
Relazioni Tossiche: riconoscerle ed uscirne

“Le relazioni sono uno specchio di come ci vediamo, pensiamo e comunichiamo”
Si sa che le relazioni non sono sempre facili. Spesso addirittura ci si può trovare immersi in relazioni di coppia o familiari anche molto complesse e poco soddisfacenti, a tratti anche pericolose.
Oggi vi parlerò dunque di “relazioni tossiche”. Partiremo dalla loro definizione passando a come poterle riconoscere e superare.
Le relazioni sono lo specchio di come ci percepiamo, pensiamo e viviamo ed è per questo che è importante non darle per scontate.
Per “relazioni tossiche” si intende una relazione disfunzionale che persiste nel tempo e che sopravvive anche ai tentativi di interruzione. Esse possono minare la salute, limitare la libertà della persona e dar vita ad un circolo vizioso dal quale non è facile uscirne. Ecco che ci si ritrova in relazioni insoddisfacenti e con un legame di coppia spesso logorato, come una corda che si è tirata troppo e che è in procinto di spezzarsi, anche se ciò poi non accade mai.
Come si sviluppano le relazioni tossiche?
Cadere in relazioni tossiche non è poi così difficile. Si inizia infatti con legami d’amore, quindi relazioni che un tempo hanno anche avuto, seppur a livello spesso solo illusorio, un effetto benefico sulla persona.
Spesso le due persone si sentono affini, simili e quasi “fatti l’uno per l’altro”. Sono per lo più relazioni basate su di un benessere apparente, spesso frutto di unioni di coppia (incastri di coppia in termini psicologici) che sfruttano una relazione di potere da parte di uno dei due partner, tendenzialmente quello vissuto come il più forte.
Ne sono un esempio il sadismo e il masochismo, o la relazione tra un narcisista e una persona insicura (due quadri che spesso si sovrappongono). Sono relazioni in cui vige un’asimmetria di potere e responsabilità, e dove la sofferenza è strettamente legata al piacere. Ovviamente è bene sottolineare che l’unione di coppia e la scelta del partner, non è mai casuale ma è dettata da modalità relazionali acquisite dalla propria famiglia d’origine.
Quali sono le relazioni tossiche?
Dipendenza affettiva: è una relazione nella quale l’oggetto della dipendenza è “l’altro”. La persona che soffre di tale dipendenza tenderà a mettersi da parte e a vivere in totale dedizione all’altro, così come un tossicodipendente fa con la sostanza. Ecco che la persona dipendente spesso ridurrà le sue attività per vivere per l’altro, anche se la relazione è fonte di insoddisfazione.
Lotta di potere: sono relazioni basate sulla “distruzione dell’altro” e sul concetto di “vittoria”. In queste relazioni non si giunge mai ad un confronto positivo. Si basa tutto sull’affermazione di se stessi e spesso anche sull’affermare la propria famiglia d’origine. In questo caso non c’è una asimmetria di ruoli, ma piuttosto la tendenza di entrambi i membri della coppia ad assumere un ruolo dominante.
Anche se la relazione di questa coppia sembra giunta al termine, i due continuano comunque a stare insieme. Non c’è davvero una progettualità e la gioia di stare insieme è ormai scemata. Si parla di ” legame disperante” con delle ripercussioni gravi anche sui figli. I continui conflitti spesso celano vissuti depressivi latenti: insomma, tra rabbia e disperazione, i due scelgono di esternare la rabbia.
Il ricatto e la paura come aspetti dominanti nella coppia: sono coppie che utilizzano il ricatto emotivo come strumento di controllo dell’altro e la paura sappiamo che, se sfruttata, blocca la persona e la rende schiava anche solo a livello emotivo.
L’altro idealizzato: Questo tipo di relazione tossica si palesa quando comincia a diventare evidente che uno o entrambi i membri della coppia non si sono innamorati della persona con cui condividono l’affetto, ma con una versione idealizzata di esso.
