
Uscire dalla dipendenza da sostanze con EMDR
“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù. L’unica differenza è che si paga con piacere e con un sorriso… anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime” Paulo Coelho
La dipendenza da sostanze ( alcol, marijuana, cocaina, eroina, crack, anfetamine, ecstasy, ketamina, speed…) è una forma patologica di abuso di sostanze che implica un’alterazione del comportamento che da semplice abitudine diviene una ricerca spasmodica del piacere attraverso sostanze, strumenti o comportamenti che conducono alla condizione patologica. Sia che si parli di dipendenza da sostanze sia che si parli delle nuove dipendenze ( internet, gioco, affettiva, sesso) esse hanno comunque alcuni aspetti in comune:
- Tolleranza: ovvero il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza ( oggetto della dipendenza) per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato, l’effetto è notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;
- Astinenza: la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza che si presentano come fisici e psichici;
- Craving o uso compulsivo: una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti. In questa fase, avviene l’interruzione o la riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa della dipendenza.
La dipendenza da sostanza inizia ad emerge fin dalla prima adolescenza ( pre – adolescenza) ed assume spesso un aspetto relazionale e di comunicazione all’interno della famiglia d’origine. Ecco che il giovane adolescente ottiene, per così dire, dei vantaggi secondari dall’uso delle sostanze come la gestione di emozioni dolorose e difficili da sentire e verbalizzare, legami esclusivi con i genitori o almeno con uno di essi e con la sostanza si ferma il tempo familiare: ecco che conflitti, ipotetiche separazioni vengono bloccate dalla dipendenza. Ma la dipendenza può emergere anche in età adulta, seppur già presente nel passato ma può esserci un momento della vita dell’individuo nel quale le sostanze assume un valore importante e decisivo per il presente e il futuro. Ecco che le relazioni e le normali attività ( ricreative e lavorative) cessano a poco a poco di esistere al fine di dedicare sempre più tempo alla propria illusione. Nella dipendenza il sintomo è soltanto la punta dell’iceberg: è invece fondamentale comprendere i motivi per cui la persona è incappata in una forma di dipendenza, indagando la sua storia personale e familiare, professionale, le sue relazioni, i suoi vissuti ed eventuali traumi. Senza fare questo, non è possibile trattare le dipendenze in modo efficace.
Come uscirne?
Per trattare le dipendenze è importante che vi sia la motivazione la trattamento nel caso di una richiesta individuale mentre, spesso negli adolescenti, la richiesta passa per la famiglia che allarmata richiede aiuto. Ecco che gli interventi di psicoterapia , seppur personalizzati, passano dalla presa in carica individuale, di coppia e familiare.
Quali sono i vantaggi dell’emdr nella psicoterapia per le dipendenze?
L’emdr è una tecnica specifica per lavorare sulle memorie traumatiche che persistono nell’individuo e che possono aver contribuito allo sviluppo della dipendenza. E’ stato dimostrato che persone dipendenti sono state esposte a traumi di natura sia psichica che fisica e che tali aspetti spesso nelle dipendenza si perdono perché vengono “soffocati” dalla sostanza. Sentire di non essere desiderati, amati, stimati o ascoltati possono essere solo alcuni delle fratture che persistono nella memoria di ogni individuo. Ecco che grazie all’emdr si ottengono buoni risultati sia sulla dipendenza come comportamento sia sulla dipendenza. A volte la dipendenza stessa porta con sé ricordi traumatici, legati alla storia di abuso e si può lavorare sull’astinenza attraverso diversi protocolli che aiutano la persona ad ascoltare la dipendenza a livello comunicativo e lavorare al fine di installare le risorse utili all’individuo per superare la dipendenza.
Ecco che il lavoro con Emdr all’interno della psicoterapia sistemico relazionale si può così riassumere:
- costruzione della storia individuale, familiare e della dipendenza;
- lavoro con emdr sull’astinenza;
- lavoro con emdr sui ricordi traumatici che necessitano della sostanza per essere controllati;
- si focalizzerà sul futuro, per preparare la persona ad affrontare le situazioni e gli eventi in modo sano senza ricorrere alla sostanza.
Lisa Sartori Psicologa_ Psicoterapeuta sistemico – relazionale

5 passi per liberarsi dal senso di colpa.
Non c’è problema così terribile a cui non si possa aggiungere un po’ di senso di colpa per renderlo ancora peggiore.
(Bill Watterson)
Quante volte vi è capitato di non riuscire a godere fino in fondo di situazioni, relazioni o occasioni? Di sentire che non potete essere completamente liberi? Ecco solo alcuni degli effetti del “senso di colpa” nella vita delle persone. Il senso di colpa è un sentimento molto arcaico, che richiama un giudizio interiore severo e scrupoloso che media ogni forma di scelta e libertà di azione. Molte persone che vengono in terapia vivono situazioni vincolanti o nocive dalle quali non riescono a svincolarsi per paura di ferire, ricevere un rifiuto o sacrificarsi per qualcun altro. Ecco che si ascoltano storie con relazioni difficili, non soddisfacenti e con spesso la paura a definirsi con i propri bisogni, le proprie aspettative perché impossibile da pensare.
