dal figlio/a così come il modo che hanno di relazionarsi.
Dal punto di vista familiare e di coppia quello che accade è che l’equilibrio raggiunto fino ad ora sembra essere messo in crisi dai tentativi di “svincolo” del giovane che possono essere vissuti in diverso modo:
- famiglie aperte al cambiamento in grado di essere flessibili con i confini e di riuscire a riorganizzarsi;
- famiglie con confini rigidi e tendenti a non accogliere i cambiamenti.
E’ proprio in queste famiglie che spesso si manifestano patologie come ansia, dipendenze, disturbi alimentari (ad esempio) come forma di comunicazione ad un sistema di appartenenza.
Questa breve introduzione era del tutto necessaria al fine di comprendere cosa accade ad un sistema famiglia nel momento in cui il conflitto è all’ordine del giorno. Per prima cosa ci dobbiamo confrontare con la società e il modo di intendere il conflitto, come qualcosa di negativo e da dover evitare perché associato, il più delle volte, ad aspetti di personalità negativa. Ecco che si perde così la vera essenza del conflitto e la sua reale funzione evolutiva.
Il conflitto consente alle persone di accedere a contenuti relazionali importanti come bisogni, aspettative, emozioni che determinano la relazione e a comunicarli all’altro. Ciò che fa la differenza è come si comunica e non tanto il contenuto e dunque che cosa. Inoltre soprattutto nella fase adolescenziale il conflitto è necessario per definirsi agli occhi prima degli altri e poi di se stessi: ovviamente per accogliere tale aspetto “utile” del conflitto è necessario osservarlo da una diversa prospettiva
L’adolescente confliggendo si definisce, entra in relazione ed è del tutto normale che ciò accada;
- Non scendere a giochi di potere con loro: in questo momento hanno bisogno di genitori ” in grado di reggere la fune e che stiano al gioco senza però mollare la presa”;
- Pensate che non mettono in crisi la vostra identità come persone e genitori ma ” attaccano” il ruolo che ricoprite;
- Esprimete le vostre emozioni come paura, rabbia, tristezza piuttosto che utilizzare solo una regola specifica;
- Ascoltateli in maniera non giudicante;
- Concedete a voi stessi di sbagliare, siete del tutto umani ed un figlio ha bisogno di un genitore umano e non di un supereroe!!!
Questi sono alcuni punti chiave per svoltare il conflitto perché in esso spesso è racchiuso un significato comunicativo e relazionale importante che, se non ascoltato, rischia di essere un’opportunità perduta per entrambi, genitori e figli.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico relazionale.

Terapia familiare
“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo”
(Lev Tolstoj)
La terapia familiare sistemico-relazionale mira alla risoluzione del problema in tempi brevi ed è l’intervento di elezione quando il disagio, che può riguardare in maniera diretta anche un solo componente del nucleo, adulto, bambino o adolescente si ripercuote sulla famiglia mettendone in crisi l’equilibrio: può aiutare a ridurre i conflitti all’interno della famiglia aiutando i componenti di essa a capire cosa sta succedendo a livello di sistema, con l’obiettivo di favorire l’espressione e i sentimenti a lungo tenuti nascosti, e di migliorare la qualità delle relazioni all’interno della famiglia.
L’obiettivo della terapia familiare è comprendere il punto di vista di ogni componente rispetto al problema e alla difficoltà di uno dei suoi membri andando a valorizzare il ruolo di colui che porta il sintomo e cercando di aumentare e migliorare la comunicazione di tale disagio attraverso la risorsa familiare. Infatti la terapia familiare è efficace in breve termine su disagi conclamati e anche patologici.
Nella terapia familiare, il problema che la famiglia porta in terapia viene contestualizzato e compreso nel suo significato alla luce di più livelli di osservazione: quello delle relazioni che in essa intercorrono, della sua storia evolutiva, della fase del ciclo vitale che sta attraversando, delle storie personali dei suoi componenti e delle famiglie d’origine.
Si interviene dunque sulle modalità relazionali e comunicative disfunzionali che la famiglia metti in atto al fine di trovarne altre più funzionali e rivedere il problema alla luce delle sfide che la famiglia dovrà compiere.
Le situazioni maggiormente consigliate nelle quali fare terapia familiare sono:
• Disturbi alimentati
• Dipendenze
• Difficoltà adolescenziali
• Psicosi
• Ansia
• Fobie e ossessioni
• Autolesionimo
• Iperattività
Come avviene la presa in carico?
La presa in carico della famiglia spesso arriva in seguito alla richiesta anche di una presa in carico di un minore (bambino e adolescente) in quanto la difficoltà portata non può non essere considerata significativa all’interno della vita familiare. E’ dunque necessario accedere primariamente ad una terapia familiare, focalizzando inizialmente il problema, analizzando storie familiari, aspettative e soluzione tentate al fine di restituire un ipotesi alla famiglia che sia plausibile e significativa del disagio portato. Tale ipotesi diventa un trampolino di lancio per la comprensione della direzione della terapia.
Quali tempi?
La terapia familiare ha una durata di circa 2 ore a cadenza ogni 15 giorni o mensile. Verranno forniti eserciti pratici da svolgere dalla famiglia e che siano funzionali a creare un cambiamento nel funzionamento del sistema famiglia.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico relazionale