Sebbene questo fatto possa essere già stato intuito durante i primi mesi della relazione, è possibile che venga data poca importanza ad esso e che, in ogni caso, questa dissonanza cognitiva sia stata risolta sopravvalutando la capacità dell’altro di cambiare in futuro e conformarsi alle nostre aspettative. Questo può portare a vivere relazioni idealizzate e non reali.
Come riconoscere le relazioni tossiche?
Le relazioni tossiche hanno delle caratteristiche tipiche, tra le quali troviamo: ansia, violenza fisica o verbale, paura, elevata conflittualità di coppia, gelosia estrema, paura, senso di essere in trappola e sensazione di non valere abbastanza… Queste possono cambiare di situazione in situazione ma di norma sono quasi sempre presenti. Proprio per la pesantezza della relazione non è da escludere che possano esserci implicazioni anche per i figli, laddove coinvolti nel conflitto o nelle dinamiche disfunzionali dei genitori. Inoltre in uno dei due partner possono svilupparsi sintomatologie ansioso-depressive o fobiche.
Come uscire dalle relazioni tossiche?
E’ fondamentale anzitutto avere la consapevolezza di star vivendo una relazione tossica. Il secondo step è il chiedere aiuto a professionisti in grado di aiutare la persona ad acquisire maggiore sicurezza in se stesso e nella propria forza.
Ecco alcuni suggerimenti per iniziare a mettere in discussione la vostra relazione tossica:
Comprendere e rivedere la propria storia familiare per liberarsi di ruoli, miti ed aspettative relazionali che possono ad oggi alimentare una relazione tossica.
Rivedete i comportamenti passati. Quando siete con il vostro partner sentite che il tempo è speso bene e che ne vale la pena? O sentite le vostre energie prosciugate e state con lui/lei solo per senso del dovere?
Analizzate il presente. Come vi sentite nella relazione? Quali emozioni prevalgono (gioia, rabbia, paura o senso di colpa)?
Recuperate le attività sacrificate per la relazione tossica. Quante cose avete messo da parte per difendere questa relazione?
Cercate persone con atteggiamenti diversi e fate attenzione a non innescare di nuovo il circolo vizioso.
Lavorate sulla parte di voi che alimenta il circolo vizioso della relazione grazie ad un percorso di psicoterapia.
Elaborate i traumi psicologici e fisici collegati a tale relazione con l’EMDR al fine di aumentare l’autostima e migliorare il benessere.
Se vuoi maggiori informazioni o vuoi iniziare un percorso di psicoterapia, contattami!

Come superare la paura delle malattie.
“Nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”
Eraclito
La paura delle malattie è una paura del tutto normale ma per qualche persona diventa invalidante, difficile da gestire. Nei racconti di coloro che si definiscono “ipocondriaci” vi è una costante attenzione ad ascoltare le proprie sensazioni fisiche, come se vi fosse un costante stato di allerta frutto anche della costante attenzione: ecco che prende vita il circolo vizioso. Più mi ascolto e più avrò qualcosa da ascoltare: un respiro più faticoso del solito, un crampo, un dolore localizzato o generalizzato…
L’ipocondria è dunque una forma di “fobia” che spesso nasce da una sorta di pensiero “ossessivo” e da una ricerca costante di qualcosa da valutare e/o indagare.
Che cos’è l’ipocondria?
La caratteristica essenziale della ipocondria è la preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia. Questa è solitamente basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici.
Si può parlare di ansia di malattia (o paura delle malattie), ovviamente, solo se una valutazione medica completa ha escluso qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o sintomi fisici. Ecco che spesso coloro che soffrono di tale difficoltà arrivano in psicoterapia inviati spesso da medici di base, oppure da familiari preoccupati.
Una lettura sistemico-relazionale..