Dal punto di vista familiare il senso di colpa sembra essere maggiormente presente in soggetti appartenenti alle famiglie che utilizzano maggiormente parole come “buono”, “cattivo”, che hanno come lente di osservazione del mondo il “giudizio” o la “critica” ma non perché loro stessi buoni o cattivi ma per un funzionamento familiare. La persone vive spesso a contatto con costanti messaggi che richiamano il “come si dovrebbe vivere”, “cosa si dovrebbe fare” o “cosa gli altri si aspettano per noi”.
Nella vita quotidiano siamo inoltre chiamati a fare costanti scelte, azioni che possono essere anche discutibili ma si può essere in pace con se stessi, dal momento che fa tutto ciò che è in suo potere fare, ma se qualcosa non va come vorrebbe allora non si colpevolizza perché è consapevole di aver dato il meglio di sé. Ecco che, in questo caso, chi soffre di senso di colpa non riesce a sviluppare questo pensiero anzi, passa direttamente alla colpa anche irrealista purchè possibile.
Come si sviluppa il senso di colpa?
L’origine va spesso ricercata nelle relazioni primarie e sul tentativo, da parte di un genitore/adulto significativo di controllare il comportamento e la paura diventa spesso l’arma con la quale la si attua. Inoltre spesso un pensiero di “colpa” è alla base di disturbi di tipo ossessivo nel quale il “rituale” sia di pensiero che di azione diventa una sorta di calmante. L’idea alla base deriva dal fatto che si apprende una sorta di “impossibilità a godersi la vita”, una sorta di allarme costante verso il mondo esterno percepito come pericoloso ma anche come frutto della propria incapacità. L’autostima spesso non è molto sviluppata e un atteggiamento di questo tipo può minare l’idea di sé.
Come liberarsi dei sensi di colpa?
Per liberarsi e concedersi di vivere la vita con una maggiore serenità sono importanti alcuni passi che includono:
- Comprendere il passato, la propria storia di origine: fornire un giusto significato a ciò che è accaduto intorno alla persona consente di uscire da una logica di colpa per entrare in una logica più funzionale;
- Di conseguenza vi è la possibilità di imparare dal passato ovvero di non assumere un atteggiamento di lamento ma di ricostruzione e costruzione di altre visioni;
- Trasformare il ” sentirsi in colpa” per qualcosa che è accaduto, con un cambiamento del proprio atteggiamento nei confronti di ciò che provoca queste sensazioni negative;
- Chiederti “Che cosa sto evitando con il senso di colpa?”;
- Impara a gestire le tue emozioni: capire che momento stai attraversando e che cosa provi nel momento esatto ti consente di aumentare la consapevolezza di te.
Quindi un po’ di senso di colpa è presente nella vita di tutti i giorni ma, per coloro che sentono di esserne sopraffatti, ha delle origini nelle relazioni primarie e nel proprio passato. ecco che diventa utile ricostruire e rinarrare la propria storia per poter concedere a se strssi di vivere diversamente la vita.
Per maggiori informazioni, contattami.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

L’utilità del conflitto di coppia per la coppia.
“Abbiamo smesso di litigare perché abbiamo smesso di sperare che potesse cambiare qualcosa, e ci siamo ritrovati più lontani di prima” (Daria Bignardi)
Spesso si è abituati a considerare il conflitto come evento negativo e distruttivo tralasciando l’aspetto evolutivo che in esso è racchiuso: ci consente, se utilizzato in maniera adeguata, di definirci e di comunicare bisogni, aspettative ed emozioni all’altro. Ciò che accomuna le coppie, oltre alla fase dell’innamoramento è la presenza del conflitto e può accadere di raggiungere una situazione di stallo, ovvero una situazione dalla quale sembra non esserci via d’uscita. Questo accade inevitabile quando ciascuno dei due partner rimane fermo sulla propria posizione, sulle proprie convinzioni, rifiutandosi di comprendere il punto di vista altrui per giungere ad un compromesso. Quando la coppia è sul punto di scoppiare può accadere che i litigi vertano su aspetti a volte banali, futili e che non sarebbero mai stati oggetto di discussione in altri momenti. Ecco che costruire un momento di incontro nel conflitto diventa impossibile e qualsiasi iniziativa e/o tentativo diventa la conferma dell’idea su come funziona la coppia o la relazione: rabbia, sentimenti di noia e frustrazioni, fallimento, tristezza, disgusto, impotenza sono alcuni tra le emozioni e i sentimenti maggiormente vissuti da chi vive una situazione di coppia alle prese con conflitti ripetuti e quotidiani.
La sensazione di non poterli superare e i circoli viziosi che prendono vita portano i partners a sentirsi “bloccati” e a non sapere come muoversi nella coppia.
Quali sono alcune delle possibili cause che portano ad un conflitto insanabile e bloccante?
- Deficit nella comunicazione: la chiave di ogni relazione sta nella comunicazione sia verbale che non verbale e sulla possibilità di fare giungere in maniera efficace il messaggio;
- Rigidità: la persone tende a considerare come buone le proprie idee e le proprie azioni sostenendole in maniera rigida privando se stessa della possibilità di mettersi in discussione;
- Bisogni e aspettative personali disilluse: quando quello in cui si crede e ciò di cui si sente di avere bisogno non si realizza o non trova un determinato riconoscimento la persona si sente ferita e tradita senza considerare la sua responsabilità nella costruzione di tale situazione.
