
Come gestire la fame d’amore
La fame d’amore è una sensazione presente soprattutto nella dipendenza affettiva paragonabile alla necessità e all’urgenza di vivere d’amore: la ricerca di tale relazione potrebbe assumere manifestazioni compulsivi e istintive, la persona che sente la fame d’amore vive un bisogno insaziabile e costante di riempire. Molte donne la raccontano come un senso di vuoto, angosciante e doloroso.
Dipendenza affettiva e amore nella coppia: quali differenze?
La dipendenza affettiva è una forma di relazione definita “tossica” proprio perché ha aspetti in comune con la dipendenza più classica (da sostanze) come l’astinenza, la tolleranza, la ricerca spasmodica della persona oggetto della dipendenza e il cambiamento del comportamento.
E’ importante affrontare tale tematica proprio perché, dalla mia esperienza clinica, mi rendo sempre più conto di quanto sia facile pensare che la dipendenza affettiva sia amore e affetto… ma in realtà così non è. Essa non rende liberi. La persona che soffre di tale dipendenza è spinta non dall’affetto ma dal bisogno di dipendere, di ricevere conferme e di attribuire un senso alla sua vita attraverso l’altro. Ovviamente, essendo una dipendenza “relazionale”, trova la sua maggiore espressione nella relazione di coppia e ne condiziona il funzionamento.
Si dice infatti che nella vita possiamo innamorarci più volte ma amiamo molto meno.
Vediamo insieme come mai e soprattutto come il vero amore sia diverso dalla dipendenza affettiva.
Che cosa si intende per amore?
Lo psicologo Sternberg definisce l’amore come quel sentimento che è composto da tre elementi:
1. L’intimità intesa come la capacità della coppia di prendersi cura uno dell’altro attraverso la condivisione e affinità;
2. La passione ovvero la vicinanza fisica;
3. L’impegno definisce l’impegno nel scegliere di stare nella relazione e decidere di amare.
Si dice che ci si innamora spesso nella vita ma si ama molto poco, proprio per la complessità di questo sentimento. Già dalle tre caratteristiche qui sopra espresse, si può notare come l’amore sia diverso dalla dipendenza, che concepisce l’altro come una mera necessità.
Come distinguere una dipendenza “sana” da una dipendenza “tossica” nella relazione?
Fin da quando siamo piccoli impariamo a dipendere dagli altri per nutrirci, per camminare, per imparare via via ad essere sempre più autonomi. Questo tipo di “dipendenze” sono sane proprio perché funzionali al nostro benessere e alla nostra evoluzione. In età adulta, quando amiamo qualcuno, sentiamo che nella relazione vi è reciprocità e siamo in un certo modo “dipendenti” anche dal benessere dell’altro ma è amore vero poiché ci sentiamo liberi e lasciamo libero l’altro, sia nei pensieri che nei sentimenti.
Una dipendenza “tossica” si sviluppa in età adulta (anche se alcune manifestazioni si possono vedere già in tarda adolescenza e prima età adulta) e colui che dipende perde tutti gli interessi, si modula in base all’altro e spesso rinuncia a tutto per questa relazione. Non è sana proprio perché è in opposizione a ciò che costruisce il benessere nella coppia, ovvero la libertà, la soddisfazione individuale e reciproca e la consapevolezza di sè.
Quali sono gli effetti della dipendenza affettiva nella coppia?
Vivere in una relazione con dipendenza affettiva non è un vivere sano e produttivo perché , a lungo andare, questa situazione diventerà distruttiva per entrambi i partner.
Inizialmente chi “dipende” trova sicurezza nella relazione, nell’altro e tende a dare tutto se stesso tanto da essere “visto” come ” accudente e presente” nella relazione. Essendo per natura delle relazioni la fase iniziale quella dell’innamoramento ed essendo una fase spesso simbiotica della relazione, qui la dipendenza apparirà funzionale alla costruzione della coppia.
Però ben presto si arriva alla fase della differenziazione, fase nella quale si tende ad allargarsi verso l’esterno, essere meno simbiotici e maggiormente individuali. Se però questo non è tollerabile da almeno uno dei due partner, iniziamo i problemi.