Ovviamente tale atteggiamento verso di sé non si apprende in maniera casuale ma, secondo l’approccio sistemico- relazionale, si inserisce all’interno di un sistema relazionale di appartenenza. Malattie vissute o assistite, morti o iper attenzione all’area medica da parte dei familiari sembrano essere comuni a coloro che soffrono di ipocondria. In particolare sembra dominare la “semantica della libertà” nei pazienti con disturbi fobici, ovvero sembra che le conversazioni familiari siano organizzate attorno al concetto di dipendenza e libertà. Ecco che le persone fobiche hanno una tendenza ad aver bisogno di un altro che funga da riferimento, da ancora di salvezza ma che diventa invece un vincolo alla libertà. Si è tuttavia liberi solo quando si è in grado di fronteggiare da soli un mondo pericoloso.
Come uscirne?
Ecco che il modo di superare l’ipocondria passa per due importanti step:
- aiutare la persona che arriva in terapia a sviluppare delle strategie che inizialmente gli consentano di gestire lo stato di attivazione e di ridurlo (emdr- prescrizioni paradossali); L’emdr consente alla persona di elaborare le esperienze traumatiche collegate all’ipocondria e alla paura al fine di desensibilizzarle e installare le risorse utili per la guarigione;
- cogliere il significato relazionale della paura che spesso riporta a relazioni vissute come vincolanti, preferenziali e con un limite immaginario dal quale la persona necessita e desidera superare ma che teme di essere libero di farlo.
Paradossalmente quando una persona arriva in psicoterapia ha tentato un certo numero di soluzioni e alcune, forse, per un po’ hanno anche funzionato, come ad esempio controllare ripetutamente in google, fare esami clinici, sentire diversi pareri medici, provare medicine alternative o chiedere costanti rassicurazioni… cosi come per l’ansia questo non fa altro che rendere l’individuo ancora meno in grado di percepirsi efficace nel superare gli ostacoli e di uscire dalle trappole mentali. Ecco che nella prima parte del percorso si cercherà di fornire a lui altre possibile strategie più incentrare sulla gestione della paura piuttosto che sul suo controllo. Inoltre comprendere il significato che esso ha nella sua vita relazione può essere il punto di svolta per dare voce al sintomo e arrivare al messaggio comunicativo che in esso è sempre incluso. A chi è destinato lo si scoprirà con la psicoterapia e con un lavoro su di sé e sulle proprie relazioni.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico relazionale.

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Emdr: una terapia efficace per l’ansia e il panico.
“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi”
Leo Buscaglia
Prima di addentrarci nel mondo dell’ansia e del suo trattamento è importante soffermarsi su cosa sia l’ansia e quale funzione assume nella vita di ogni individuo. Per prima cosa è importante ricordare che l’ansia è uno stato “normale” di attivazione fisiologica che avviene in ogni individuo assumendo una funzione spesso di sopravvivenza: ci dice che qualcosa ci sta spaventando o che siamo vicini ad un pericolo reale od immaginario. E’ dunque un’emozione universale e non sempre negativa, ed assume un valore importante a livello comunicativo, in particolare tale aspetto viene sottolineato nell’ottica sistemica- relazionale la quale si interessa al forte potere relazione dell’ansia. Infatti le storie di coloro che soffrono di ansia parlano di separazioni, di lontananze impossibili o di cambiamenti difficili e insieme a loro vi è almeno una figura importante coinvolta nell’ansia, fungendo spesso da sostegno e rassicurazione che paradossalmente aumenta però la manifestazione dell’ansia. Quando si soffre di un disturbo d’ ansia si vive in perenne stato di allarme e iper-vigilanza, come se si fosse costantemente in pericolo anche in assenza di oggettive minacce o rischi: le situazioni o i compiti più semplici da affrontare possono risultare ostici e pericolosi e proprio per questo tendono ad essere evitarli.
Quali sono i disturbi d’ansia?