Come trasformare il conflitto in momento di incontro?
Per riuscire a “sbloccare” una situazione di stallo di coppia è importante partire da se stessi e non dal pensiero giudicante verso l’altro. E’ importante leggere il conflitto in chiave evolutiva e comprenderne l’aspetto trasformativo perchè spesso è nel conflitto che comunichiamo a noi stessi e agli altri cosa funziona, cosa necessita di ulteriore manutenzione e ciò per cui vale la pena lottare.
Ecco qui alcuni punti salienti per riuscire a costruire una “svolta” di coppia:
- Calma le emozioni: il vecchio detto “contare fino a 10 prima di parlare” in questi casi potrebbe risultare utile dal momento che comunicare in preda alle emozioni non è efficace sia a livello di “contenuto” ( che non arriva in maniera chiara) sia per la lucidità nel cogliere potenziali risposte e risvolti;
- Conosci te stesso e la tua storia familiare: sapere quali sono i propri bisogni e le proprie aspettative consente di soffermarsi su ciò che parte da se stessi senza farsi governare da essi e la propria storia familiare è la chiave di lettura anche delle difficoltà relazionali;
- Comunica il tuo stato d’animo e le tue emozioni: quello che è utile è comunicare il “come ci si sente” nella determinata situazione piuttosto che concentrarsi sull’altro, su cosa dice o fa. Ad esempio quando ci si sente feriti da ciò che l’altro ci comunica sarebbe utile dire ” Quello che dici mi ferisce/ mi sento ferito..”, piuttosto che ” TU sbagli, giudichi, ferisci ecc..”. Questo vi permetterà di abbassare il livello di attivazione ed accedere ad un canale emotivo;
- Mettiti nei panni dell’altro: potrai provare ad osservare la situazione dal suo punto di vista provando a metterti nei suoi panni;
- Ricordarsi i buoni motivi per cui si è scelto il partner…
Questi sono punti di partenza per provare a trasformare il conflitto ma a volte può essere necessario uno spazio neutrale nel quale riuscire, grazie all’aiuto di uno psicoterapeuta di coppia, ad osservare la propria storia e se stessi al fine di dare voce e significato al conflitto, ricostruendo una dimensione “NOI”.
A volte il conflitto non è sanabile e la coppia sceglie di separarsi: è importante anche in questo caso poter lavorare, soprattutto in presenza di figli, nella tutela del ruolo genitoriale costruendo nuove modalità comunicative e relazionale, elaborando emozioni e vissuti spesso invalidanti.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta sistemico – relazionale.

Emdr: una terapia efficace per l’ansia e il panico.
“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi”
Leo Buscaglia
Prima di addentrarci nel mondo dell’ansia e del suo trattamento è importante soffermarsi su cosa sia l’ansia e quale funzione assume nella vita di ogni individuo. Per prima cosa è importante ricordare che l’ansia è uno stato “normale” di attivazione fisiologica che avviene in ogni individuo assumendo una funzione spesso di sopravvivenza: ci dice che qualcosa ci sta spaventando o che siamo vicini ad un pericolo reale od immaginario. E’ dunque un’emozione universale e non sempre negativa, ed assume un valore importante a livello comunicativo, in particolare tale aspetto viene sottolineato nell’ottica sistemica- relazionale la quale si interessa al forte potere relazione dell’ansia. Infatti le storie di coloro che soffrono di ansia parlano di separazioni, di lontananze impossibili o di cambiamenti difficili e insieme a loro vi è almeno una figura importante coinvolta nell’ansia, fungendo spesso da sostegno e rassicurazione che paradossalmente aumenta però la manifestazione dell’ansia. Quando si soffre di un disturbo d’ ansia si vive in perenne stato di allarme e iper-vigilanza, come se si fosse costantemente in pericolo anche in assenza di oggettive minacce o rischi: le situazioni o i compiti più semplici da affrontare possono risultare ostici e pericolosi e proprio per questo tendono ad essere evitarli.
Quali sono i disturbi d’ansia?
Per disturbi d’Ansia ci si riferisce ad una macrocategoria che include:
- Disturbo di Panico (con e senza agorafobia);
- Fobie specifiche (ad esempio fobia dei ragni, fobia del sangue o delle iniezioni, fobia dell’ aereo o delle gallerie);
- Fobia Sociale (paura o imbarazzo marcato che si attivano in situazioni sociali o prestazionali);
- Disturbo d’ Ansia Generalizzato (ansia e preoccupazione eccessive quotidiane associate a irritabilità, difficoltà a concentrarsi e alterazioni del sonno).

Prima e dopo il trattamento EMDR
Emdr nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Passiamo ora al trattamento efficace attraverso EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) nasce come trattamento per Disturbo da Stress Post Traumatico e diventa efficace nel trattamento di molti altri disturbi, compreso l’ansia e il panico. Essa consente di:
- elaborare i traumi dell’attaccamento al momento attuale;
- desensibilizzare il ricordo “traumatico” legato alle esperienze di ansia e panico e lavorare sulle risorse utili per guarire;
- migliorare le abilità sociali e individuali;
- accrescere l’autostima e il senso di autoefficacia per affrontare le sfide della vita;
- prevenire e gestire l’ansia e il panico;
- lavorare sulla dimensione futura.