- assenza di libertà: la persona che è oggetto della dipendenza a lungo andare sente di essere soffocata nella relazione e spesso è la prima a minacciare la rottura.
- ricatti emotivi: per tenere a sé la persone si arriva a mettere in atto ricatti che hanno come risultato lo sviluppare il senso di colpa.
- ritiro sociale: inizialmente la coppia può vivere il ritiro sociale e viverlo come aspetto positivo in quanto ci si basta, ma quello che accade successivamente è che vi sarà sempre meno vita al di fuori della coppia. Colui che dipende sarà disposto anche a perdere il lavoro pur di stare a casa, esserci per l’altro e ridurre la rete sociale.
- rottura con i legami familiari: sono relazioni che, anche per alcune difficoltà familiari già presenti, vanno a minare i rapporti con la famiglia. Famiglia che fa da specchio ed inizia a far notare alcuni aspetti negativi o di problematicità nella coppia.
- ridotta autostima: più si dipende e meno impariamo a volerci bene, quel bene che è necessario al fine di riuscire a tutelarci nella relazione e nella vita.
Questi sono solo alcuni aspetti che possono emergere e che condizionano l’andamento di coppia andando a distruggere il vero senso di “fare coppia”. Assenza di confronto, impossibilità a pensarsi senza l’altro ci pongono in una relazione nella quale entrambi i partner vivranno una senso di costrizione, di profonda paura per l’abbandono e a volte anche un senso di soffocamento che nutre le emozioni come rabbia e impotenza.
Come nelle maggior parte delle difficoltà di coppia, chiedere aiuto è il primo passo perché si possa guarire dalla dipendenza affettiva. Non è però possibile farlo da soli.
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“La paura di star male” al tempo del coronavirus.

In questo momento storico ci scontriamo quotidianamente con situazione di “allarme”, “emergenza” e di “paura” per ciò che ci risulta incontrollabile. Si è parlato di come “informarsi” in maniera adeguata ma non si è parlato di come può essere vissuta la “paura” e il “panico” anche in coloro che hanno una pregressa paura di stare male e delle malattie.
La paura di ciò che non conosciamo e dell’imprevedibile è una paura frequente nell’esperienza di vita umana che spinge le persone a mettere in atto atteggiamenti di evitamento e di fuga che sono meccanismi legati all’istinto e alla sopravvivenza ma che non sono del tutto funzionali al benessere della persona e alla sua guarigione. Questo perché più noi evitiamo una situazione più noi rinforziamo quella situazione, e le diamo più potere ed aumentiamo la paura.
Coloro che hanno un brutto rapporto con le malattie, vivono particolarmente a disagio controlli, visite e temono il contagio, in questo periodo sono maggiormente a rischio rispetto alla paura di star male e rischiano di sviluppare sensazioni come “panico” e ” paura” incontrollate.
Come riuscire quindi a gestire questo momento di panico che dilaga?
La cosa più importante è “imparare a mantenere la calma” anche se a parole non sembra facile diventa la soluzione migliore, e come si può ottenere?
- la buona informazione ( evitate social e notizie poco documentate perché non aiutano in questa situazione di confusione collettiva).
- Andate nei siti del ministero della salute o degli ordini, come ad esempio il link che allego qui dell’ordine degli psicologi è utile per dare la giusta informazione. https://www.psy.it/lordine-degli-psicologi-sul-coronavirus-indicazioni-per-cittadini-e-psicologi-supporto-alle-autorita.html
- Essere prudenti e avere del buon senso seguendo le indicazioni date come prevenzione.
- ricordate che il panico aumenta il pericolo non lo previene perché nel panico non si prendono le giuste decisioni ma siamo governati dalla paura
- quando senti che la paura diventa incontrollabile e che è una difficoltà già presente puoi chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta che ti aiuti a sviluppare strategie migliori alla gestione;
- In questo caso, L’emdr è una tecnica che funziona come “prontosoccorso per la mente” ew che consente alle persone di sviluppare le risorse necessarie per arginare il panico.
Per maggiori informazioni e per fissare un ‘appuntamento contattami.
Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta sistemica relazionale_ terapeuta emdr

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.