Per disturbi d’Ansia ci si riferisce ad una macrocategoria che include:
- Disturbo di Panico (con e senza agorafobia);
- Fobie specifiche (ad esempio fobia dei ragni, fobia del sangue o delle iniezioni, fobia dell’ aereo o delle gallerie);
- Fobia Sociale (paura o imbarazzo marcato che si attivano in situazioni sociali o prestazionali);
- Disturbo d’ Ansia Generalizzato (ansia e preoccupazione eccessive quotidiane associate a irritabilità, difficoltà a concentrarsi e alterazioni del sonno).

Prima e dopo il trattamento EMDR
Emdr nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Passiamo ora al trattamento efficace attraverso EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) nasce come trattamento per Disturbo da Stress Post Traumatico e diventa efficace nel trattamento di molti altri disturbi, compreso l’ansia e il panico. Essa consente di:
- elaborare i traumi dell’attaccamento al momento attuale;
- desensibilizzare il ricordo “traumatico” legato alle esperienze di ansia e panico e lavorare sulle risorse utili per guarire;
- migliorare le abilità sociali e individuali;
- accrescere l’autostima e il senso di autoefficacia per affrontare le sfide della vita;
- prevenire e gestire l’ansia e il panico;
- lavorare sulla dimensione futura.
Come avviene la psicoterapia con Emdr?
Per prima cosa è necessario dedicare alcuni incontri di psicoterapia alla raccolta della storia del problema e alla storia familiare dal momento che, anche alcuni momenti particolari di vita o fasi del ciclo di vita familiare, possono determinare l’insorgenza del sintomo. Prima di iniziare con la tecnica è importante, come in ogni percorso terapeutico, costruire l’alleanza terapeutica al fine di costruire un posto sicuro nel quale trattare aspetti delicati e dolorosi della propria esperienza di vita.
Successivamente si andrà a lavorare sul ricordo dell’ansia e delle situazioni vissute lavorando attraverso la tecnica EMDR nel ricordo traumatico e sull’idea di sé che tale episodio contribuisce a costruire e che spesso è negativa; si lavora sul ricordo di alcune esperienze che possono aver contribuito all’insorgere del disturbo d’ansia ( tendenzialmente nei primi 10 anni di vita) . Inoltre si lavora sul ricordo delle prime volte in cui si è provata l’ansia e le volte peggiori, così da neutralizzare queste reazioni e permettere alla persona di affrontare le situazioni in modo funzionale.
Come mai è efficace?
Attraverso l’ EMDR si analizzano e rielaborano gli episodi più critici e le manifestazioni più acute dei sintomi d’ansia.
Spesso l’esordio della sintomatologia ansia-correlata è preceduto da esperienze traumatiche che in qualche misura ne determinano l’insorgenza.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

L’ansia e i legami familiari.
L’ansia è come una sedia a dondolo: sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.
(Jodi Picoult)
L’ansia è una condizione psico-fisica caratterizzata da sensazioni di costrizione, affanno e angoscia che induce le persone a bloccarsi di fronte a determinate situazioni e che provoca tensione, irrequietezza ed apprensione. Queste sensazioni sono spesso accompagnate da sintomi fisiologici come la sudorazione e la tachicardia. A differenza della paura, l’ansia non è collegata ad un evento percepito come pericolo nell’immediato, ma emerge dall’anticipazione di eventi futuri e dalle loro presupposte conseguenze. Coloro che soffrondo di ansia spesso raccontano storie di forte preoccupazione per lo stato fisico di iperattivazione che accompagna la sintomatologia ansiosa e per la percezione che essa sia incontrollabile.
Per prima cosa ciò che è indispensabile fare è comprendere bene cosa si intende per “ansia” dal momento che spesso capita che essa possa essere confusa con altre difficoltà. Ecco di seguito alcuni aspetti che la caratterizzano e che sono sintomi psicologici ( preoccupazione, scarsa concentrazione, irritabilità…), sintomi fisici ( tachicardia, ipersudorazione, dolori al pett0, tremolii…) e sintomi comportamentali ( evitamento delle situazioni che inducono anisa, immobilità…).Importate è sottolineare che l’attacco di panico è un episodio improvviso di paura intensa che si sviluppa senza una ragione apparente e che può manifestarsi anche sotto forma di sintomi fisici e concreti, come ad esempio: dolori al petto, palpitazioni, difficoltà respiratorie.