Come avviene la psicoterapia con Emdr?
Per prima cosa è necessario dedicare alcuni incontri di psicoterapia alla raccolta della storia del problema e alla storia familiare dal momento che, anche alcuni momenti particolari di vita o fasi del ciclo di vita familiare, possono determinare l’insorgenza del sintomo. Prima di iniziare con la tecnica è importante, come in ogni percorso terapeutico, costruire l’alleanza terapeutica al fine di costruire un posto sicuro nel quale trattare aspetti delicati e dolorosi della propria esperienza di vita.
Successivamente si andrà a lavorare sul ricordo dell’ansia e delle situazioni vissute lavorando attraverso la tecnica EMDR nel ricordo traumatico e sull’idea di sé che tale episodio contribuisce a costruire e che spesso è negativa; si lavora sul ricordo di alcune esperienze che possono aver contribuito all’insorgere del disturbo d’ansia ( tendenzialmente nei primi 10 anni di vita) . Inoltre si lavora sul ricordo delle prime volte in cui si è provata l’ansia e le volte peggiori, così da neutralizzare queste reazioni e permettere alla persona di affrontare le situazioni in modo funzionale.
Come mai è efficace?
Attraverso l’ EMDR si analizzano e rielaborano gli episodi più critici e le manifestazioni più acute dei sintomi d’ansia.
Spesso l’esordio della sintomatologia ansia-correlata è preceduto da esperienze traumatiche che in qualche misura ne determinano l’insorgenza.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

Relazioni im-possibili.
“Una persona che si adatta completamente all’altra alla fine non piace poi così tanto”
Capita spesso che, nelle difficoltà relazionali, ciò che porta più spesso le persone in psicoterapia è l’incapacità di sentirsi in grado di mantenere una relazione, di scegliere la persona giusta e di scendere a compromessi. Tali situazione può dar vita ad una serie di domande che risuonano nelle mura dello studio e nella mente delle persone e che hanno dato vita a questo articolo: “Perché non riesco a mantenere una relazione?”, “Come mai alla fine finisco per fare come sempre, ovvero per stancarmi?”, “Vorrei poter essere tranquilla/o con una persona ma non ci riesco”, “Scelgo sempre le persone sbagliate, come mai?”…
La richiesta che viene fatta allo psicoterapeuta spesso è quella di avere delle risposte, una spiegazione il più chiara possibile di ciò che vincola la persona nella relazione. Quello che però, da un punto di vista terapeutico assume un significato decisivo, è comprendere da dove abbiamo imparato a reagire/comportarci/ relazionarci in un determinato modo perché gli incontri, la coppia e le relazioni non sono frutto del caso ma si formano in base ai bisogni psicologici e affettivi che ognuno sviluppa fin da piccolo e che spesso non sono consapevoli.
Quindi quando mantenere, costruire una relazione diventa difficile a cosa può essere dovuto?
- modalità di attaccamento insicuro/ambivalente: le figure di accudimento durante l’infanzia ( per svariati motivi) non sono riusciti a fornire una base sicura affettiva e su questa insicurezza si sono sperimentate le prime relazioni; paura dell’abbandono, sentire di non merita l’altro e di non meritare amore possono diventare pensieri che vincolano alla possibilità di vivere le relazioni;
- storia familiare: separazioni, conflitti , aspettativi e miti familiari possono condizionare la libertà di costruirsi una relazione duratura;
- paura delle relazioni e di stare nella coppia: stare nelle relazioni implica la possibilità di sentirsi in balia dell’altro, può portare alla perdita del controllo e necessità della gestione delle emozioni così come di un livello di consapevolezza emotiva;
- bisogni affettivi: cosa ci si aspetta dall’altro/a ( attenzione, cura, sostegno ecc…) rappresentano spesso i bisogni che ogni individuo riversa nell’altro ma senza comunicarlo all’altro, essendo spesso inconsapevoli. Essi però determinano chi ricerchiamo e come mai lo ricerchiamo, cosa ci gratifica e cosa ci infastidisce, e non è un caso.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che possono dare senso ad un ipotesi sul come mai sia difficile mantenere relazioni e diventa altrettanto importante comprendere che significato viene fornito a tale difficoltà dal conteso familiare, sociale e amicale nel quale in singolo individuo è inserito.
Come migliorare?
E’ sempre possibile migliorare ma è necessaria la consapevolezza e dunque fare un lavoro psicoterapeutico di costruzione della propria storia familiare, comprendere che ruolo o i ruoli che la persona ha dovuto o scelto di assumere con le relazioni significative e lavorare sui bisogni che spesso sono la chiave di svolta per migliorare partendo da sé stessi, senza aspettare che sia qualcuno a renderci sereni con noi stessi.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa _ Psicoterapeuta

Il disagio adolescenziale e come superarlo.
“Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta”
Jim Morrison
L’adolescenza è per eccellenza la fase del ciclo di vita nella quale i cambiamenti fisici, psichici e sociali sono eclatanti, presenti e risuonano in tutto il sistema di appartenenza dell’adolescente, dalla scuola alla famiglia per non tralasciare i tanto importanti amici. Il vissuto dei genitori spesso è di impotenza e smarrimento nonostante ogni genitore sia stato a sua volta un adolescente, ma questo non basta per aiutare il proprio figlio a riconoscere un disagio, comunicarlo e superarlo.
Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere differenti, in relazione alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti sociali, scolastici e familiari. Il disagio si può esprimere attraverso sintomi e reazioni come:
- depressione;
- disturbi d’ansia;
- anoressia nervosa e bulimia;
- ritiro sociale;
- dipendenze da internet;
- autolesionismo;
- comportamenti aggressivi nei contesti familiari, scolastici e sociali;
- problemi o abbandono scolastico;
- reati;
- disturbi della condotta;
- abuso di alcol o di droga;
- sensation seeking (ovvero attività estreme e pericolose).
Questi sintomi non sono così sporadici nell’adolescente, anzi, in questo particolare periodo storico anche la soglia del disagio adolescenziale sembra iniziare ancora prima, ovvero nel periodo preadolescenziale. Gli eventi stressanti in questo periodo della vita possono essere svariati, e ciò che protegge l’adolescente è la capacità di fronteggiare tale stress in maniera funzionale.
Tale capacità si acquisisce nel contesto familiare in primis, partendo da come i propri genitori affrontano lo stress e insegnano a riconoscere limiti e risorse nel proprio figlio. L’adolescenza però non è solo disagio e difficoltà ma anche un momento di estrema curiosità, leggerezza e ricerca di identità che consente ai giovani di sviluppare i loro interessi, coltivare le relazioni e ricercare se stessi attraverso l’aiuto anche del gruppo dei pari. Per ritornare però alle fonti di stress esse possono essere ( citandone alcuni e i più frequenti):
- difficoltà scolastiche;
- pensieri e sentimenti negativi su se stessi;
- solitudine e bullismo e cyberbullismo;
- isolamento sociale;
- cambiamenti nel proprio corpo;
- Difficoltà relazionali intra ed extra familiari;
- separazione dei genitori;
- lutto e malattie;
- eccessive aspettative familiari;
- cambiamento di contesto, trasloco.
Cosa fare se un adolescente soffre di disagio?
I disagi dell’adolescente suggeriscono una presa in carico familiare: la storia di vita della famiglia intera, la fase di vita della famiglia, la comunicazione e la qualità delle relazioni presenti al suo interno sono elementi importantissimi dai quali non si può prescindere per una valutazione corretta del disagio che l’adolescente presenta.
Il contributo dei genitori è dunque determinante nell’accompagnare l’adolescente a superare le proprie difficoltà: dunque essi sono risorsa per il cambiamento dei propri figli e per il superamento di difficoltà specifiche anche fuori dal nucleo familiare.
Per questi motivi è dunque opportuno rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta famigliare per una valutazione attenta della problematica in atto e un eventuale trattamento terapeutico. Di elezione in questi casi è infatti la psicoterapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale in quanto terapia breve e pragmatica con l’obiettivo di aiutare tutto il sistema familiare e riscoprire nuovi equilibri.
Alla psicoterapia familiare può essere utili affiancare un lavoro individuale con il figlio e di coppia per i genitori, al fine di trattare specifiche tematiche in quanto spesso necessitano di un loro spazio che poi può trovare un senso anche all’interno di una terapia familiare.
Dott.ssa Lisa Sartori Psicologa e Psicoterapeutica Sistemica _ Relazionale

Quando la coppia infelice non scoppia.
“Gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda.”
( F.M Dostoevskij)
Essere coppia è una sfida che mette ogni individuo alla prova rispetto ai propri limiti, risorse e modalità di comunicazione e di relazione. La complessità della relazione di coppia sta anche nel momento della disillusione come fase nella quale entrambi in partner si “accorgono” realmente di com’è l’altra persona con i pregi ed i suoi difetti in particolare. Questo perché dopo la fase dell’illusione ( ovvero dell’innamoramento ) quello che accade è che inevitabilmente ( e lo è per tutti ) l’altro viene visto con le proprie lenti di osservazione attraverso i propri bisogni e aspettative.
Cosa succede dopo la fase della disillusione?
La coppia può “ricontrattare” i motivi che li spingono a stare insieme, cercando la realizzazione e il raggiungimento dei bisogni e aspettative che sentono come necessarie sia nella loro idea di coppia (che si forma anche sulla base della propria storia di origine) , sia per il loro benessere individuale.
