
Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

Autolesionismo: “Il corpo diventa un foglio su cui disegnare la propria sofferenza”. Una proposta terapeutica.
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.” (M.Gandi)
Nella mia pratica clinica ho ascoltato storie di adolescenti e giovani adulti per i quali il corpo diventa il luogo privilegiato nel quale esprimere il proprio malessere, attraverso disturbi alimentati, sostanze e “autolesionismo”. In questo articolo tratterrò quest’ultimo come pratica dalla quale si può sviluppare dipendenza e che necessita di uno specifico intervento di psicoterapia così da poterne guarire. Autolesionismo significa causare in modo intenzionale e ripetitivo un danno al proprio corpo, procurandosi ad esempio tagli (cutting), bruciature (burning), lividi, escoriazioni. L’obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva, come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza.
Tra i gesti più comuni con cui gli autolesionisti si producono lesioni, rientrano:
- I tagli e le bruciature della pelle;
- Le perforazioni tramite punteruoli o strumenti appuntiti simili;
- Colpi alla testa o al resto del corpo;
- L’assunzione di prodotto chimici tossici o l’ingestione di grandi quantità (overdose) di farmaci ( alcol e sostanze).
L’autolesionismo è un sintomo che spinge l’individuo a procurarsi delle ferite, più o meno profonde, che assumono significato in base alla storia di vita e alla difficoltà a dare voce alle emozioni, come Andrea ( nome inventato ) il quale arriva in terapia a seguito di una forte dipendenza da alcol anche se sottovalutata inizialmente, sia da lui che dal nucleo familiare, in quanto sostanza legale, e che nel giro di qualche anno l’ha reso prigioniero e ha dovuto attivare tutta la famiglia nella cura verso di lui anche se ormai giovane adulto. Per Andrea il “tagliarsi” era “diventato una sorta di rito quotidiano, intimo e personale, momento tanto desiderato nell’arco della giornata da diventare paradossalmente una forma di sollievo, dalle fatiche e dalle delusione della vita”.
Ovviamente questo comportamento porta con sé non pochi effetti come ad esempio nelle relazioni familiari: ad esempio, nel caso di Andrea, i tagli erano visibili e dunque hanno attivato la famiglia, in particolare i genitori, nel ” prendersi cura di lui”, portandolo in terapia familiare dal momento che , per tali difficoltà, oltre alla terapia individuale è indicata una presa in carico familiare. Questo perché la famiglia diventa una risorsa importante per il cambiamento dell’adolescente e del giovane adulto. I tagli sono diventati il modo con cui Andrea evitava la separazione genitoriale e impediva ai genitori di pensare ad uno spazio di vita fuori dalla famiglia, in quanto la situazione era da diversi anni conflittuale e gli procurava molta rabbia, spesso agita verso cose e persone: ecco che con il taglio tutto si placa e tutto si riduce a se stesso.
Questa è solo una delle tante storie che si celano dietro all’autolesionismo, ma quali sono le possibili cause?
Dalla mia esperienza clinica posso riscontrare come aspetto decisamente dominante nelle storie ascoltate una situazione di stress emotiva e di forte rabbia, verso sé e verso anche gli altri, spesso legata ad una situazione familiare difficile da gestire e da verbalizzare la quale può sfociare in senso di colpa e sensazione di fallimento, così come la presenza di aspetti traumatici fisici ed emotivi ( scuola, bullismo…), abuso di alcol o sostanze psicotrope.
L’adolescente o il giovane adulto potrebbe cercare una forma di sollievo, gestione della rabbia e del dolore, effetto calmante e che attribuisce a se stesso, in maniera paradossale: il sollievo ovviamente è transitorio e spesso illusorio, così come per una persona che assume sostanze lo diventa la droga.
Le persone sofferenti di autolesionismo temono che le altre persone possono scoprire i loro problemi.
Questo è il motivo per cui tendono a isolarsi, ad assumere un atteggiamento particolarmente riservato, a coprire le ferite sul proprio corpo in maniera talvolta sospetta e a non chiedere aiuto a chi di dovere, faticando anche ad accedere ad una dimensione di psicoterapia se non spinti dai genitori. Ecco che la preoccupazione genitoriale e familiare diventa la spinta per la richiesta di aiuto.
Quale possibile intervento?
Essendomi formata come Psicoterapeuta sistemico – familiare sono spinta a considerare l’autolesionismo come un sintomo che comunica qualcosa in primis al sistema familiare di appartenenza e spesso l’intervento familiare consente di intervenire in maniera efficace e in poco tempo per ridurre e, potenzialmente eliminare, tale comportamento proprio perché in sede di psicoterapia ad esso viene attribuito un significato che non è di malattia ma di ” comunicazione”. Al taglio viene dato la voce, le parole e spesso queste sono anche quelle dei familiari. Al lavoro familiare è possibile ritagliare momenti di incontri individuale con l’adolescente o il giovane adulto al fine di accedere ad un mondo emozionale e intimo, mentre i colloqui genitoriale possono essere visti in ottica preventiva di ricadute, andando a lavorare sugli aspetti di protezione educativa ed affettiva genitoriale.
Quindi le aree di intervento sono:
“Familiare – Individuale – Coppia genitoriale”
Ovviamente tale modalità è quella maggiormente utilizzata ma poi si adatta alle singole esigenze e alle differenti storie. L’importante è che non si entri in una logica di colpa o di malattia che non è positiva per la persona affetta da tale comportamento ma neanche per chi lo circonda.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemica- Familiare.
349.7867274_ psylisasartori@gmail.com