Nel momento in cui si accura che ciò che si presenta corrisponde all’ansia quello che può accadere è di trovarsi nella situazione di evitare ciò che è fonte di preoccupazione e spesso questo alimenta l’ansia innescando un circolo vizioso, che genera ulteriore malessere e la perdita di controllo.
Le cause dell’ansia sono svariate e non riscontrabili in maniera univoca e oggettiva ma ha un significato in base alle relazioni in cui essa è inserita e anche nei diversi contesti. Ecco perchè nell’ottica sistemica, oltre ad utilizzare strumenti cognitivi-comportamentali o tecniche paradossali per lavorare sull’ansia, essa viene inserita all’interno delle relazioni e del ciclo di vita. Ecco che, interessandosi a tali storie, ciò che emerge è che spesso sono storie che hanno come protagonista la “separazione”, lo “svincolo” o “l’abbandono”. Infatti le persone che portano in sede di psicoterapia l’ansia portano con sè storie di svincoli non avvenuti, di separazioni impossibili o di minacce di abbandono, il tutto collegato ad una storia familiare che ne conferisce identità e significato.
Come curare l’ansia?
La strada maestra per la cura dell’ansia rimane la psicoterapia, che si focalizza sulle dinamiche che portano dallo stress alla risposta ansiosa. La psicoterapia sistemica – relazionale consente di lavorare sul sintomo (ansia) integrando tecniche e significati propri dell’approccio con altre tecniche strategiche o cognitive comportali (Emdr) e aspetti familiari e relazionali ad essi collegati.
Ecco una piccola storia arrivata in studio di psicoterapia:
“Maria ( nome inventato), giovane universitaria affetta da sintomatologia ansiosa arriva in studio per la diffcioltà a prendere i mezzi pubblici e, di conseguenza, per l’incapacità a frequentar ee sostenere le lezioni e gli esami. La sua vita era per lo più nelle mura domestiche e anche le amicizie sembravano essersi ridotte, a causa dell’ansia e del suo effetto bloccante nella vita di Maria. La terapia sistemica-relazionale non si interessa solo alla persona, a Maria, ma amplia lo sguardo anche a coloro che in quelle mura domestiche abitano e costruiscono relazioni con lei. Emerge che il sintomo consente a Maria di mantenere un legame preferenziale con la madre la quale, successivamente alla perdita del marito, sviluppa una forma di depressione. Quello che accade è che Maria trascorre maggior tempo in casa con la madre e, ritarda, il passaggio allo svincolo che implicherebbe, a livello familiare, una necessaria e fisiologica ri-organizzazione. Ecco che attraverso connessioni, narrazioni, prescrizioni paradossali e costruzioni di significati diversi, Maria impara non solo a gestire l’ansia ma sopratutto che essa ha un significato, o meglio, comunica qualcosa e che tale comunicazione può assumere valenze diverse. Attraverso la terapia Maria migliora tale aspetto, riesce a dare spazio, successivamente alla gestione dell’ansia a tutti quegli aspetti a cui non aveva dato voce o significato. Anche l’utilizzo della tecnica EMDR ha consentito a Maria di lavorare sull’idea che l’ansia le rimandava di se stessa e sulle memorie traumatiche. ”
Pensare ad una vita senza ansia è difficle e impossibile ma pensare ad una vita nella quale possiamo gestirla, questo si è possibile: La psicoterapia sistemica consente dà voce all’ansia e a tutte le persone ad essa collegate.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemica – relazionale.

Famiglie alle prese con le sfide dell’adolescenza.
Adolescenza: la più delicata delle transizioni.