Ritengo necessaria questa breve introduzione al mondo della coppia al fine di comprendere come si può essere infelici nella coppia e non riuscire a separarsi. In questo articolo citerò anche alcuni aspetti emersi dalla mia tesi di ricerca su tale argomento. A tal proposito emerge come necessario sottolineare alcuni aspetti implicati nella capacità di separarsi in maniera adeguata:
- l’influenza dei miti familiari; emerge infatti come decisivo l’aspetto del mito familiare ( ad esempio sacrificio, rivendicazione, lavoro, famiglia unita ecc…) che incide sulla modalità con la quale si legge anche il conflitto includendo anche come una possibile separazione venga vissuta dalla famiglia;
- aspetti individuali legati all’idea che ogni individuo ha di sé: ad esempio persona in grado di meritare amore, persona che vale ecc…;
Questa è la base nella quale si appoggia la crisi di coppia, ma cosa spinge le persone a non separarsi e restare infelici? Dalla mia esperienza clinica e dalle ricerche in letteratura si possono individuare alcuni motivi possibili:
- L’impossibilità di vivere un fallimento; quando finisce una relazione ciò che accade è che essa può essere paragonata ad un lutto, con tutte le sue fasi di passaggio. Il fallimento è di coppia, relazionale e individuale nonché sociale perché la coppia appartiene comunque ad un gruppo che in qualche modo viene a conoscenza del fallimento. Inoltre la famiglia d’origine assume un ruolo decisivo perché verso di essa possono esserci aspetti di rivendicazione e risarcimento importanti che però non trovano risoluzione nella coppia;
- L’incapacità di reinvestire su di sé: nella coppia può capitare che uno dei due partner si metta da parte al fine di tutelare l’equilibrio della coppia ( seppur precario ) ed è proprio questa persona che spesso potrebbe sentirsi smarrita all’idea di percepirsi senza qualcuno o senza la coppia / famiglia;
- I figli; questo aspetto è di cruciale importane in quanto si tende a pensare che sia meglio per i figli avere genitori in lotta ma insieme piuttosto che genitori felici ma separati. Quello che accade è che non è un problema la separazione in sé quanto piuttosto come essa viene gestita, comunicata e vissuta sia dalla coppia che dal nucleo familiare. I conflitti dei genitori, che siano insieme o separati, possono avere serie ripercussioni emotive sui figli che li metteranno in difficoltà nella vita adulta. Ad esempio, accade spesso che adolescenti con dipendenze da sostanze, abbiano situazioni fortemente conflittuali a casa a prescindere dalla separazione o meno dei genitori;
Cosa poter dunque fare per riuscire a separarsi?
Ad esempio potrebbe essere utile chiedere aiuto e rivolgersi ad uno psicoterapeuta di coppia per riuscire a parlare e riflettere sulla possibile o impossibile separazione. Ecco che si procederà al fine di attivare uno spazio neutro per entrambi nel quale affrontare la paure, la rabbia e le altre possibili emozioni vissute nell’arco della vita di coppia anche al fine di aiutarli nella gestione della genitorialità.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta.

Come riconoscere ed uscire dalla dipendenza affettiva.
“Io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me… Ecco cosa!”
“Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.” (C.Palahniuk)
Questo scrittore a mio avviso descrive in maniera semplice e coinvolgente il pensiero su cui si aggrappa la dipendenza affettiva. Concetto recente di dipendenza si intende come tale un legame nel quale l’altro diventa il fulcro della vita, con tutte le fasi legate al concetto più arcaico di dipendenza: la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. La Dipendenza Affettiva (Love Addiction) viene considerata come facente parte delle Nuove Dipendenze (New Addiction), ossia le dipendenze comportamentali, dipendenze in cui, al posto di una sostanza, vi è dipendenza da un comportamento.
Anthony Giddens distingue tre principali caratteristiche della “love addiction” che la connotano esattamente come una vera e propria forma di dipendenza:
1. IL PIACERE CONNESSO ALL’AMORE: definito anche ebbrezza, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
2. LA TOLLERANZA: anche definita in questo contesto come “dose“, che consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia;
3. L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO: connessa alla perdita della capacità critica relativa a sé, alla situazione e all’altro. Una riduzione critica e di guida razionale che, nel lungo termine, crea vergogna e rimorso.
Ma come si arriva a sviluppare dipendenza affettiva?
Indubbiamente la storia relazionale e familiare incide in maniera importante in quanto ad essa sono ricollegabili bisogni, aspettative e soprattutto modalità di definirsi nelle relazioni. La dipendenza affettiva porta anche alla difficoltà di solitudine e dunque alla possibilità di scegliere relazioni non sane e poco utili.
La storia di Anna (nome inventato)
Anna arriva in studio dopo avermi chiamato successivamente al rapporto con il compagno che era agli sgoccioli e per lei era impensabile. Sentiva di non poter stare senza di lui perché per lui ha rinunciato al lavoro, alle amiche e anche in parte alla famiglia, ma non solo perché lui le avesse chiesto ciò ma perché un po’ lei da lui si aspettava di essere per lui l’unica ragione di vita. Anna arriva da una famiglia nella quale il suo ruolo era quello di fare stare tutti tranquilli, ha imparato che viene vista solo per la sua disponibilità e non per la sua capacità di scegliere per sé cosa sia importante e necessario, dipendendo dal riconoscimento degli altri piuttosto che dal proprio, anche perché con scarsa autostima. La vita l’ha portato ad incontrare D il quale per lei rappresentava l’uomo con la “U maiuscola” ( come lo descrive lei) , che aveva bisogno di una sorta di donna che lo mettesse al primo posto e lo facesse sentire importante. Quello che all’inizio viene vissuto come Amore e dedizione per D, a poco a poco diventa una trappola amorosa per entrambi in particolare aumenta la dipendenza nel momento in cui D necessita di maggior spazio e di maggiore indipendenza.
Anna è riuscita, grazie al suo impegno e alla psicoterapia, a capire meglio se stessa non cambiando il suo passato ma integrandolo con il presente per scegliere un futuro diverso. Ecco che a poco a poco ha ripreso i contatti con ciò che prima era sempre meno importante rispetto all’amore, e in qualche modo ha iniziato ad innamorarsi di se stessa.
Questa è una storia al femminile ma vi sono anche molto uomini che vivono questa sorta di ossessione per la persona e che sentono di dipendere da lei per amore, benessere, gioia e senso della vita. La dipendenza affettiva dunque, diventa una modalità relazionale sulla quale dover lavorare per comprenderne il significato alla luce degli effetti che essa crea sia attorno alla persona che emotivamente. Rispetto alle donne esse sono:
• bisognose di conferme
• con una scarsa autostima
• terrorizzate dal fantasma dell’abbandono
• tendenti alla iperresponsabilizzazione
• provenienti senza eccezione da famiglie problematiche
Come uscire dalla dipendenza affettiva?
- riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo per uscirne, come tutte le dipendenze;
- “scalare” gradualmente dall’oggetto della dipendenza ( in questo caso il soggetto);
- riprendere le proprie attività in maniera graduale o lavorare al fine di allargare la rete di conoscenza e sociale;
- lavorare su di sé dal punto di vista psicoterapeutico ricostruendo la storia familiare e relazionale e avere delle strategie di gestione della dipendenza;
- Imparare ad amarsi ( per ultima ma non meno importante, anzi, ma essendo un processo di apprendimento ha bisogno di tempo e cambiamento).
Ricordate, che dalla dipendenza affettiva si può uscirne basta volerlo e rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Relazionale.

5 modi per costruire relazioni efficaci
La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione.
(Carl Rogers)
Le relazioni mettono a dura prova le persone in quanto richiedono cura, impegno e attenzione. Il come una persona vive le relazioni e le percepisce è frutto anche dei modelli relazionali che ha avuto modo di vivere e sperimentare nella vita quotidiana ed affettiva: ecco perché le relazionali non sono così automatiche e banali e possono diventare occasione di confronto e scoperta rispetto ad alcune difficoltà o peculiarità individuali.
Per relazioni efficaci si intende la capacità di costruire relazioni importanti e la capacità anche di interrompere quelle disfunzionali. Come essere efficace nella costruzione delle relazioni?
Il primo passaggio d’obbligo ed inevitabile è la “consapevolezza” rispetto alla propria storia relazionale e allo stile utilizzato. Per storia relazionale si intende la storia familiare e le relazioni che hanno caratterizzato la vita dell’individuo, mentre per stile relazione si intende:
- aggressivo: queste persone tendono ad agire in maniera competitiva e spesso sono incapaci nel gestire le proprie emozioni, cercano di umiliare gli altri e faticano ad esserne interessati;
- passivo: sono persone che tendono a “subire” e non riescono a mettere dei confini rispetto agli altri, sia in abito familiare, sociale e lavorativo. Tendono ad accumulare rabbia e frustrazione derivante dalla difficoltà di gestione delle emozioni e di ciò che è trattenuto;
- assertivo: è la persona capace di sostenere le proprie idee senza prevaricare, comunicando in maniera efficace e tutelando se stesso ma non a discapito degli altri. Riesce a gestire le emozioni e costruire relazioni funzionali.
Ovviamente coloro che presentano stili assertivi/passivi tendono ad essere maggiormente in difficoltà nelle relazioni interpersonali in quanto, anche se in maniera differente, manca la capacità di connettersi agli altri in funzione di se stessi. L’assertività si costruisce nel tempo, essendo consapevoli rispetto a ciò che mettiamo in atto nelle relazioni e lavorando, con specifici esercizi, per costruire uno stile assertivo.
Oltre a tale aspetto e alla storia di vita familiare e relazionale che, se trattata in sede di psicoterapia, consente alla persona di comprendere a 360 gradi il suo mondo relazionale, ridefinirlo e rinarrarlo attraverso nuove prospettive e nuove storie, è mia intenzione fornirvi alcuni punto di riflessione per iniziare a lavorare sulle relazioni efficaci:
- Costruisci relazioni ” fisiche e personalmente” e non affidandoti a social o a relazioni virtuali: la relazione indubbiamente passa attraverso anche tali canali ma è preferibile se iniziata di persona;
- Sii curioso rispetto al mondo e agli altri: prova ad uscire dalla tua confort zone ed entrare in nuove realtà ( sociali, sportive, intrattenimento) che ti consentano di sperimentare nuove parti di te;
- Sii consapevole rispetto a dove arrivi tu e dove invece iniziano gli altri, così da riuscire a tutelarti e ad essere empatico;
- Accetta le persone per ciò che sono e ricorda che puoi lavorare solo su di te per migliorare, non abbiamo il potere di controllare o cambiare gli altri;
- Allenati ad ascoltare e ascoltarti in maniera attiva e senza giudizio, ricorda che non esiste una realtà univa e giusta ma diverse storie e diversi significati.
Ultima ma non meno importante, le relazioni contribuiscono a costruire il benessere e la soddisfazione della vita passa anche per esse: se così non fosse e se ritieni di poter migliorare e desideri farlo, la psicoterapia è la strada giusta che, in maniera efficace di aiuterà a gestire emozioni, rabbia e sviluppare una nuova modalità di relazione a a partire anche dal ruolo occupato nella propria famiglia.
Dott.ssa Lisa Sartori, Psicologa_ Psicoterapeuta

L’importanza della psicoterapia familiare con gli adolescenti.