(Victor Hugo)
La dipendenza sana è l’ingrediente necessario per poter sperimentare il senso di appartenenza, perché permette di sentirsi amato e compreso e permette all’adolescente di portare avanti con successo il proprio compito, complesso e importante: costruire la propria identità e separarsi in maniera sana dalla famiglia d’origine al fine di sperimentare la propria autonomia. Nel corso dello sviluppo fin da bambini si sperimentano alcune dipendenze sane, pensiamo ad esempio all’attaccamento alle gifure di riferimento, a forme di accudimento fino a giungere al confronto con il gruppo dei pari che è indispensabile come luogo di confronto e di crescita individuale e sociale per il giovane adolescente.
Spesso capita di trovare di fronte a se non più il figlio /a conosciuto ma alcuni genitori raccontano l’impressione di avere, di fronte a sè, una persona diversa anche solo rispetto ad alcuni mesi fà perchè nulla è più chiaro, semplice e scontato. Per addentrarci all’adolescenza, non dobbiamo tralasciare l’aspetto biologico e ormonale che in questi anni incide sia nel tono dell’umore, che nel modo di percepire se stessi e il proprio corpo.
Inoltre le sfide che l’adolescente deve portare avanti riguardano la costruzione di una sua identità e lo svincolo dalla famiglia d’origine.
- L’identità, intesa come l’insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e inconfondibile, avviene per tentativi di errori da parte dell’adolescente e il gruppo dei pari è fondamentale per questa sfida. Esso consiste nel secondo ambiente sociale per eccellenza nel quale sperimentare ruoli, relazioni, risorse e perchè no anche conflitti;
- Lo svincolo è un processo che avviene lentamente e progressivamente e non è facile delinaere un momento ideale ma, rispetto al ciclo di vita, esso avviene con l’espolazione sempre maggiore del mondo esterno e delle esperienze che il giovane inconterà.
Ovviamente questo implica un profondo cambiamento a livello familiare, richiede una sorta di sana flessibilità che consente al sistema familiare di adattarsi ai cambiamenti necessari. Tale flessibilità sembra essere la chiave del successo nel raggiungimento degli obiettivi dell’adolescente in quanto, avere un sistema di affetti che accompagna a tali sfide, comprendendole e non giudicandole, accogliendole come parti necessarie del processo di autonomia consentirà all’adolescente di sentire il permesso di spingersi alla scoperta del mondo e di altro.
Quindi la coppia genitoriale si troverà in quella fase di ciclo di vita detta del “nido vuoto” ma che implica anche nella coppia una profonda sfida: quella di riscoprirsi non solo genitori ma anche coppia.
Genitori alle prese con figli adolescenti, quali sono le strade possibili?
Per prima cosa non dimenticate il vostro ruolo e ricordate a voi stessi che tipo di adolescenti siete stati e che esigenze prendevano vita nel vostro cuore e nei vostri pensieri. Inoltre non dimenticate che i vostri figli sono alle prese con capire chi sono e che posto occuperanno nella vita, quindi non presentategli un mondo troppo facile o senza fallimenti ma aiutateli a rendere il fallimento un’occasione per migliorare e migliorarsi.
Aspettate e siate un porto sicuro per i vostri figli, un porto nel quale poter tornare dopo la tempesta e trovare riparo, ma senza giudizio e con desiderio di conoscenza e di comunicazione. A volte è difficile perchè l’impressione è di sentirsi esclusi, di aver di fronte a sè un muro ma esso non è definitivo, anzi… Per ultimo ma non meno importante ricordate: “all’adolescente possiamo dare, inconsapevolmente, il permesso di essere più o meno felice“.
Infine la psicoterapia individuale e familiare è uno strumento efficace per sviluppare uno spazio di confronto e di crescita, che stimoli la comunicazione e consenta di dare significato a tutti i comportamenti spesso difficili da comprendere sia da parte dell’adolescente sia dalla famiglia.
Dott.ssa Lisa Sartori_psicologa e psicoterapeuta sistemico familiare.