“E’ solo quando i bambini arrivano verso la fine dei loro vent’anni che le famiglie realmente capiscono ciò che sono” George Michael
L’adolescenza porta con sé innumerevoli cambiamenti, alcuni facili altri difficili ma tutti indispensabili. Quando si pensa all’adolescente oggi spesso lo si immagina connesso alla rete, al mondo virtuale e poco connesso alle relazioni presenti nei contesti di appartenenza. In questa fase di trasformazione importante si possono manifestare nell’adolescente difficoltà che trovano espressione attraverso una serie di “sintomi”, per la difficoltà a comunicare, come: ansia, depressione, ritiro sociale, autolesionismo, dipendenze, devianza e disturbi alimentari che, se non attentamente affrontate possono diventare invalidanti non solo per il giovane ma anche per tutto il nucleo familiare.
Prima di addentrarci risulta importante citare alcuni aspetti chiave per la comprensione dell’adolescenza ( 14- 18 anni):
- L’adolescenza non è una malattia ma una fase evolutiva:molti sono i genitori preoccupati per l’avvicinarsi di tale fase ma essa è indispensabile per l’evoluzione dei figli e la transizione verso l’età adulta;
- L’adolescente ha bisogno di dipendere quanto di svincolarsi: esso quindi è in una fase di costante messa alla prova dei confini familiari, del limite e della scoperta del mondo esterno all’ambiente familiare. Lo svincolo non avviene solo dal punto di vista psicologico ma passa attraverso lo svincolo fisico, emotivo, affettivo ed economico e spesso non coincidono tra di loro;
- I segnali verbali e non verbali dell’adolescente sono contraddittori: ecco perché è importante la chiarezza e l’assenza di ambivalenza nei genitori, al fine di fornire messaggi il più possibili coerenti;
- Il gruppo di coetanei diventa quindi un luogo nel quale sperimentarsi e sperimentare la propria identità, ed esso è indispensabile;
- L’adolescente porta dentro di sé la storia familiare: Andolfi ( 2003) sottolinea che l’adolescente è il maggiore esperto della vita familiare in quanto profondo osservatore dei propri genitori. E’ sempre maggiore la convinzione da parte dei genitori che gli eventi familiari non abbiano in alcun modo toccato i figli ma ciò che essi respirano è il risultato che tali eventi hanno nelle relazioni familiari: conflitti, perdite, cambiamenti anche se non comunicati vengono vissuti a livello relazione ed emotivo dal giovane adolescente che ascolta e osserva anche se non partecipa direttamente;
- L’adolescente è il braccio armato dei conflitti familiari: accade sempre più spesso che i figli vengano strumentalizzati all’interno del conflitto tra i genitori e che finiscano per farsi carico in maniera più o meno consapevole di alcune mancanze o di alcuni ruoli che non gli competono, schierandosi a favore o contro un genitore.
Proprio a partire da tali aspetti si evince l’importanza della famiglia come modalità di accesso alla terapia dal momento che spesso, l’adolescente, non sviluppa la capacità di chiedere aiuto chiaramente ma attraverso sintomi che spingono la famiglia a preoccuparsi per lui. Quello che accade però, almeno nella mia esperienza clinica con gli adolescenti, è che è improduttivo e poco efficace lavorare in psicoterapia solo con il singolo ragazzo, ma acquisisce valore indispensabile la partecipazione della famiglia ed in particolare della coppia genitoriale. Infatti alcune difficoltà come l’uso eccessivo dei sociale, di internet, dei videogiochi, l’uso e abuso di sostanze e il comportamento deviante mette a dura prova la coppia anche solamente nella gestione educativa del figlio, amplificando le difficoltà anche manifeste nella coppia e che possono risuonare nella vita familiare come incongruenze e ambivalenze che non aiutano l’adolescente ad orientarsi nella vita.
Inoltre si pensi a quelle situazioni di ritiro sociale, nelle quali la scuola viene messa a rischio dalla difficoltà del ragazzo/a ad uscire dalla propria stanza: in Italia tale fenomeno stà attualmente assumendo un importanza tale da non poter non considerare come prima modalità di accesso all’adolescente la coppia genitoriale, dal momento che sarà la sola a chiedere aiuto in tali situazioni. Ecco che la difficoltà di un solo membro della familiare porta con sé spesso una storia familiare e diventa occasione per l’intero nucleo familiare di migliorare, attraverso la psicoterapia familiare, in maniera efficace e breve.
In cosa consiste la terapia familiare?
Essa avviene tendenzialmente a cadenza mensile, con l’interno nucleo familiare o con alcuni sottogruppi e consente, attraverso specifiche tecniche di conduzione del colloquio e di gestione della terapia che andranno a sentire tutte le voci coinvolte nelle situazioni riportati, non giudicando ma facilitando la connessione e l’espressione dei diversi punti di vista: diciamo che la differenza genera informazione e spesso fornisce spunti di evoluzione importanti per il nucleo familiare. I sintomi diventano modalità di comunicazione in psicoterapia sistemica familiare ed essi vanno ascoltati.
Per quali problemi è indicata?
- Dipendenze da sostanze ( alcol e droghe);
- Dipendenze da internet, videogiochi, social;
- Disturbi alimentari;
- Ritiro sociale;
- Autolesionismo;
- Devianza e Aggressività;
- Ansia e fobie.
Dott.ssa Lisa Sartori_ Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare.